9.6.21

ITALIA: RADIOATTIVITA' LETALE!

 


 di Gianni Lannes

Controllata dalla censura di regime: ecco la vera tragedia elusa da istituzioni, autorità, politicanti, esperti, mass media telecomandati, nonché ignorata dalla gente. Altro che nuovo coronavirus (Sars CoV2/Covid-19). Nel 2021 - secondo Annals of Oncology - si prevedono più di 1,4 milioni di decessi per tumori tra Unione Europea e Regno Unito. Quanto all'Italia, gli ultimi dati ufficiali (ampiamente sottostimati) in materia risalgono a 4 anni fa e attestano che ogni giorno muoiono 485 persone a causa di un tumore. Appunto nel 2017, nel Belpaese i tumori (maligni, benigni e di incerto comportamento) hanno causato la morte di 180.085 persone equivalenti al 27,7 per cento di tutte le 650.614 morti registrate in quell’anno: 79.962 decessi tra le donne e 100.123 tra gli uomini. I dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) indicano per il 2016, ben 179.502 decessi attribuibili a tumore, tra i circa 600 mila decessi verificatisi in quell’anno. Le cause? Il capillare inquinamento ambientale. E il governo italiano (prima Conte, ora Draghi) è a dir poco latitante. Peggio: aumentano anche i tumori che colpiscono l'infanzia.



Ma quale isola tricolore felice: ancora e sempre navi dei veleni nello Stivale (isole incluse). Il 18 febbraio 2021, nel porto di Taranto la locale Capitaneria di Porto ha eseguito controlli sui rifiuti di bordo di una nave mercantile battente bandiera di Singapore. A seguito di questi accertamenti, è stato rinvenuto materiale sospetto, che il personale della nave doveva conferire alla società Nigromare di Taranto, come semplice rifiuto. La Nigromare risulta essere concessionaria del servizio di raccolta dei rifiuti di bordo autorizzata dall'Autorità di sistema portuale di Taranto. Il personale addetto della Capitaneria di Porto ha eseguito un controllo radiometrico, che evidenziava un valore alto di radioattività. I militari quindi hanno provveduto a mettere in sicurezza il materiale, disponendo lo sbarco di detti rifiuti, mentre la società Nigromare si è attivata per contattare una ditta autorizzata allo smaltimento. Sono stati, quindi, eseguiti i controlli radiometrici da un tecnico ministeriale autorizzato, che confermavano la radioattività del prodotto di ben 12 volte il valore di fondo. I Vigili del fuoco di Taranto hanno effettuato il trasbordo dei rifiuti, circa 150 chilogrammi, dalla nave a un mezzo della ditta Protex di Forlì, per il successivo smaltimento.

Dopo un passato ancora presente e persistente di veleni e rifiuti tossici, inchieste e archiviazioni da Burgesi a Casino Arto nel comune di Ugento (Lecce), con dubbi e preoccupazioni maggiori mai completamente svaniti e certezze mai raggiunte, in Puglia le problematiche legate al traffico e allo smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi, alle bonifiche mai effettuate o completate, lascia alto il livello di attenzione dovuto per questo territorio. Vi è la necessità di procedere alla quantificazione dei danni ambientali prodotti dalle discariche e dagli sversamenti illegali, nonché alla misurazione degli agenti inquinanti e alla rilevazione delle patologie ad esse direttamente correlabili.

Per decenni si è assistito al silenzio di tante voci, ma in questo silenzio la voce di Peppino Basile (consigliere provinciale e comunale all'opposizione di Ugento, ucciso nel 2008) riecheggia ancora forte per le strade e le piazze del basso Salento sulle discariche abusive e quelle autorizzate, dove rifiuti tossici delle industrie del Nord sono stati smaltiti dalla mafia del Sud.

