Pieter Bruegel, “I
ciechi” (1568 - Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte). Dal quadro emana la rassegnazione di un'umanità che ciecamente procede verso un’abisso... |
Il giorno di Natale invece
di spararsi addosso giocarono a pallone e così fu arrestata per breve tempo la carneficina quotidiana. Nel
secolo scorso durante la prima guerra mondiale le innumerevoli lettere dei soldati
alle famiglie raccontano un'altra storia, mai narrata al mondo nei libri di scuola. Soprattutto nelle Fiandre
fra tedeschi e britannici si verificarono una serie di numerosi e contagiosi episodi di cessate il fuoco. Ad onta della martellante
propaganda, i soldati capirono di essere carne da macello. All'arrivo
del Natale le trincee furono decorate accendendo luci e candele,
intonando canti natalizi. Dove i fucili furono messi a tacere gli
uomini di fronti avversi fraternizzarono fra loro scambiandosi
sigarette, prese di tabacco, fotografie, abbracci e umili doni. Inevitabilmente
comparve un pallone o comunque un ammasso sferico di materiale di fortuna
che fu preso allegramente a pedate. Non si trattò di vere e proprie partite con squadre,
arbitri e campi delimitati. Furono più che altro passaggi e tiri alla rinfusa di
giovani liberi, per un fugace istante, di correre e saltare senza il
rischio di venire uccisi da un cecchino. Tanti parteciparono a questa festa collettiva e non furono solo spettatori. Insomma, non più nemici. Ma, improvvisamente, come erano
iniziate le tregue cessarono e ricominciò la mattanza disumana. Gli
alti comandi diramarono ordini inflessibili affinché non si
ripetessero più casi del genere, minacciando punizioni esemplari e
corti marziali. Comunque il calcio era già un linguaggio
universale: un anticorpo efficace contro il male, non solo a Natale.
Gilan
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