di Gianni Lannes
C'è un altro Sud, vivo, positivo e propositivo dove da una famiglia particolare emergono i campioni dell'esistenza. Andrea, sette primavere, è un mancino ma calcia il pallone
con entrambi i piedi. Francesco, quasi 10 anni è un difensore arcigno che
scatta anche di testa. Antonio, un bimbo dai grandi occhi azzurri - appena sbocciato dall'asilo - scandisce con
cura: «È bello giocare a pallone qui
all’aria aperta». Ivan il portiere sembra un ragno, vola ovunque a tessere la sua tela per rendere la porta che difende impenetrabile. Più che competizione, è pura passione.
Un luogo di aggregazione per tanti discoli strappati alla strada da un papà particolare, nella scuola calcio della parrocchia Lourdes di Orta Nova nell’antica Daunia. In questa isola felice è bandita qualsiasi violenza. Un miracolo nella stagione del disamore dove tutto ha un prezzo? Ecco una scuola di vita italiana che sottrae concretamente l’infanzia e l’adolescenza alla marginalità, valorizzando l'empatia dei talenti umani. Il campo di terra battuta, provvisto di porte e reti, non è molto grande ma è una meraviglia per i 40 tra bambini e ragazzi (dai 6 ai 14 anni) che lo frequentano due-tre giorni ogni settimana, con trasferte agonistiche nella Capitanata. In loco una volta c’era il famelico degrado del vuoto e i bimbi inseguivano il pallone in mezzo alle automobili scansando trattori; ora splende la bellezza e c’è più d’una squadra. Questo fazzoletto luminoso di polvere e fango dove spesso tira vento su impulso di un uomo lontano dai riflettori, è stato costruito da pargoli e adolescenti nel giro di alcune generazioni a partire dai primi anni ’90. Loro, i piccoli calciatori in erba, corrono, imprecano, si allenano e si divertono un mondo sotto la guida di Giuseppe Giuliani. L’allenatore che naviga sui 72 anni (un signore pensionato con un passato lavorativo all’Intendenza di Finanza e all’Agenzia delle Entrate, ha iniziato la sua attività sportiva per 20 anni alla parrocchia di San Ciro di Foggia) dedica tutto il suo tempo a chi si è appena affacciato all’esistenza.
Un luogo di aggregazione per tanti discoli strappati alla strada da un papà particolare, nella scuola calcio della parrocchia Lourdes di Orta Nova nell’antica Daunia. In questa isola felice è bandita qualsiasi violenza. Un miracolo nella stagione del disamore dove tutto ha un prezzo? Ecco una scuola di vita italiana che sottrae concretamente l’infanzia e l’adolescenza alla marginalità, valorizzando l'empatia dei talenti umani. Il campo di terra battuta, provvisto di porte e reti, non è molto grande ma è una meraviglia per i 40 tra bambini e ragazzi (dai 6 ai 14 anni) che lo frequentano due-tre giorni ogni settimana, con trasferte agonistiche nella Capitanata. In loco una volta c’era il famelico degrado del vuoto e i bimbi inseguivano il pallone in mezzo alle automobili scansando trattori; ora splende la bellezza e c’è più d’una squadra. Questo fazzoletto luminoso di polvere e fango dove spesso tira vento su impulso di un uomo lontano dai riflettori, è stato costruito da pargoli e adolescenti nel giro di alcune generazioni a partire dai primi anni ’90. Loro, i piccoli calciatori in erba, corrono, imprecano, si allenano e si divertono un mondo sotto la guida di Giuseppe Giuliani. L’allenatore che naviga sui 72 anni (un signore pensionato con un passato lavorativo all’Intendenza di Finanza e all’Agenzia delle Entrate, ha iniziato la sua attività sportiva per 20 anni alla parrocchia di San Ciro di Foggia) dedica tutto il suo tempo a chi si è appena affacciato all’esistenza.
foto Gilan |
Ci mettono l’anima per essere educati alla responsabilità. non tifosi ma sportivi partecipi in spirito d'amicizia e lealtà. «Qui al “Gruppo Sportivo Lourdes” la maestria nel gioco del calcio è relativa, conta soprattutto per i minori l’esperienza di vita dentro e fuori dalla partita di calcio. Il primo obiettivo è far germogliare il senso di responsabilità. Noi offriamo prima di tutto un comportamento di vita a questi ragazzi. Da qui è uscito Fabio Troccoli che abbiamo ceduto a 17 anni al Foggia di Zeman in serie A,e poi Curci al Manfredonia, in cambio di palloni e tenute da calcio. La parte più bella e significativa è che i piccoli calciatori sono felici. Oggi da me vengono i nipoti ad apprendere i rudimenti del calcio e per ricordare i loro genitori o nonni» racconta il vecchio mister.
foto Gilan |
In questa dimenticata periferia meridionale della
Capitanata, dove comunque è un pullulare di scuole calcio sorte su iniziativa
privata e senza alcun sostegno pubblico o scopo di mero lucro, si è al cospetto
prima di tutto d'una scuola di vita, una scommessa vinta da tempo in un territorio
dove imperversa e spadroneggia la criminalità organizzata. Il motto è
disarmante: nessuno escluso. Armonia e gratuità: quasi un miracolo in questa
scuola calcio d’altri tempi, dove chi non ha i soldi per la retta mensile (10 euro) può
giocare comunque con gli altri. Il primo dono: l’allenatore che regala un paio
di scarpe da calcio ad ogni nuovo arrivato.