Già con interrogazione a risposta scritta numero 4-02728, (dell'8 novembre 2013) si chiedeva invano al Ministro della salute quali iniziative sarebbero state intraprese in conseguenza del disastro avvenuto per causa dell'illecita gestione di circa 127 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, provenienti quasi per intero dalla centrale termoelettrica di Brindisi e poi finiti illegalmente, dal maggio del 2000 al settembre 2007, nella discarica degli impianti della «Fornace tranquilla srl» a San Calogero (Vibo Valentia). Come riportato in data 19 maggio 2020 da alcuni organi di stampa, è stata sequestrata un'area adibita a discarica nel comune di Vibo Valentia, in esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo emesso d'urgenza dal procuratore della Repubblica, Camillo Falvo e dal sostituto procuratore della Repubblica, Filomena Aliberti, relativo ad un'area di estensione di circa 100.000 metri quadri, sita nella zona industriale, località Porto Salvo (Vibo Valentia). La menzionata indagine ha evidenziato un notevole degrado all'interno dell'area ove aveva sede la ormai cessata società Cgr (Compagnia Generale Resine Sud), a suo tempo impegnata nella produzione, lavorazione e applicazione di resine sintetiche e costruzione di impianti di industria chimica. All'interno del sito è stato rinvenuto un ingente quantitativo di rifiuti speciali, anche pericolosi (pneumatici fuori uso, eternit, materiale ferroso), nonché un cospicuo numero di «ecoballe» stoccate all'interno di capannoni. All'esame radiometrico - eseguito con l'ausilio dei tecnici del dipartimento Arpacal di Vibo Valentia e Catanzaro - è stato accertato, inoltre, un livello elevato di radioattività all'interno del sito. Come riportato in data 16 maggio 2020 da alcuni organi di stampa, anche il torrente La Grazia è divenuto una discarica, dove il flusso delle acque viene ostacolato da spazzatura, oggetti ingombranti e pneumatici. Ciò ha causato, nel 2010, la morte di un allevatore risucchiato dal corso d'acqua in piena mentre conduceva il suo gregge e pochi mesi più tardi, nel 2011, una vera e propria esondazione con frane che ha causato l'invasione di acqua e fango sulle strade limitrofe, fino al litorale.

A seguito di una segnalazione pervenuta all'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) i controlli effettuati sul posto nel corso dell'anno 2013 a cura del locale comando stazione di Polizia forestale, unitamente agli ispettori ambientali dell'ARPAT aventi qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, individuavano all'interno dello stabilimento ubicato nell'ex cava in località Paterno, nel comune di Vaglia (Firenze), la presenza di numerosi grandi sacchi contenenti polveri di natura e provenienza ignote. Successivi accertamenti hanno consentito di stabilire che si tratta di centinaia di tonnellate di rifiuto proveniente dalla società Med link di Aulla (Massa e Carrara), ditta che commercia sabbie di vari spessori (o mesh) provenienti dall'Australia, e che ritira dai propri clienti il rifiuto derivante dalle attività che impiegano le sabbie abrasive vendute dalla stessa società. Le sabbie originarie provenienti dall'Australia risultano peraltro radioattive, come si evince da documenti della stessa Med link, con varie concentrazioni. Il suddetto rifiuto consiste in sabbie esauste, contenenti anche residui dei metalli oggetto di taglio o sabbiatura, comprese le vernici asportate con tale tecnica. Dalle analisi chimiche prodotte dalle ditte utilizzatrici, infatti, nei loro residui di lavorazione risultavano presenti molti metalli pesanti quali rame, piombo, nichel ed anche, più raramente, mercurio in concentrazioni molto elevate. L'accumulo progressivo del rifiuto in grande quantità presso la Med link ha costretto l'azienda stessa a trovare una soluzione per lo smaltimento, conferendo le sabbie al proprietario dell'ex cava citata che le pagava un euro a tonnellata. In realtà, si evince dalla stessa relazione tecnica prodotta in proposito dalla Med link ai fini di ottenere l'autorizzazione che dal presunto recupero delle sabbie si ottenevano due granulometrie riutilizzabili ed un rifiuto, da allontanare conformemente alle disposizioni in materia di rifiuti. L'azienda a cui fa capo l'ex cava di Vaglia non risultava titolare di nessuna autorizzazione per trattare rifiuti e riusciva solo a stoccare le centinaia di sacchi contenenti le sabbie direttamente sui piazzali dell'ex cava senza nessuna protezione. Alla segnalazione all'autorità giudiziaria, con il reato ipotizzato di traffico illecito di rifiuti ed associazione a delinquere, ha fatto seguito un procedimento giudiziario presso la Procura Antimafia di Genova, pervenuto a sentenza in data 11 giugno 2018.

