2.8.24

STRAGE DI BOLOGNA: LIBERI I BOMBAROLI!

 




di Gianni Lannes

Sapere e non dimenticare. Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro sono i due terroristi esponenti di spicco del gruppo eversivo d'ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari, protagonisti in Italia di una stagione di violenze e omicidi terminata solo con il loro arresto, rispettivamente nel 1981 e nel 1982. I due, coniugati dal 1985, sono stati riconosciuti come gli esecutori materiali della strage di Bologna e condannati all'ergastolo. Non si sono mai pentiti e risultano liberi, nonostante i rispettivi 8 e 9 ergastoli sul groppone. Com'è possibile che due efferati pluriassassini possano albergare come se niente fosse nel consesso civile?


 

L'allora Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte il 22 agosto 2020 non solo ha reiterato la secretazione sugli atti per altri 8 anni, seppur in occasione della ricorrenza dei 40 anni delle due stragi di Ustica e Bologna, pubblicamente si fosse prodotto in numerose dichiarazioni di circostanza, favorevoli alla declassificazione dei documenti.

Bologna: stazione - foto Gilan

 

Perché dopo ben 44 anni, gli atti relativi alle stragi di Ustica e Bologna sono ancora un segreto indicibile. Perché l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, non scioglie il segreto di Stato ed il segreto funzionale su tutti i documenti riguardanti, direttamente o indirettamente, le gravi stragi che hanno caratterizzato il periodo degli “anni di piombo” della storia del Paese, ed in particolare quanto ancora classificato e secretato sulla vicenda della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e sulla strage di Ustica del 27 giugno 1980?

 

Il dovere della memoria in uno Stato di diritto (eterodiretto dall'estero), in una democrazia sia pure incompiuta. Le bombe in tempo di pace (apparente): 44 anni fa, il 2 agosto 1980, esplodeva la stazione ferroviaria di Bologna. Sotto le macerie i cadaveri straziati di almeno 85 persone (tra cui bambini) e 207 feriti, 70 dei quali rimarranno invalidi a vita. Gli atti dopo quasi mezzo secolo sono ancora secretati dallo Stato italiano. Allora la verità è un'altra, non quella propagandata per decenni? Chi rammenta le dichiarazioni del ministro della giustizia Alfonso Bonafede in occasione del ricorrente anniversario, quando disse che «tutti gli atti» relativi ai processi sulle stragi «saranno digitalizzati e accessibili a tutti», con «banche dati facilmente consultabili da una platea quanto più vasta possibile»?



Il segreto di Stato non può essere opposto ai fatti di strage, ai sensi della legge numero 124 del 2007. Nonostante ciò, non solo permane il segreto sulle evidenze della morte in Libano dei nostri connazionali, i giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo, la cui scomparsa è probabilmente legata alle stragi di Bologna e di Ustica, ma numerose documentazioni sono ancora sottoposte al “segreto funzionale”, che impedisce di utilizzare i documenti presenti negli archivi delle Commissioni d’inchiesta, come ad esempio quelli della Commissione Mitrokhin, della Commissione Stragi, delle Commissioni Moro. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sostanziale ‘arbitro’ del segreto opposto da qualsivoglia autorità politica o amministrativa, è l’unico che può disporre la desecretazione di tali documenti.

Durante il processo (1/2018 RG), presso la Corte d’assise di Bologna, i difensori dell’imputato Bellini chiesero di poter visionare, per motivi di giustizia ed indagine difensiva, gli atti, già secretati e classificati, relativi all’attentato accaduto a Bologna il 2 agosto 1980, nonché l’accesso ad alcuni documenti, anch’essi sottoposti a segreto, che fanno parte degli atti del procedimento penale sulla scomparsa in Libano dei giornalisti Italo Toni e Graziella de Palo, per vedersi rigettata la richiesta con missiva del 14 maggio 2019 a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Con atto di sindacato ispettivo 4-02390 datato 29 ottobre 2019, ancora in attesa di risposta, si chiedeva al Presidente del Consiglio dei ministri le motivazioni del rifiuto e se ritenesse, al contrario, opportuno riconsiderare il segreto su tutti i documenti riguardanti, direttamente o indirettamente, le gravi stragi che hanno caratterizzato il periodo degli “anni di piombo” della storia del Paese, ed in particolare quanto ancora classificato e secretato sulla vicenda della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.

Il segreto di Stato non può essere opposto ai delitti di strage, ai sensi della legge numero 124 del 2007, purtuttavia, non solo permane il segreto sulle evidenze della morte in Libano dei nostri connazionali Toni e De Paolo, la cui scomparsa è probabilmente legata alle stragi di Bologna e di Ustica, ma numerose documentazioni sono ancora sottoposte al “segreto funzionale”, che impedisce di utilizzare i documenti presenti negli archivi delle Commissioni parlamentari d’inchiesta. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sostanziale “arbitro” del segreto opposto da qualsivoglia autorità politica o amministrativa, è l’unico che può disporre la de-secretazione di tali documenti, fra cui una mole importante di testi ottenuti dalla collaborazione con Servizi stranieri dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia; il 2 luglio 2020, il Consiglio di Presidenza del Senato ha approvato, all’unanimità, il proprio parere favorevole per sciogliere dal segreto funzionale su numerosi atti conservati negli archivi delle Commissioni parlamentari di inchiesta. Tale parere, tuttavia, non ha trovato accoglimento dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che, in data 22 agosto 2020, reiterava il segreto funzionale.