L'influenza dell'allenatore a quest'età è decisiva. Un buon allenatore deve conoscere bene non solo i suoi ragazzi uno per uno, ma anche le dinamiche del gruppo, cercando di comprendere quando imporre la serietà e quando invece è il momento di scherzare con loro. Deve avere polso, richiamare, ma anche incoraggiare la solidarietà.
foto Gilan |
«Non ci
sono bambini incapaci
a questa età:
tutti devono poter
giocare perché conta più questo del risultato. Se nessuno si
sente tagliato fuori, partecipa meglio alla vita del gruppo. Facendo capire che
la crescita di tutta la squadra, di
tutto il gruppo conta più dei punti in classifica, mostra ai bambini
come la
solidarietà, l'aiuto reciproco,
il volersi bene, valga molto di
più Questa consapevolezza diventa fondamentale nel momento delle sconfitte: sono momenti, questi, che si prestano alla ricerca dei colpevoli. Se non
esiste un clima di salda e sincera
amicizia, si finisce per isolare
e demonizzare il presunto o i presunti responsabili dell'insuccesso e talvolta è l’allenatore stesso
che contribuisce purtroppo a questo
processo sommario dimenticando
quelle che sono le finalità ed i giusti principi che
muovono la sua attività. In un clima sereno e divertente i bambini, assai
motivati dal contesto positivo, impareranno
a rinunciare a qualcosa di sé stessi:
chi l'arroganza, chi la timidezza,
chi l'egocentrismo. Crescendo imparano anche
a dialogare su temi nuovi che siano altro dal calcio»
racconta mister Giuliani.
Racconta una mamma da Milano: «Qui al nord non è più
così, ho amici con figli che fanno calcio, ma gli insegnano già la
competizione, li schedano se sono leader o meno.. i genitori li seguono
ossessivamente, vivono la vita dei loro figli. Sono catapultati subito in quel
sistema che li risucchia e li giudica fin da piccoli e li fa crescere insicuri,
proprio perché vivono solo le aspettative dei grandi e non il gusto del gioco
fine a sé stesso. Genitori e allenatori che problematizzano i caratteri dei
bambini».
foto Gilan |
foto Gilan |
Giocare, correre dietro un pallone, vivere e confrontarsi
liberamente con i propri coetanei sono
non solo attività preferite dai bambini, ma anche finalità ed obiettivi sui quali dovrebbe reggersi
qualsiasi scuola calcio, emarginando ed escludendo ogni forma di competizione violenta
ed agonismo esasperato, deleteri per un felice e sano sviluppo del bambino,
l’adulto di domani. La leva calcistica del
'68 di Francesco De Gregori
dipinge un bambino gracile, ma
determinato, al quale si può consigliare: «Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/Non è mica da
questi particolari/Che si giudica un giocatore/Un giocatore lo vedi dal
coraggio/Dall'altruismo e dalla fantasia». Vincere? Meglio
partecipare. Allora, più pedagogia e meno economia: i bambini sono presente e futuro della vita.
SCUOLA
CALCIO
I grandi lavorano, i piccoli giocano. Del resto, giocare è
una delle attività più importanti per lo sviluppo dei bambini. Il gioco è
fondamentale perché è il modo in cui i bimbi conoscono il mondo e crescono. Non
è qualcosa che riempie dei vuoti tra un'attività e l'altra, ma è l'attività per
eccellenza che loro utilizzano per scoprire tutto ciò che li circonda. I
bambini cominciano a giocare fin da subito, anche se noi non ce ne accorgiamo.
Quando i neonati portano il piedino alla bocca, ad esempio, è una prima forma
di divertimento. Fino ai 5-6 anni, poi, il gioco è fondamentale e anche le
attività parasportive dovrebbero avere una base fortemente ludica. Tutto ciò
che è pseudo-agonismo, cioè che si configura come un impegno per il bambino,
dovrebbe cominciare alle elementari. La dimensione ludica, poi, continua anche
alle medie, alle superiori e permane fino nell'età adulta, anche se il tempo a
disposizione si riduce notevolmente. Più i bambini crescono, più i giochi
diventano importanti e strutturati. All'inizio stanno vicini agli altri
bambini, poi giocano insieme e, infine, cominciano a giocare in gruppo. I
giochi di gruppo iniziano alle elementari perché è il momento in cui i piccoli
hanno imparato a socializzare e a interiorizzare una serie di regole sociali
che a tre anni non possono avere. Iniziano dunque a provare piacere a fare
giochi sempre più articolati insieme agli altri bambini, ma per farlo devono
essere in grado di pensare e rispettare le regole. Lasciare liberi i bambini di
giocare a correre, prendersi e acchiapparsi, anche solo mezz'ora al giorno, ha
l'importante funzione di tirare fuori la loro energia e sfogarsi.