Quali provvedimenti l'attuale inquilino di Palazzo Chigi  intende assumere, anche di carattere normativo, per impedire che le sabbie, contenenti metalli pesanti in varie concentrazioni, possano essere immesse nell'ambiente senza nessuna precauzione, in virtù di una sentenza del Tribunale di Genova? Quali accertamenti intenda effettuare sulle sabbie provenienti alla società Med link dall'Australia che sembrano contenere radioattività in varie concentrazioni? Quali provvedimenti urgenti intenda assumere per normare l'uso di tali sabbie, sia della Med link sia di altre ditte, e dei rifiuti derivanti dal loro uso, al fine di prevenirne lo smaltimento nell'ambiente senza nessuna precauzione? Quale destinazione in particolare intenda prevedere per i materiali provenienti dalla sabbiatura delle grandi navi, cioè dalla sverniciatura delle grandi navi ancorate nei porti, ed in particolare delle navi militari, che potrebbero aver utilizzato vernici al mercurio come prodotti antivegetativi?

Il territorio a sud di Salerno è stato interessato, nel recente passato, da ripetuti, costanti sversamenti di rifiuti nocivi, tanto da ritenerlo gravemente contaminato da interramenti di materiale tossico e, probabilmente, radioattivo. Esistono numerosi, convergenti indizi che portano ragionevolmente a ritenere che, non solo in occasione della realizzazione delle grandi opere (come pure risulta dagli atti parlamentari della Commissione d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle associazioni criminali similari, XI Legislatura, seduta di venerdì 17 settembre 1993) ma anche in diversi altri momenti (ne costituiscono puntuale testimonianza gli atti del cosiddetto processo "Chernobyl") siano stati interrati rifiuti pericolosi da parte di imprese subappaltatrici caratterizzate da marcata opacità, per effetto della loro aderenza a gruppi criminali organizzati.

