21.8.15

NAVE HEDIA: IN FONDO AL MEDITERRANEO NON C'E'

La Galite




di Gianni Lannes


103 miglia di Mare Mediterraneo per rotta 196° separano il mezzogiorno della Sardegna dall’arcipelago La Galite. Sono isole rocciose di origine vulcanica situate a nord della Tunisia. I fondali poco profondi sono caratterizzati da un elevato numero di scogli, soprattutto a Punta Maestrale. L'isola principale (che dà il nome all'intero arcipelago), è appunto La Galita (La Caletta), situata al centro dell'arcipelago, che misura 5,4 chilometri di lunghezza da est a ovest e quasi 3 chilometri di larghezza nella zona orientale. L'isola maggiore può essere raggiunta solo attraverso la baia dello Scoglio di Pasqua, nella parte meridionale. Questa è l’unica insenatura riparata dai venti.


Proprio qui nel marzo del 1962 si perdono le tracce della nave Hedia. Il mercantile battente bandiera liberiana, con 19 marinai italiani e un marittimo gallese, era diretto a Porto Marghera con un  carico di fosfati imbarcati a Casablanca.


 

Il 14 marzo del ’62 l’agente marittimo Giuseppe Patella riceve a Venezia il seguente cablogramma:

«1.000 Galita 6512 n807 persistendo passeremo sud Sicilia Hedia». In altri termini: «ore 10, posizione La Galita, 65, numero giri motore (normale), 12 tonnellate di consumo carburante, mare forza 8 da nord, velocità navigazione 7 nodi; se la mareggiata da tramontana persisterà passeremo sottovento».

Scandagliamo e perlustriamo i fondali del minuscolo arcipelago dove può aver gettato l’ancora l’Hedia. L'immersione è facile e non presenta insidie. Di questo relitto, però non vi è alcuna traccia sott’acqua. Come ha fatto questa nave da carico a volatilizzarsi? Sarà sprofondata in un vorticoso buco nero? Oppure la Marine Nationale ha occultato questo vascello a Sfax dopo aver imprigionato l'equipaggio?




Secondo la tesi del governo italiano l’Hedia è affondata proprio in loco. Ecco infatti, cosa recita il 18 febbraio 1964 l’allora sottosegretario per gli Affari Esteri, tale Lupis, in risposta ad un’interrogazione parlamentare:

«Il Ministero degli Affari Esteri ha svolto il più attivo interessamento sia direttamente sia per il tramite delle rappresentanze diplomatiche e consolari in Francia, Algeria e Tunisia ed ha battuto ogni possibile strada, non trascurando il minimo indizio, affinché nulla fosse lasciato intentato nella ricerca dei marittimi italiani scomparsi nell’affondamento della nave Hedia che si presume avvenuto tra il 14 ed il 19 marzo 1962».

Sempre secondo la versione ufficiale delle autorità italiane, il 25 marzo 1962, i comandanti di due unità da pesca informarono l’ufficio locale marittimo di Lampedusa, che il giorno 19 avevano rinvenuto, a circa 6 miglia da Capo Grecale nell’isola di Lampedusa, due salvagenti anulari sui quali era scritto “Hedia-Monrovia”, una cintura di salvataggio con la iscrizione “Milly-Monrovia”, ed un tavolone da boccaporto; un’altra unità da pesca, in latitudine 35°37’ Nord e longitudine 12° 30’ Est aveva rinvenuto un altro tavolone da boccaporto con evidenti macchie di nafta e olio.

Tuttavia, stranamente nel Registro dei sinistri marittimi della Capitaneria di Porto Empedocle e della Direzione Marittima di Palermo, non c’è proprio alcuna traccia di questo presunto affondamento, neppure uno striminzito verbale di consegna alla guardia costiera dei reperti ripescati in mare.

Più di tutto, Lampedusa dista ad una considerevole distanza da La Galite. Il punto più vicino della Terraferma è piuttosto Capo Ferrato, esattamente a 38 chilometri. Per rotta 194° Tabarca è appena a 30 miglia, mentre Biserta dista 70 miglia nautiche. Ma in tal caso, un’eventuale rotta in direzione Est-Nordest, offre rari ridossi per i venti del terzo e quarto quadrante. E notoriamente, per rotta 90° da Kelibia, l’isola italiana più vicina è Pantelleria, non la remota Lampedusa.

