27.9.15

I TESORI DELLA DAUNIA


Daunia - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

di Gianni Lannes



Ecco la Puglia dagli orizzonti in fuga, ai confini in quota di tre regioni, incluse Campania e Molise. Alberona omaggia il suo nome: il suo verde respiro si estende a una variegata coltre di colori autunnali, nonostante le ferite laceranti inferte dalla modernità alla sua pace vegetale. Ora che la pioggia ha levigato il paesaggio e l’aria ha il sapore di funghi non colti e odora di castagne, per giungere quassù dove si scorgono le Tremiti e il Gargano, si arranca a pieni polmoni. Il premio è nuotare in un mare verde, nonostante il recente incendio doloso che ha carbonizzato 300 ettari di bosco. Tuttavia, questo territorio è un cantiere a cielo aperto, grazie alla regione Puglia. Il tracciato di un recente gasdotto ha sbridendellato la montagna che sovrasta il paese. A novembre si attendono nuove frane.

 
DAUNIA: EOLICO MAFIOSO! - FOTO GIANNI LANNES (tutti i diritti riservati)


Impossibile far finta di niente, poiché lo sguardo è imprigionato dentro queste vorticose gabbie roteanti. Ai tempi del famigerato Vigorito, negli anni ‘90: prima un impianto eolico, poi un altro, e così via, fino a sfregiare irrimediabilmente vette e vallate dell’antica Daunia. Insomma, un’offesa perenne all’integrità di questi luoghi. Volturino, poi, è l’emblema della colonizzazione radiotelevisiva: antenne che inquinano la vita dei comuni mortali con una proliferazione senza precedenti, irrispettosa di leggi ed esseri umani. Ricadute? Tutte negative a danno dell'ambiente e degli autoctoni. Il resto del saccheggio l’hanno fatto i politicanti per decenni stravaccati nelle munifiche poltrone delle comunità montane, mai sazi, ma sempre più ingordi, mentre il territorio frana sempre più. Le strade pubbliche? Un’arteria più dissestata dell’altra. Un altro esempio mirabile: a Tertiveri, a pochi chilometri dall’ex città storica di  Lucera, tra un impianto e l’altro dell’Eni che da mezzo secolo rapina il gas dal sottosuolo della Puglia settentrionale nell’assordante silenzio generale dei cosiddetti ambientalisti, su un colle, si staglia una torre medievale di pregevole e incantata bellezza, che però rischia di crollare da un momento all’altro. Qui sembra di udire il respiro di Federico II di Svevia. Santagata e ad Ascoli Satriano, però, sono minacciate dalle solite aggressioni ecomafiose, mentre Candela muore sotto le esalazioni della centrale Turbogas della famigerata Edison. Ancora un inceneritore di rifiuti sotto mentite spoglie e addio alla vita.

Il tratto più evidente è l'emigrazione forzata verso le Americhe e l'Europa, ininterrotta dalla fine dell'Ottocento. Decine di paesi emarginati, quasi cancellati dalla frenesia galoppante. E’ la terra dei monti sconosciuti ai più, dei torrenti che si gonfiano sotto le sferzate del generale inverno, dei minuscoli laghi di collina. E’ il Sud dei borghi in cui dominano la tranquillità e la quiete (apparente), dove gran parte della popolazione ha cominciato a fuggire dopo l'annessione forzata del Sud praticata dai Savoia con denaro inglese, a furia di repressioni di massa e stragi di patrioti meridionali. Una ricchezza che trova il suo punto di forza nella conservazione dei beni ecologici e nella qualità delle relazioni umane, improntate a schiettezza e profondità. 

Qui per fortuna, il ritmo della vita non è ancora l’affanno, la rincorsa, ma la ricerca della lentezza capace di assorbire in profondità i ritmi della natura. Il tempo sembra fermo per magia. La lentezza di questi luoghi è contrapposta alla velocità del mondo moderno che è ormai, unitamente al profitto, l’unico parametro e l’unica misura di tutte le cose, ma soprattutto dei rapporti umani. Mentre il macrocosmo dominante si misura sulla base di minuti incamerati o persi, in queste contrade il ritmo dell’esistenza ha un’altra scansione. La velocità, il mutamento vorticoso è tempo rubato alla riflesssione, invece che costruzione pensata di rapporti sinceri, di relazioni genuine. La velocità fa perdere il senso della durata e della prospettiva, e in qualche modo anche la memoria della storia che ha bisogno del tempo della riflessione, della discussione, della verifica della coscienza e delle scelte consapevoli. La difesa della lentezza non è l’elogio dell’arcaismo, bensì una forma di lotta contro la colonizzazione della vita imposta dal regresso moderno, chiamato sviluppo. Come possono continuare ad esprimere questi luoghi e queste comunità in via di estinzione, una loro vitalità dinanzi ad una globalizzazione che azzera tutte le differenze? Non omologandosi, non perdendo i propri tratti originali, ma tenendosi strette e sviluppando le rispettive peculiarità territoriali, le risorse ambientali, le autentiche tradizioni.
Ad evidenziare il processo lento, centellinato, quasi impercettibile dei Monti Dauni non scorre l’acqua dei grandi fiumi o di gigantesche cascate che sovente travolge tutto, ma l’oro blu delle sorgive, dei ruscelli, delle piccole fonti che infondono anche il senso del silenzio interiore. Quei silenzi che si colgono e si ascoltano come una delle forme più intense di comunicazione vitale. Qui natura, storia e cultura si fondono, ma per quanto ancora?  

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=DAUNIA 

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