Nel sito di Saluggia (Vercelli) sono custoditi 230 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi ed acidi, prodotti a partire degli anni ‘70, durante l'esercizio dell'impianto Eurex. Secondo l'inventario nazionale quei rifiuti contengono il 75 per cento del totale della radioattività di tutti i rifiuti sul territorio italiano. Dopo l'alluvione del 2000, l'allora presidente dell'Enea inviò al Governo una lettera, recentemente ripresa dagli organi di stampa, nella quale venivano sintetizzati i risultati di uno studio fatto condurre dallo stesso presidente, da cui emerge che lo sversamento di una parte sostanziale di tali rifiuti Causerebbe gravissime contaminazioni in Vaste regioni adiacenti ai fiumi Dora e Po e alle falde freatiche adiacenti. L'elevato rischio radiologico rappresentato da quei rifiuti è noto sin dall'avviamento dell'impianto Eurex a Saluggia; già nel 1977 l'autorizzazione all'esercizio prescrisse l'obbligo di solidificazione dei rifiuti liquidi «entro 5 anni». Nel 2000, un decreto del Ministero dell'industria fissò al 31 dicembre 2005 i termini per il completamento delle attività di solidificazione dei rifiuti liquidi; nel 2005, un nuovo decreto prorogò al 31 dicembre 2010 i termini per il completamento, ad opera di Sogin, delle attività di solidificazione di tutti i rifiuti liquidi; infine nel 2010, un nuovo decreto del Ministro dello sviluppo economico autorizzò la realizzazione dell'impianto Cemex per la cementazione di quei rifiuti liquidi, prorogando il termine del 31 dicembre 2010 e prescrivendo il loro completamento entro 4 anni dall'approvazione del progetto esecutivo. Nel 2012, dopo 3 annullamenti in autotutela e riedizione della gara, Sogin assegnò l'appalto al raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla Sapiem, Maltauro per le opere civili e dalla francese Areva, come consulente nucleare. Il 24 giugno 2015, Ispra approvò il progetto esecutivo dell'impianto Cemex; pertanto, il termine per il suo completamento prescritto dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 23 dicembre 2010, è il 23 giugno 2019. Successivamente, l'amministratore delegato di Sogin ad agosto 2017, con l'unanime consenso del consiglio di amministrazione, ha risolto il contratto con Saipem, dopo un lungo e anomalo contenzioso, le cui ragioni sono sintetizzate negli atti di due audizioni in Commissione industria del Senato, a novembre 2017. Pertanto, Saipem non ha potuto procedere secondo i programmi a seguito della risoluzione del contratto e ha citato Sogin in sede civile, con richiesta di risarcimento per oltre 70 milioni di euro. Tenendo conto che il capitale sociale di Sogin è pari a 15 milioni di euro, l'eventuale soccombenza comporterebbe l'intervento dell'azionista Mef, con evidente danno alla collettività, che si aggiungerebbe al consistente incremento dei costi del decommissioning, a carico dei consumatori elettrici. A fronte di tutto questo sfacelo fallimentare Sogin, ad aprile 2018, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico istanza di rinvio della prescrizione, prevista dal decreto ministeriale 23 dicembre 2010; il Ministero a giugno 2018 ha presentato all'Isin di esprimere il proprio parere sull'ipotesi di ulteriore rinvio della prescrizione; l'Isin ha risposto ricordando che nel 2010, l'Ispra aveva indicato che la cementazione dei rifiuti radioattivi liquidi era fondamentale per ridurre in termini sostanziali il livello di rischi e che la richiesta esulava dalla competenza Isin. Ancora più grave è il fatto che a più di mezzo secolo dalla loro produzione e a 9 anni da quel parere dell'Ispra non solo ancora nulla è stato risolto, ma il rischio di incidente è aumentato notevolmente. Perché la Sogin non viene prontamente commissariata?

