Tavoliere di Puglia: braccianti rumeni - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
di Gianni Lannes
Lo sfruttamento a sangue degli
umani permane, senza pietà. Adesso, ora, mentre scrivo, basta aggirarsi nel Tavoliere di Puglia per
rendersene conto di persona. I moderni schiavi arrivano soprattutto dall’Africa
e dall’Europa dell’Est. E in questo terzo mondo dell'Europa, approdano anche tanti bambini, di cui si perdono sempre le tracce. Gli uomini a crepare di fatica disumana nei campi, le
donne sovente minorenni a sbattersi sotto magnaccia sulle strade pubbliche, sotto
lo sguardo distratto delle forze dell’ordine.
Dopo un secolo non è cambiato nulla, se non la nazionalità dei soggetti incatenati, con le banche e i mafiosi in colletto bianco che hanno sostituito i latifondisti di una volta.
Sembra un racconto dello schiavismo odierno in Italia, o meglio in Puglia, invece risale al 1908 e l’ha scritto Giuseppe Tropeano in un raro volume introvabile (La malaria nel Mezzogiorno d’Italia), un medico socialista. Ne ho trovato una copia cartacea alla biblioteca provinciale di Foggia, una delle tante che il governo Renzi vuol serrare, poiché la cultura accompagnata alla memoria storica da chi sgoverna è considerata inutile. Dunque una narrazione di uno spaccato non del XIX secolo, bensì del XXI. E’ uno dei rari affreschi sociali dell’epoca che racconta com'era la Daunia.
Tavoliere di Puglia: bracciante rumeno - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
Dopo un secolo non è cambiato nulla, se non la nazionalità dei soggetti incatenati, con le banche e i mafiosi in colletto bianco che hanno sostituito i latifondisti di una volta.
Sembra un racconto dello schiavismo odierno in Italia, o meglio in Puglia, invece risale al 1908 e l’ha scritto Giuseppe Tropeano in un raro volume introvabile (La malaria nel Mezzogiorno d’Italia), un medico socialista. Ne ho trovato una copia cartacea alla biblioteca provinciale di Foggia, una delle tante che il governo Renzi vuol serrare, poiché la cultura accompagnata alla memoria storica da chi sgoverna è considerata inutile. Dunque una narrazione di uno spaccato non del XIX secolo, bensì del XXI. E’ uno dei rari affreschi sociali dell’epoca che racconta com'era la Daunia.
«Qui in Puglia è la grande fiumana del popolo lavoratore
che si muove… Partono i lavoratori di Puglia dal mercato, ch’è la piazza
principale del paese, dove il padrone, o chi per lui, compra nella serata
precedente alla giornata di lavoro, a cento a cento, le braccia che restano incrociate
per più ore in un raccoglimento fremente, sul luogo della vendita, in attesa
che rattrista! La vendita della merce lavoro è avvenuta e la piazza si spopola
e si popolano spaventevolmente le
grotte, le taverne, i tuguri, le casupole… Al mattino, all’alzar del sole, i
campi sono già popolati di laboriosi abitatori. Le ore di lavoro, in media
annuale, nelle Puglie oggi non sono molte, in virtù delle agitazioni proletarie
di questi ultimi anni. Ma queste ore di lavoro, nei periodi di intenso lavoro,
diventano numerose e faticosissime. Né il tavoliere dà ristoro all’ombra, né dà
il conforto dell’acqua. E le notti sono umide e pesanti o arse e asfissianti,
quanto le giornate. Il tavoliere è cosparso di pochissime masserie. I lavoratori
giungono sul posto di lavoro dopo moltissimi chilometri di traversata pedestre.
nelle ore canicolari riposano sotto il sole, sulle zolle nude, scottanti. nei
pochi antri di fabbrica che qua e là, a una distanza incommensurabile, si
erigono attraverso le oceaniche pianure, vengono ricoverate le bestie di lavoro…
Già una parte di essi (contadini stabili), è obbligata a restare nelle
campagne; guardiani, mandrini, bifolchi, garzoni e anche contadini a contratti
speciali. Li abbiamo visti dormire all’aperto davanti alle porte sgangherate di
quei letamai che accolgono le bestie da lavoro, o in quegli stessi letamai che
sono veri antri vergognosi e inumani, rimescolarsi nella paglia impastata di
letame, fra le zampe delle vacche; li abbiamo visti dormire sul qualche sacco
di erbe, accumulati come pecore, confusi coi cavalli, coi conigli, cogli asini,
coi buoi… Quella turba sterminata di umane figure che, come stormi di bestie
invade gli abitati e s’installa sui marciapiedi e lì dorme coprendoli tutti,
impedendo il passo ai cittadini; quella turba di figure cenciose, allampanate,
sporche, gonfie, terree, cogli occhi incavati, col viso orrendo, armati di
falci lunghissime, di randelli robusti e nodosi, sotto il peso di quei sacchi
gonfi di pane e cenci; quella turba di umane figure che di notte affolla i
limitari e i perimetri delle case, che dorme boccheggiando sulle pietre ignude
o sull’arena sporca; quella turba che all’offerta del padrone assale i campi e
miete, e lavora e canta, mangiando pane asciutto, senza acqua e qualche pezzo
di formaggio duro come le pietre, in un atto di fame disperata, che lavora e
canta ancora, e non ha tetto, non ha giaciglio, e non ha riposo e non ha
ristoro…».
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