15.11.16

ENERGAS: ESPROPRIO DEI TERRENI PER UN PARCO ARCHEOLOGICO

Golfo di Manfredonia - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


 
Alla ditta Menale da Napoli e soci arabi della Kuwait Petroleum, dopo averli definitivamente sconfitti sul piano giuridico, della legalità e del buon senso, bisognerà chiedere presto i danni economici per tutto cià che stanno facendo passare al territorio della Daunia. Dalla difesa attiva del territorio bisogna passare ora all'offensiva intelligente.

In ogni caso, Manfredonia non è in Puglia, bensì nel primordiale Gargano. E così Siponto, anzi, le due Siponto, quella preromana, non ancora portata alla luce, eppure menzionata da plurime fonti storiche e comunque rintracciata dalla fotografia aerea a partire dal 1945, soprattutto ad opera dell’archeologo inglese John Bradford, che già nel 1943 aveva realizzato interessanti rilievi sulla pianura del Tavoliere, ed una missione archeologica al termine della seconda guerra mondiale.

Lo scopritore materiale della civiltà Daunia è stato il professor Silvio Ferri, una delle figure di maggior rilievo nel campo dell’archeologia e della filologia classica a livello internazionale. Nel 1960, in qualità di direttore della Missione Archeologica Garganica delle università di Pisa, Milano e Padova e del Centro di Protostoria Euroasiatica di Pisa, si dedicò alle ricerche protostoriche ed etnografiche nell’area della Daunia, concentrando la sua attenzione sulle stele della Piana Sipontina e rendendo nota uno straordinaria scoperta rimasta fino ad allora sconosciuta.

La politica locale e nazionale invece di tutelare le scoperte archeologiche e storiche, nonché attivare ricerche e campagne di scavo in loco, al fine della conoscenza e della protezione attivando occasioni di lavoro qualificato e duraturo in armonia con la storia e con la natura, ha preferito lasciar agire impunemente la speculazione, prima con l’Anic nel 1969 poi Enichem, dopo con il fallimentare contratto d’area a partire dal 1998; ora con un gigantesco e pericoloso deposito di derivati del petrolio. Insomma, esattamente l’opposto del bene comune e della promozione culturale a favore soprattutto delle giovani generazioni.

Come attesta la ponderosa letteratura scientifica in materia, la Daunia, nonostante i danni, le spoliazioni e i furti, è ancora uno scrigno archeologico inesplorato. «Furono infatti i due ufficiali inglesi J. Bradford e P. Williams-Hunt, che, operando sulle aerofotografie del Tavoliere, scoprirono attraverso queste, l’esistenza di un grandissimo numero di stanziamenti preistorici; si deve poi alla sensibilità e alla lungimiranza del Bradford e di alcuni studiosi inglesi, se questo materiale rimase in Italia». E’ uno stralcio di quanto ha scritto Giovanna Alvisi, in occasione della presentazione della mostra “L’aerofotografia da materiale di guerra a bene culturale. Le fotografie aeree della RAF”, organizzata dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, esattamente dal 24 giugno al 10 luglio del 1980 e dalla British School at Rome.

Dopo le sensazionali scoperte e le prime pubblicazioni di Bradford nel 1949, nel 1950 e nel 1957, furono davvero poche, o meglio rare le campagne di ricerca archeologica in questo martoriato territorio del Sud.

La condotta lunga 10 chilometri che l’Energas intende realizzare in un territorio a conclamato rischio sismico ed idrogeologico, per metà in mare dal pontile pericolante “alti fondali”, annientando la prateria di Posidonia, farà tabula rasa anche dell’antico porto sommerso di Sipontum e solcherà la stessa spiaggia fino a Santo Spiriticchio dove esistono e sono ben note agli addetti ai lavori, tracce consistenti ed intatte della via romana Minucia, ma soprattutto presenze neolitiche e dell'età del Ferro.

Allora, perché il comune di Manfredonia, ma soprattutto la società civile non elabora un progetto per portare alla luce questa miniera del passato, che racchiude ben 6 mila anni di storia, e potrebbe fornire un lavoro duraturo a tante persone disoccupate o inoccupate? Altro che degrado industriale: le risorse di questo ignoto Mediterraneo italiano sono le intelligenze e i tesori storici e ambientali legati al mare e alla terraferma. L’ente locale sulla base di una seria pianificazione ecologica, potrebbe espropriare per autentiche ragioni di pubblicom interesse culturale, i 18 ettari acquisiti dall’Energas (area equivalente all'estensione della Siponto romana) e farne un parco archeologico in simbiosi con l’area protetta Sic e Zps, stralciata arbitrariamente nel 2001 dalla perimetrazione del parco nazionale del Gargano, con tanto di decreto ministeriale.

Ha scritto la compianta archeologa Marina Mazzei nel suo saggio L'oro della Daunia, edito da Claudio Grenzi nel 2002 (pagina 11):  

« ... con questo lavoro intendo soprattutto porre l'attenzione sulla situazione attuale e suilla mancanza oggi di una vera politoca dei beni culturali in Capitanata, possibile a mio avviso, solo se si riconoscesse - da parte degli Enti "finanziatori" - il ruolo dei tecnici, dello Stato e non, abbandonando l'illusione che la cultura, nel nostro caso l'archeologia, sia materia di tutti, un'opportunità di occupazione anche senza disporre dei necessari requisiti; insomma, capendo che i beni culturali, nella loro accezione più ampia, dalla ricerca alla valorizzazione, non sono una beneficenza del "politico che passa", ma sono un diritto del cittadino, al quale bisogna, come nell'organizzazione sanotaria, offrire un servizio serio e qualificato...».