Nel territorio del parco del monte Netto, nel comune di Capriano del Colle (Brescia), è presente una discarica, di proprietà della ex "Metalli Capra SpA", contenente scorie radioattive con cesio-137 derivanti dalla fusione dell'alluminio in seguito ad un evento di contaminazione accidentale, avvenuto nel 1989 presso gli stabilimenti di Castel Mella e Montirone. Nel territorio interessato, coltivato principalmente con vigneti, viene prodotto il vino DOC denominato "Capriano del Colle", da circa 20 aziende locali. Il livello più alto di contaminazione, misurato nel 1990, è di 15 mila becquerel al chilogrammo, circa 150 volte oltre il limite accettabile dalla normativa vigente. La discarica è stata messa in sicurezza dall'ENEA negli anni '90. ARPA Lombardia ha rilevato "gravi lacune strutturali a causa di perdita di sedime della discarica", che producono percolato radioattivo anche se, secondo la stessa, la radioattività non sarebbe mai arrivata a contaminare in modo significativo le falde acquifere. La discarica è formata da 7 vasche profonde circa 12,5 metri; il 99 per cento dell'attività si trova nella vasca n. 3. Nel mese di dicembre 2018, in risposta alle prescrizioni riportate nei decreti del 2014 e del 2015 della Prefettura di Brescia, la società "Raffineria Metalli Capra" in bonis ha presentato il progetto di messa in sicurezza permanente della discarica, predisposto da Arcadis, che consiste nella realizzazione di un capping multistrato superficiale e di una barriera bentonitica perimetrale. Il 30 gennaio 2019 il tribunale di Brescia ha dichiarato il fallimento della società Metalli Capra SpA e nominato curatori i dottori Davide Felappi, Leandro di Prata e Stefano Midolo. Nel 2019 la Prefettura di Brescia ha aperto vari tavoli tecnici per la messa in sicurezza emergenziale della discarica, in seguito alla produzione di percolato contaminato da cesio-137, da cloruri e da ammoniaca. A maggio 2019 la curatela ha depositato il progetto di adeguamento del sistema di stoccaggio emergenziale del percolato, da attuare nelle more dell'individuazione di idoneo impianto di destinazione finale e dell'esecuzione della messa in sicurezza permanente. Gli interventi consistono nell'ampliamento del sistema di stoccaggio del percolato esistente in loco (costituito da 2 serbatoi da circa 25 metri cubi l'uno), tramite la realizzazione in tempi successivi, secondo necessità emergenti, di ulteriori 6 serbatoi da 25 metri cubi l'uno, e adeguato sistema di piping per il carico e scarico del percolato, e si chiede l'autorizzazione per l'immediato posizionamento in sito di 2 semirimorchi cisterna da circa 30 metri cubi cadauno. Nel progetto è prevista l'installazione di un impianto di evaporazione, finalizzato al trattamento in loco del percolato, alla luce dell'indisponibilità da parte di tutti gli impianti esterni a ricevere e trattare il percolato della discarica RMC, che tuttora risulta accantonato. Con lettera del 7 ottobre 2019 l'ex assessore di Capriano del Colle Giorgio Armani inviava comunicazione agli enti interessati all'autorizzazione di messa in sicurezza discarica, nella quale venivano evidenziate delle perplessità relative al progetto emergenziale a tutela del territorio e dei cittadini chiedendo: a) che nessun rifiuto venga portato presso la discarica "Capra" di Capriano, proveniente dai siti industriali di Castel Mella e Montirone; b) che le 3 cisterne autocarrate depositate presso la discarica "Capra" vengano portate presso i capannoni a Castel Mella o Montirone, luogo più adeguato e sicuro; c) che il percolato prodotto venga conferito presso discariche autorizzate e, se non disponibili, presso gli immobili della società "Capra" a Castel Mella o Montirone; d) nessun trattamento del percolato venga effettuato presso la discarica "Capra" a Capriano; e) che i fanghi dal trattamento del percolato non vengano depositati presso la discarica Capra a Capriano ma vengano portati in discarica o in luogo autorizzato: f) che la procedura fallimentare crei un fondo a ristoro di tutte le spese passate, presenti e future per la gestione globale ed il mantenimento in sicurezza della discarica Capra; g) che vengano tutelati i viticoltori anche con il ristoro delle spese causate dalle problematiche evidenziate dalla discarica "Capra". Nel mese di settembre 2019 la Prefettura di Brescia ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finanziamenti per le spese necessarie alla messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi; sulla base della documentazione presentata è stato rilasciato un finanziamento pari a 5.125.380 euro per i seguenti siti: Cagimental, Capra Montirone, Capra Castel Mella, Service Metal Company Mazzano, IRO Odolo, Alfa Acciai Brescia, e non ammettendo quindi il sito di Capriano del Colle, la discarica più grande e che ha una potenza radioattiva molto più elevata rispetto alle altre.

Quali sono le motivazioni per cui il Ministero dell'ambiente non ha ancora sollecitato alla curatela la messa in sicurezza della vasca numero 3, che da sola contribuisce al 99 per cento della contaminazione, e non ha individuato i siti adeguati per realizzare il deposito con parco tecnologico nazionale per smaltimento delle scorie nucleari? Quali siano le soluzioni messe in atto o che si intenda promuovere per la tutela del territorio e dei viticoltori.

