Golfo di Manfredonia - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
Alla ditta Menale da Napoli e soci arabi della Kuwait Petroleum, dopo averli definitivamente sconfitti sul piano giuridico, della legalità e del buon senso, bisognerà chiedere presto i danni economici per tutto cià che stanno facendo passare al territorio della Daunia. Dalla difesa attiva del territorio bisogna passare ora all'offensiva intelligente.
In ogni caso, Manfredonia non è in Puglia, bensì nel primordiale
Gargano. E così Siponto, anzi, le due Siponto, quella preromana, non ancora
portata alla luce, eppure menzionata da plurime fonti storiche e comunque
rintracciata dalla fotografia aerea a partire dal 1945, soprattutto ad opera
dell’archeologo inglese John Bradford, che già nel 1943 aveva realizzato
interessanti rilievi sulla pianura del Tavoliere, ed una missione archeologica
al termine della seconda guerra mondiale.
Lo scopritore materiale della civiltà Daunia è stato il professor Silvio Ferri, una delle figure di maggior rilievo nel campo dell’archeologia e della filologia classica a livello internazionale. Nel 1960, in qualità di direttore della Missione Archeologica Garganica delle università di Pisa, Milano e Padova e del Centro di Protostoria Euroasiatica di Pisa, si dedicò alle ricerche protostoriche ed etnografiche nell’area della Daunia, concentrando la sua attenzione sulle stele della Piana Sipontina e rendendo nota uno straordinaria scoperta rimasta fino ad allora sconosciuta.
Come attesta la ponderosa letteratura scientifica in materia, la Daunia, nonostante i danni, le spoliazioni e i furti, è ancora uno scrigno archeologico inesplorato. «Furono infatti i due ufficiali inglesi J. Bradford e P. Williams-Hunt, che, operando sulle aerofotografie del Tavoliere, scoprirono attraverso queste, l’esistenza di un grandissimo numero di stanziamenti preistorici; si deve poi alla sensibilità e alla lungimiranza del Bradford e di alcuni studiosi inglesi, se questo materiale rimase in Italia». E’ uno stralcio di quanto ha scritto Giovanna Alvisi, in occasione della presentazione della mostra “L’aerofotografia da materiale di guerra a bene culturale. Le fotografie aeree della RAF”, organizzata dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, esattamente dal 24 giugno al 10 luglio del 1980 e dalla British School at Rome.
Dopo le sensazionali scoperte e le prime pubblicazioni
di Bradford nel 1949, nel 1950 e nel 1957, furono davvero poche, o meglio rare
le campagne di ricerca archeologica in questo martoriato territorio del Sud.
La condotta lunga 10 chilometri che l’Energas
intende realizzare in un territorio a conclamato rischio sismico ed idrogeologico, per metà in mare dal pontile pericolante “alti fondali”, annientando
la prateria di Posidonia, farà tabula rasa anche dell’antico porto sommerso di
Sipontum e solcherà la stessa spiaggia fino a Santo Spiriticchio dove esistono
e sono ben note agli addetti ai lavori, tracce consistenti ed intatte della via
romana Minucia, ma soprattutto presenze neolitiche e dell'età del Ferro.
Allora, perché il comune di Manfredonia, ma soprattutto la società civile non elabora un progetto per portare alla luce questa miniera del passato, che racchiude ben 6 mila anni di storia, e potrebbe fornire un lavoro duraturo a tante persone disoccupate o inoccupate? Altro che degrado industriale: le risorse di questo ignoto Mediterraneo italiano sono le intelligenze e i tesori storici e ambientali legati al mare e alla terraferma. L’ente locale sulla base di una seria pianificazione ecologica, potrebbe espropriare per autentiche ragioni di pubblicom interesse culturale, i 18 ettari acquisiti dall’Energas (area equivalente all'estensione della Siponto romana) e farne un parco archeologico in simbiosi con l’area protetta Sic e Zps, stralciata arbitrariamente nel 2001 dalla perimetrazione del parco nazionale del Gargano, con tanto di decreto ministeriale.