I1 22 marzo 1962, radio Malta comunica a Marisicilia di avere intercettato da radio Tunisi questa notizia: «Capitano porto Tunisi segnala nave liberiana Hedia cessate trasmissioni dal 21 marzo ore 10.14, sembra in difficoltà posizione La Galita stop navi in vicinanze diano notizie». Sono state la autorità diplomatiche italiane e non altri a smentire questa segnalazione. Perché? All’epoca secondo la Farnesina il mercantile riforniva di armi la Resistenza algerina (FLN), per la guerra di liberazione contro la Francia. Non solo Mattei ma soprattutto la Esso - dietro copertura del governo USA - si era prodigata in aiuto dell’FLN, in previsione dello sfruttamento petrolifero del territorio algerino.

Dalla sera del 13 marzo ’62, vale a dire ancora qualche giorno prima degli accordi di Evian, una squadra navale francese partita dalla Corsica, incrocia nella acque di La Galite. Fra le unità da guerra transalpine figurano l’incrociatore Colbert, la portaerei Lafayette e ben otto cacciatorpedinieri.

Il 27 marzo la Marina Mercantile italiana emise questo dispiaccio: «Situazione ore 19: la nave sta risalendo lentamente l'Adriatico. E' stato incaricato un ufficiale di mettersi in contatto con la "Hedia"».

Meno di un mese dopo, il Lloyd’s Register di Londra ha comunicato che il comitato dei Lloyd’s l’11 aprile 1962 ha dato come perduta la nave Hedia. Nell’imminenza dell’accaduto l’autorità marittima della Repubblica di Liberia, di fatto controllate da una società privata con sede a NewYork, ha fatto precedentemente pervenire un verbale di scomparizione in mare della nave, del carico e di tutto l’equipaggio.

Non a caso, in tutta fretta l’11 giugno 1962 la nave Hedia viene cancellata dai Registri navale della Liberia. L’atto di abbandono è stato “legalizzato” (si fa per dire!) dal console liberiano a Venezia il 28 giugno 1962.

Nell’imminenza della tragedia, il padre del marconista Claudio Cesca, non fidandosi più a ragione della autorità italiane, invia in loco un lupo di mare a perlustrare senza risultato La Galite compreso il litorale nordafricano; al contempo si rivolge al comando dei carabinieri di Trieste. Risultato? La denuncia viene insabbiata dall’Arma. Non vi è stata alcuna un’indagine della magistratura, eppure i tribunali di Venezia, Pesaro, Trani, Catania e Sciacca hanno comunque sentenziato la morte dei 19 marinai, come avvenuta il 14 marzo 1962.

Algeri: ambasciata francese (2 settembre 1962), alcuni marinai italiani prigionieri - foto Jim Howard (UPI)

Casualmente il 2 settembre 1962, il fotografo di guerra Jim Howard, inviato dell'UPI, fotografa un gruppo di prigionieri nell’ambasciata francese di Algeri. L’Ansa acquista lo scatto e lo diffonde in Italia. Il 13 settembre successivo l’immagine viene pubblicata dal Gazzettino di Venezia. Poco dopo ben cinque marittimi italiani vengono riconosciuti con sicurezza assoluta dai familiari; altri due con formula dubitativa. A suo tempo, Howard, rintracciato dall’ambasciata d’Italia a Parigi, chiarì che si trattava di un gruppo di prigionieri europei tra i quali a quanto egli rammentava, si trovavano degli italiani trattenuti dai francesi.

In seguito, la macchina istituzionale si rimise in moto e mandò in campo un giornalista venduto al miglior offerente, per portare a compimento il depistaggio finale. Il 13 novembre 1967, il console onorario di Orano scrive alla signora Rosa Guirreri, madre di Fillippo Graffeo:

«… Il vice consolato di Bona pur a conoscenza dell’incidente in quanto aveva avuto occasione d’interessarsene, ha tuttavia assicurato che “non si è trovato alcuna traccia del naufragio in causa, né tantomeno notizie di naufraghi raccolti in terra algerina”».

Alla fine, nonostante, le menzogne di Stato, anzi di nazioni alleate (Italia e Francia) la verità emerge, basta cercarla, perché le stragi di umani non vanno mai in prescrizione. Il più giovane di questi lavoratori del mare, sequestrati, torturati e uccisi, aveva appena 16 anni: si chiamava Giuseppe Uva.

riferimenti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=HEDIA 

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/08/vaticano-armi-droga-denaro-eliminazione.html 

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/08/hedia-nessun-naufragio-ma-sequestro-e.html 

Nessun commento:

Posta un commento

Gradita firma degli utenti.