La Sogin, la società pubblica di gestione del nucleare, a seguito del nullaosta del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con enorme ritardo soltanto il 5 gennaio 2021, ha pubblicato - sul sito web www.depositonazionale.it - la documentazione non completa, tenuta dal 2015 sotto riservatezza assoluta, della Cnapi, la Carta nazionale delle 67 aree più idonee, nelle quali potrà essere costruito il deposito per lo stoccaggio nazionale del rifiuti radioattivi. Con questa pubblicazione, attesa da anni per responsabilità dei Governi che si sono succeduti, si va verso la realizzazione del deposito dei rifiuti radioattivi che permetterà di conservare in via definitiva i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività. L'elenco dei siti potenzialmente idonei era pronto dal 2015 ed i Governi Renzi, Gentiloni e Conte, a giudizio degli interpellanti, hanno perso anni di tempo prezioso per far partire la procedura per scegliere il luogo dove costruire il deposito nazionale nucleare. La pubblicazione della Cnapi, almeno in teoria, dà l'avvio alla fase di consultazione dei documenti per la durata di due mesi, all'esito della quale si terrà, nell'arco dei quattro mesi successivi, il seminario nazionale. In base alle osservazioni e alla discussione nel seminario nazionale, Sogin aggiornerà quindi la Cnapi, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministero dello sviluppo economico, dell'ente di controllo Isin, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In base a questi pareri, il Ministero dello sviluppo economico convaliderà quindi la versione definitiva della carta, ovvero la Cnai, la carta nazionale delle aree idonee. Le 67 aree potenzialmente idonee, sono situate nelle regioni Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia, e sono state individuate senza alcuna comunicazione e coinvolgimento delle amministrazioni locali interessate che hanno appreso tutto dalla stampa nazionale. Il suddetto metodo di comunicazione produrrà nel futuro nei possibili 67 siti, difficoltà e complicazioni di carattere amministrativo e soprattutto di valorizzazione agricola e industriale/artigianale delle aree interessate. Fino alla data di scelta del sito più idoneo, tutti i 67 siti vivranno nell'oblio più completo, con perdite e dislocazione di attività produttive. Quindi, tale metodo ha condizionato e condizionerà queste località con danni che ad oggi non sono calcolabili.

Tra le sette regioni, una di quelle dove sono stati individuati il maggior numero di siti per il deposito nazionale delle scorie nucleari, è il Piemonte, che conta 8 siti di cui 7 definiti «molto buoni - A1» e 1 definito «buono - A2»: due in provincia di Torino e sei in provincia di Alessandria.

Si ricorda che il Piemonte, già oggi, ha sul suo territorio il deposito nazionale (quasi l'80 per cento) dei rifiuti nucleari, peraltro in una localizzazione molto precaria dal punto di vista idrogeologico e vicina ai pozzi dell'Acquedotto del Monferrato (che «serve» 107 comuni tra le province di Alessandria, Asti e Torino). È attualmente, quindi, la regione depositaria del maggior numero di scorie radioattive. In particolare, il maggior quantitativo di rifiuti radioattivi è costituito dai rifiuti liquidi ad alta attività stoccati presso l'impianto Eurex di Saluggia, in parte ancora da condizionare (vetrificare). Il combustibile nucleare irraggiato ancora in Piemonte è stoccato invece nel deposito Avogadro, sempre a Saluggia, e sempre in una zona a forte rischio di esondazioni per la vicinanza della Dora Baltea. Una situazione precaria e pericolosa che dura da anni, e simile, seppur in misura maggiore, a quelle tante strutture (oltre 20) in cui si producono e/o si stoccano rifiuti radioattivi sul territorio nazionale, a cui solo il deposito nazionale può finalmente porre rimedio. Inoltre è da tenere conto che il nuovo deposito nazionale avrà funzione di deposito e non di trattamento, per cui oggi si hanno notevoli scorie radioattive ad alto livello di radioattività presso i depositi temporanei non trattate (soprattutto in Piemonte).