Ha scritto la compianta archeologa Marina Mazzei nel suo saggio L'oro della Daunia, edito da Claudio Grenzi nel 2002 (pagina 11):
« ... con questo lavoro intendo soprattutto porre l'attenzione sulla situazione attuale e suilla mancanza oggi di una vera politoca dei beni culturali in Capitanata, possibile a mio avviso, solo se si riconoscesse - da parte degli Enti "finanziatori" - il ruolo dei tecnici, dello Stato e non, abbandonando l'illusione che la cultura, nel nostro caso l'archeologia, sia materia di tutti, un'opportunità di occupazione anche senza disporre dei necessari requisiti; insomma, capendo che i beni culturali, nella loro accezione più ampia, dalla ricerca alla valorizzazione, non sono una beneficenza del "politico che passa", ma sono un diritto del cittadino, al quale bisogna, come nell'organizzazione sanotaria, offrire un servizio serio e qualificato...».
La maggior parte dei reperti rinvenuti nella Daunia e trafugati lontano dalla terra d'origine, sono all'estero, soprattutto in Svizzera e negli Stati Uniti, nonché in collezioni private sparse per l'Italia, ma addirittura nei musei nazionali da Torino a Roma, da Napoli a Taranto, solo per citarne alcuni. Perché non rimpatriare questi tesori sommersi?
Allora, perché il comune di Manfredonia, ma soprattutto la società civile non elabora un progetto per portare alla luce questa miniera del passato, che racchiude ben 6 mila anni di storia, e potrebbe fornire un lavoro duraturo a tante persone disoccupate o inoccupate? Altro che degrado industriale: le risorse di questo ignoto Mediterraneo italiano sono le intelligenze e i tesori storici e ambientali legati al mare e alla terraferma. L’ente locale sulla base di una seria pianificazione ecologica, potrebbe espropriare per autentiche ragioni di pubblicom interesse culturale, i 18 ettari acquisiti dall’Energas (area equivalente all'estensione della Siponto romana) e farne un parco archeologico in simbiosi con l’area protetta Sic e Zps, stralciata arbitrariamente nel 2001 dalla perimetrazione del parco nazionale del Gargano, con tanto di decreto ministeriale.
Ha scritto la compianta archeologa Marina Mazzei nel suo saggio L'oro della Daunia, edito da Claudio Grenzi nel 2002 (pagina 11):
« ... con questo lavoro intendo soprattutto porre l'attenzione sulla situazione attuale e suilla mancanza oggi di una vera politoca dei beni culturali in Capitanata, possibile a mio avviso, solo se si riconoscesse - da parte degli Enti "finanziatori" - il ruolo dei tecnici, dello Stato e non, abbandonando l'illusione che la cultura, nel nostro caso l'archeologia, sia materia di tutti, un'opportunità di occupazione anche senza disporre dei necessari requisiti; insomma, capendo che i beni culturali, nella loro accezione più ampia, dalla ricerca alla valorizzazione, non sono una beneficenza del "politico che passa", ma sono un diritto del cittadino, al quale bisogna, come nell'organizzazione sanotaria, offrire un servizio serio e qualificato...».
La maggior parte dei reperti rinvenuti nella Daunia e trafugati lontano dalla terra d'origine, sono all'estero, soprattutto in Svizzera e negli Stati Uniti, nonché in collezioni private sparse per l'Italia, ma addirittura nei musei nazionali da Torino a Roma, da Napoli a Taranto, solo per citarne alcuni. Perché non rimpatriare questi tesori sommersi?
Comunque, in attesa degli sviluppi, ecco in
estrema sintesi alcuni passaggi salienti tratti da testi che coprono il periodo
1946 fino al 1975, di John Bradford (morto prematuramente nel 1975), Silvio
Ferri (deceduto nel 1978 che ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere da ragazzo,
quando sognavo di fare l’archeologo), Catherine Delano Smith. A Silvio Ferri,
in un remoto passato, Vico del Gargano ha dato la cittadinanza onoraria, e il
nome del locale Gruppo Archeologico per volere del compianto Filippo Fiorentino,
mio grande maestro di cultura e di vita.
