Secondo i pm titolari delle indagini ci fu un “accordo collusivo” tra Fontana e suo cognato e proprietario di Dama spa. La Procura di Milano ha chiuso le indagini preliminari sul “caso camici”, in cui è coinvolto il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, insieme ad altre quattro persone, tra cui suo cognato Andrea Dini, proprietario della società Dama, e Filippo Bongiovanni, l’ex direttore generale della centrale acquisti regionale Aria. A loro i pm contestano di aver messo in atto una “frode”, con “artifizi concordati e messi in opera allo scopo di tutelare l’immagine politica del presidente Fontana, una volta emerso il conflitto d’interessi derivante dai rapporti di parentela con” Dini. Per farlo – secondo i titolari delle indagini, Nicola Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas – i cinque indagati avrebbero tentato di “simulare l’esistenza ab origine di un contratto di donazione in luogo di quello realmente stipulato di fornitura onerosa”. Secondo i pm titolari delle indagini ci fu un “accordo collusivo” tra Fontana e suo cognato e proprietario di Dama spa, tramite cui “si anteponevano all’interesse pubblico, l’interesse e la convenienza personali del presidente di Regione Lombardia”, che in qualità di “soggetto attuatore per l’emergenza Covid-19 si ingeriva nella fase esecutiva del contratto in conflitto d’interessi”.
L’”accordo collusivo” tra Fontana e il cognato secondo i pm è stato poi “automaticamente recepito dalla centrale acquisti”, in particolare dal direttore generale e dal direttore acquisti di Aria, Andrea Bongiovanni e Carmen Schweigl “che si attivavano per darvi esecuzione senza informare e coinvolgere il competente consiglio di amministrazione di Aria e al di fuori delle relative procedure amministrative” e “con il contributo” di Pier Attilio Superti, direttore area Programmazione di Regione Lombardia, che secondo i pm in una riunione in Regione del 19 maggio 2020 avrebbe “definito, nell’interesse e dietro mandato di Fontana, i dettagli dell’accordo di massima già raggiunto tra Dini e Fontana” e l’avrebbe “comunicato a Bongiovanni come diretta volontà del presidente alla quale dover dare esecuzione”. Ad aggravare le condotte dei cinque indagati – sottolineano i magistrati Nicola Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas nell’avviso di conclusione delle indagini – il fatto di “aver commesso il fatto in relazione alla fornitura di cose destinate ad ovviare al comune pericolo rappresentato dalla pandemia da Covid-19″.
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