La maggior parte dei reperti rinvenuti nella Daunia e trafugati lontano dalla terra d'origine, sono all'estero, soprattutto in Svizzera e negli Stati Uniti, nonché in collezioni private sparse per l'Italia, ma addirittura nei musei nazionali da Torino a Roma, da Napoli a Taranto, solo per citarne alcuni. Perché non rimpatriare questi tesori sommersi?
Comunque, in attesa degli sviluppi, ecco in estrema sintesi alcuni passaggi salienti tratti da testi che coprono il periodo 1946 fino al 1975, di John Bradford (morto prematuramente nel 1975), Silvio Ferri (deceduto nel 1978 che ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere da ragazzo, quando sognavo di fare l’archeologo), Catherine Delano Smith. A Silvio Ferri, in un remoto passato, Vico del Gargano ha dato la cittadinanza onoraria, e il nome del locale Gruppo Archeologico per volere del compianto Filippo Fiorentino, mio grande maestro di cultura e di vita.

Siticulosa Apulia

di Bradford, J.S.P. & Williams-Hunt, P.R., Antiquity, 1946, XX, n. 77, pp. 191-200:

«… Fu solo dopo l’Armistizio del maggio 1945 che si ebbe la possibilità di vedere confermate le nostre teorie, fortunatamente un paio di settimane prima che la mietitura ne cancellasse letteralmente ogni traccia. Nell’intervallo fra voli di addestramento e prove fotografiche di routine furono scattate numerose fotografie aeree, sia verticali che oblique; le prime dall’unità della RAF, le seconde scattate dai presenti autori, allora Ufficiali dell’Esercito inglese. Le numerose scoperte archeologiche che risultarono furono molto importanti soprattutto per l’area del tavoliere, esaminato con particolare cura…. Le maggiori scoperte possono essere così riassunte: 1. Dai 150 ai 200 insediamenti indicati da cropmarks, precedentemente non conosciuti… 2. Sistema estensivo, precedentemente sconosciuto, di centuriazione romana che ricopre la parte centrale e meridionale del Tavoliere… 3. Più di due dozzine di earthworks di cronologia medievale, la maggior parte precedentemente non documentati… 4.- Infine si notano un grandissimo numero di cropmarks indicanti siti di tipologia non identificata…».


Stele Daunie
 
(anno di stesura 1975), Grafsud, Leone, Foggia, 1983, pagg. 7-11
di Silvio Ferri

«Un cenno di Lycophrone (III sec. a.C.: v. 615 e altrove), ma più che altro le note esplicative dello Tzetzes, ci dicono con enfasi retorica che tutta la Daunia era una selva di stele. Si conceda pure un’adeguata tara alla fantasia poetica alessandrina, ma certo è che esistevano sino ad epoca bizantina grandi aree di necropoli con arcaiche stele figurate. Dove sono andate a finire?... noi abbiamo salvato soltanto i residui di ciò che fu, e che irrimediabilmente perduto: forse 1/1.000 del preesistente. Questi residui però sono più che sufficienti, ripeto, a dirigere sulla protostoria italiana un luminoso raggio chiarificatore delle sue ancora oscure vicende “europee”… Le nostre stele quindi, aprono una luce vivida e chiara, altrettanto nuova quanto inaspettata, sulla vita e la morte dei nostri antenati indoeuropei del III-II millennio a.C.; esse costituiscono un documentario protostorico del più grande interesse anche nei suoi molteplici riflessi letterari».


Daunia Vetus
(Land, Life and change in the Tavoliere coastlands) 
Amministrazione Provinciale di Capitanata, Foggia 1978, pagg. 170-174

di Catherine Delano Smith

«La Siponto romana era posta ai piedi del Gargano poco prima del punto in cui la sua alta costa orientale scende nel mare. In questo modo si potè trar vantaggio dal terreno basso e roccioso, che crea un ripiano di terra asciutta tra l’estuario del Candelaro e la costiera garganica. Anche tutte le vie di comunicazione dei tempi antichi si debbono essere avvantaggiate di questa striscia di terra, infatti tracce d’una strada romana sono state rilevate nei pressi di masseria S. Spirito… Il principale fattore della rovina di Siponto è stato senza dubbio la frequenza e la forza dei terremoti nella zona. Non deve sorprendere il fatto che questa sia zona sismica, poiché giace attraverso o vicino ad uno dei principali sistemi di faglia della regione. Nel 1155 la città era stata così scossa dai terremoti, che la definizione di ”civitate diruta” viene continuamente trovata negli scritti del vicino monastero di S. Leonardo. Nel 1201 un documento si apre con una frase che dice 2dal tempo che Siponto è in rovina…”. Vu furono ulteriori terremoti, ad esempio nel 1223 e nel 1255, ma già nel 1250 era stata presa la decisione di abbandonare definitivamente la vecchia città, per fondarne una nuova posta 2 chilometri più a nord… Federico II era un famoso fondatore di città, ne aveva già costruite undici in Puglia, e per il giovane figlio e successore Manfredi sarebbe stato di grande utilità seguire l’esempio dello “stupor mundi”, se fosse vissuto per trarne profitto. Accadde che la nuova Siponto, Manfredonia, sopravvisse all’ostilità degli Angioini per diventare uno dei principali porti post-medievali sulla costa adriatica. Si è ben informati sulla creazione di Manfredonia, ma non si sa nulla del porto dell’antica Siponto che fu soppiantato. Vi sono parecchie muta di notevoli dimensioni distanti dalla laguna e poste un po’ più a sud lungo la costa».

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