Nel 2018 è avvenuto il sequestro cautelare, dell'impianto nucleare ITREC di Rotondella (MT) che sorge in Contrada Trisaia, nel comune di Rotondella, e che fa capo alla Sogin s.p.a. Ad eseguire il sequestro è stata la procura della Repubblica di Potenza al fine di evitare il continuo sversamento in mare di acque provenienti dal sito di dismissione nucleare Itrec. Le stesse notizie circostanziano che i carabinieri del Noe abbiano effettuato in via d'urgenza il sequestro preventivo delle vasche di raccolta delle acque di falda e della condotta di scarico a mare dell'impianto Itrec/Sogin e dell'adiacente impianto «ex Magnox» che sorge in area Enea. I reati ipotizzati sarebbero: inquinamento ambientale, falsità ideologica, smaltimento e traffico illecito di rifiuti. Nell'indagine sarebbe stata accertata «una grave ed illecita attività di scarico a mare dell'acqua contaminata che non veniva in alcun modo trattata». Secondo le indagini dei carabinieri del Noe, tali acque, convogliate in un'apposita condotta, partivano dal sito e, dopo alcuni chilometri, si immettevano direttamente nel mar Jonio. Il sequestro preventivo, comunque, non interrompe le attività di «decommissionamento» del sito nucleare della Trisaia. L'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Calabria, Arpab, ha emesso una nota di chiarimenti sulla vicenda, riferendo che il Centro regionale per la radioattività Crr dell'Arpab svolge le attività di monitoraggio radiometrico sulle matrici ambientali all'esterno della zona dell'impianto Rotondella-Policoro-Nova Siri (Rete Locale per Itrec) e fornisce il supporto alle azioni di vigilanza dell'Ispra all'interno dell'impianto. In particolare, l'Arpab ha effettuato indagini in contraddittorio derivanti dalla comunicazione di sito potenzialmente contaminato, effettuata da Sogin/Enea nel giugno 2015. I tecnici dell'Agenzia, nei giorni 8 e 11 giugno 2015, avevano infatti eseguito verifiche in campo prelevando acque sotterranee da diversi piezometri ed avevano effettuato analisi sia di tipo radiologico che chimico-fisico, riscontrando superamenti di alcuni analiti, tra cui cromo VI, tricloroetilene e triclorometano, comunicati agli enti di competenza.

Il circolo di Legambiente del Vercellese ha segnalato alla Legambiente nazionale un probabile interramento di rifiuti radioattivi che sarebbe avvenuto nell'anno 2007 in occasione dei lavori di costruzione di un edificio industriale nel sito della azienda allora denominata «Sorin Site Management srl» attualmente denominata «Livanova Site Management srl». L'interramento sarebbe avvenuto alle coordinate 45°12'57.7"N 8°01'50.8"E ovvero 45.216034, 8.030780. Tali rifiuti radioattivi potrebbero essere tuttora sepolti ad una minima profondità, ricoperti dalla pavimentazione in cemento, e potrebbero verosimilmente derivare dalla attività di gestione di un reattore nucleare sperimentale che Sorin ha utilizzato negli anni ’60-’70 e che successivamente è stato smantellato per fare posto al deposito nucleare «Avogadro». Tali rifiuti radioattivi potrebbero causare un probabile danno sotto il profilo sanitario o ambientale, disperdendo la radioattività nel terreno e mettendo in pericolo anche l'importante falda acquifera sottostante che, tra l'altro, alimenta i pozzi del più esteso acquedotto del Piemonte, l'acquedotto del Monferrato, i cui pozzi sono collocati a circa mille metri a valle, nel senso di scorrimento della falda, rispetto al luogo del presunto interramento dei rifiuti radioattivi.

Non è tutto. E che dire dell'ennesima infrazione comunitaria in atto sulla mancata trasmissione governativa del Programma nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi? Attualmente non esiste una normativa procedurale che possa identificare scorie radioattive portate attraverso queste navi e non si sa come controllare i rifiuti radioattivi presenti su navi battenti bandiera di Stati esteri, esponendo a rischi altissimi non solo i nostri militari addetti ai controlli, ma anche l'intero territorio nazionale.

Riferimenti:

https://www.aiom.it/wp-content/uploads/2019/09/2019_Numeri_Cancro-operatori-web.pdf

https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_3897_0_file.pdf

https://www.epicentro.iss.it/tumori/pdf/2020_Numeri_Cancro-pazienti-web.pdf

https://www.istat.it/it/files/2021/04/Report-Cause-di-Morte_21_04_2021.pdf

https://www.annalsofoncology.org/article/S0923-7534(21)00014-4/fulltext

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=radioattivit%C3%A0

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=nucleare


Gianni Lannes, ITALIA USA E GETTA, Arianna editrice, Bologna, 2014.

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