Siticulosa
Apulia
di Bradford,
J.S.P. & Williams-Hunt, P.R., Antiquity,
1946, XX, n. 77, pp. 191-200:
«…
Fu solo dopo l’Armistizio del maggio 1945 che si ebbe la possibilità di vedere
confermate le nostre teorie, fortunatamente un paio di settimane prima che la
mietitura ne cancellasse letteralmente ogni traccia. Nell’intervallo fra voli
di addestramento e prove fotografiche di routine furono scattate numerose fotografie
aeree, sia verticali che oblique; le prime dall’unità della RAF, le seconde
scattate dai presenti autori, allora Ufficiali dell’Esercito inglese. Le
numerose scoperte archeologiche che risultarono furono molto importanti soprattutto
per l’area del tavoliere, esaminato con particolare cura…. Le maggiori scoperte
possono essere così riassunte: 1. Dai 150 ai 200 insediamenti indicati da
cropmarks, precedentemente non conosciuti… 2. Sistema estensivo,
precedentemente sconosciuto, di centuriazione romana che ricopre la parte
centrale e meridionale del Tavoliere… 3. Più di due dozzine di earthworks di
cronologia medievale, la maggior parte precedentemente non documentati… 4.-
Infine si notano un grandissimo numero di cropmarks indicanti siti di tipologia
non identificata…».
Stele
Daunie
(anno di stesura 1975), Grafsud, Leone, Foggia,
1983, pagg. 7-11
di Silvio Ferri
«Un
cenno di Lycophrone (III sec. a.C.: v. 615 e altrove), ma più che altro le note
esplicative dello Tzetzes, ci dicono con enfasi retorica che tutta la Daunia
era una selva di stele. Si conceda pure un’adeguata tara alla fantasia poetica
alessandrina, ma certo è che esistevano sino ad epoca bizantina grandi aree di
necropoli con arcaiche stele figurate. Dove sono andate a finire?... noi
abbiamo salvato soltanto i residui di ciò che fu, e che irrimediabilmente perduto:
forse 1/1.000 del preesistente. Questi residui però sono più che sufficienti,
ripeto, a dirigere sulla protostoria italiana un luminoso raggio chiarificatore
delle sue ancora oscure vicende “europee”… Le nostre stele quindi, aprono una
luce vivida e chiara, altrettanto nuova quanto inaspettata, sulla vita e la
morte dei nostri antenati indoeuropei del III-II millennio a.C.; esse
costituiscono un documentario protostorico del più grande interesse anche nei
suoi molteplici riflessi letterari».
Daunia Vetus
(Land, Life
and change in the Tavoliere coastlands)
Amministrazione Provinciale di Capitanata, Foggia
1978, pagg. 170-174
di Catherine Delano Smith
«La
Siponto romana era posta ai piedi del Gargano poco prima del punto in cui la
sua alta costa orientale scende nel mare. In questo modo si potè trar vantaggio
dal terreno basso e roccioso, che crea un ripiano di terra asciutta tra l’estuario
del Candelaro e la costiera garganica. Anche tutte le vie di comunicazione dei
tempi antichi si debbono essere avvantaggiate di questa striscia di terra,
infatti tracce d’una strada romana sono state rilevate nei pressi di masseria
S. Spirito… Il principale fattore della rovina di Siponto è stato senza dubbio
la frequenza e la forza dei terremoti nella zona. Non deve sorprendere il fatto
che questa sia zona sismica, poiché giace attraverso o vicino ad uno dei
principali sistemi di faglia della regione. Nel 1155 la città era stata così
scossa dai terremoti, che la definizione di ”civitate diruta” viene
continuamente trovata negli scritti del vicino monastero di S. Leonardo. Nel
1201 un documento si apre con una frase che dice 2dal tempo che Siponto è in
rovina…”. Vu furono ulteriori terremoti, ad esempio nel 1223 e nel 1255, ma già
nel 1250 era stata presa la decisione di abbandonare definitivamente la vecchia
città, per fondarne una nuova posta 2 chilometri più a nord… Federico II era un
famoso fondatore di città, ne aveva già costruite undici in Puglia, e per il
giovane figlio e successore Manfredi sarebbe stato di grande utilità seguire l’esempio
dello “stupor mundi”, se fosse vissuto per trarne profitto. Accadde che la
nuova Siponto, Manfredonia, sopravvisse all’ostilità degli Angioini per
diventare uno dei principali porti post-medievali sulla costa adriatica. Si è
ben informati sulla creazione di Manfredonia, ma non si sa nulla del porto dell’antica
Siponto che fu soppiantato. Vi sono parecchie muta di notevoli dimensioni
distanti dalla laguna e poste un po’ più a sud lungo la costa».
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