La domanda diffusa e crescente di una diversa qualità
della vita individuale e collettiva, ha
fatto sì che il momento ludico diventasse uno dei momenti aggregativi della nostra società. Oltre al
carattere di espressione fisica e psichica, il gioco ha così acquisito quello di
crescita culturale e civile. Non solo svago, cura e difesa
della salute ma anche cura del movimento e del corpo; non
solo mezzo per raggiungere
risultati nelle competizioni ma anche opportunità di vivere insieme agli altri.
Né può essere dimenticata la funzione educativa del gioco all’interno delle strutture
scolastiche ed associative in genere: le
scuole o le associazioni difatti
dovrebbero educare fisicamente i giovani a far nascere lo sportivo del
domani, uno sportivo che non confonda la competizione con
l’aggressività, il tifo con la violenza, la cultura del corpo con l’esibizione
fine a se stessa. Educare allo sport
significa anche e soprattutto educare al vivere civile: troppo spesso leggiamo di incidenti durante manifestazioni
sportive, troppo spesso l’agonismo esasperato
e l’individualismo esibizionista prendono il posto di quello che è il vero
gusto della competizione ed il piacere di una pratica individuale e collettiva.
Il calcio ad
esempio è una di quelle discipline maggiormente “inquinate” da esasperazioni, scandali, processi, violenze e
simili aspetti negativi, talvolta, giungono a contaminare anche quei centri dove
i bambini si avviano alla pratica di tale
sport, dove giocando e correndo dietro una palla sognano di diventar grandi campioni. La scuola calcio è
rappresentata come un'occasione ed un luogo di gioco, entro il quale i bambini
possono veder soddisfatta l'esigenza ludica di cui sono portatori. La scuola calcio
è descritta come dotata di una valenza educativa, in quanto strumento di
socializzazione e di trasmissione dei
valori di solidarietà e di rispetto che accompagnano la partecipazione
guidata alla vita del gruppo ed alla pratica sportiva. Spesso le persone che
operano con i bambini si sentono in primis educatori, e poi allenatori.
Ci sono tanti casi di ragazzini problematici ("timidi", "taciturni", "isolati") che attraverso la socializzazione
indotta dalla partecipazione alla scuola del calcio hanno mostrato
"sorprendenti" cambiamenti. Limite dell’offerta ludico motoria dei
centri di avviamento al gioco-calcio è il fatto che nel
sistema organizzativo, così come negli atteggiamenti
delle famiglie dei ragazzi, essa non trova consenso pieno, ma è antagonizzata da una declinazione della
scuola calcio come momento di
costruzione del futuro calciatore professionale. Calcio ed educazione: è
un binomio possibile? Il calcio come educazione è possibile: il calcio come
metafora dell'educazione. L'attività sportiva costituisce in sé, nella pratica,
nel susseguirsi di allenamenti e partite, nel proporsi di sconfitte e vittorie,
una palestra che può rafforzare i messaggi educativi, ma lo stesso ambiente nel
quale lo sport si svolge può essere un alleato prezioso per il genitore. Il gioco
del calcio, dunque, quale ingrediente ben dosato in un'accurata educazione dei
figli, intendendo con tale termine, lo sforzo che i genitori devono fare - è
loro compito gravoso - per sviluppare la
personalità del figlio guidandolo ad essere persona matura e completa nella
pienezza delle qualità umane
indispensabili. Tra esse si ricordano lealtà, onestà, fedeltà, giustizia,
generosità, solidarietà, poiché si diventa "capaci" di tali qualità attraverso
la ripetizione di atti virtuosi, ogni occasione per esercitare le virtù non fa che rafforzare
l'abitudine a comportarsi correttamente
nelle varie situazioni. Fare sport per i bambini deve essere piacevole e
divertente, deve essere un’occasione per
sviluppare competenze e capacità, per socializzare e trovare nuovi amici. L’allenatore
può e deve essere al tempo stesso educatore, istruttore e confidente, specie
nel periodo dell'adolescenza. Per i bambini il calcio a questa età deve essere
soprattutto divertimento. L'allenatore deve essere capace di tirare fuori da
loro quanto di buono hanno innanzitutto come
persone e poi come atleti. Ogni bimbo viene al mondo pieno di promesse,
talenti e prodigi. Ogni bambino, verrà influenzato dagli ambienti che lo
circondano - alcuni buoni, altri meno - affidandosi al cuore e all'anima per
trovare la sua strada nel mondo e diventare un essere umano.
Dal quotidiano L'Attacco, 24 novembre 2018:
L'Attacco, 24 novembre 2018 |