«In conclusione, deve ritenersi che l'esecuzione materiale della strage di Bologna sia imputabile ad un commando di soggetti provenienti da varie organizzazioni eversive, tra i quali era presente Paolo Bellini, uniti dal comune obiettivo di destabilizzazione dell'Ordine democratico, coordinati dai funzionari dei servizi segreti o da altri esponenti di apparati dello Stato, che a loro volta rispondevano delle direttive dei vertici della Loggia P2, a cui avevano giurato fedeltà, con un vergognoso tradimento della Costituzione Repubblicana». È questa, secondo la Corte d’Assise di Bologna, l'articolata struttura che ha pensato, finanziato e realizzato la strage alla stazione di Bologna, come emerge dalle 1.714 pagine delle motivazioni della sentenza del processo che ha condannato Bellini all'ergastolo.


Un gradino sopra, i capi della P2 Licio Gelli e Umberto Ortolani, l'ex capo dell'Ufficio Affari riservati del ministero dell'Interno Federico Umberto D'Amato e l'ex senatore del Msi e direttore de 'Il Borghese' Mario Tedeschi, tutti deceduti da anni e non più processabili, ma indicati a vario titolo dalla Procura generale come mandanti, organizzatori e finanziatori dell'attentato che fece 85 morti e oltre 200 feriti. Un gradino sotto, gli esecutori materiali, gli ex Nar Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva), Gilberto Cavallini (primo grado) e il “quinto uomo” Bellini. La prova che l’ex di Avanguardia nazionale fosse presente in stazione quel giorno è “granitica”, scrive la Corte di Assise presieduta dal presidente Francesco Maria Caruso. Era Bellini l’uomo ripreso in alcuni fotogrammi del filmato amatoriale girato da un turista straniero, si legge nelle motivazioni della sentenza. Lo ha confermato in aula anche l’ex moglie Maurizia Bonini, affermando che Bellini la mattina del 2 agosto “arrivò a Rimini non alle nove, ma molto più tardi, verso l’ora di pranzo”. Con queste parole, confessando così di aver mentito agli inquirenti negli interrogatori resi negli anni ’80, la donna “ha demolito l’alibi che all’epoca permise di scagionare Bellini”. Per la Corte non si può escludere l'ipotesi che i "giovanissimi collocatori" furono gli ex Nar e che l'ordigno fosse stato portato dallo stesso Bellini. Di certo, dicono i giudici, “gli elementi di prova” a carico di Bellini sono tali da essere “di gran lunga maggiori e più incisivi rispetto a quelli ravvisati a carico di altri soggetti che sono stati condannati per lo stesso fatto”. Ma quello che si è concluso l’anno scorso con la condanna all’ergastolo a Bellini è anche, o soprattutto, il “processo ai mandanti”, che non sono un concetto astratto, inarrivabile, spiega la Corte d’Assise, ma al contrario “un punto fermo”, perché esistono “nomi e cognomi nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l'assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica interna e internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage". Centrale il ruolo svolto da Gelli e dall'ex capo dell'Ufficio Affari riservati del ministero dell'Interno. I giudici ritengono “fondata l’idea” che all’attuazione della strage contribuirono “in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel documento Bologna”, sia l’ex venerabile che “il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo". La bomba alla stazione, scrivono quindi i giudici, “come il momento conclusivo, sia pure sui generis ed atipico” della “strategia della tensione”. Una strage di “natura politica”, per “le modalità subdole dell'azione terroristica, la dimensione del fenomeno, la gravità delle sue conseguenze, l'univoca direzione di provocare la morte di un numero indeterminato di persone e la precisa volontà di colpire con tale gesto eclatante il cuore delle istituzioni democratiche”. Con l’ambizione da parte di tutti - mandanti, finanziatori e gruppi neofascisti – di arrivare “all’instaurazione di uno Stato autoritario” che impedisse "l’accesso alla politica delle masse”.


Giuliana Cavazza De Faveri, presidente dell’Associazione per la verità su Ustica, ha dichiarato: “La Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento Informazioni per la Sicurezza (Dis), mi ha formalmente comunicato, nella mia qualità di Presidente della Associazione e figlia di una delle vittime di quel disastro aereo, che rimangono segretati i documenti relativi alla attività del Sismi a Beirut a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del 900, sui quali a suo tempo fu apposto il segreto di stato dal colonnello Stefano Giovannone, permanendo l’idoneità ad arrecare in caso di divulgazione un grave pregiudizio agli interessi essenziali della Repubblica”. Si tratta di una comunicazione di notevole gravità, che invoca generici “interessi essenziali” dello Stato considerati, incredibilmente, più apprezzabili e maggiormente rilevanti rispetto alla verità sui due tragici eventi di Ustica e Bologna.


Non conosciamo ancora i nomi dei mandanti occulti, italiani e stranieri, della strage di Bologna. E non li conosceremo mai fino a quando non saranno desecretati tutti gli atti rilevanti, non solo quelli di scarso o nullo rilievo giudiziario resi pubblici finora. Che senso ha il segreto di Stato davanti a una strage del genere dopo tanti anni? Ci sono forse ancora in gioco interessi alleati da nascondere e proteggere? Affrontare l’argomento delle stragi, la politica non sembra essere in grado di farlo, non sembra ancora pronta, sarà compito degli storici. Ed è certo che ogni aspetto o considerazione, su questi tragici eventi, rischia di perdere di vista ciò che invece dovrebbe essere l’elemento principale che non andrebbe mai dimenticato, ovvero la persona, le persone. Le vittime di questo atroce delitto, la loro memoria, il ricordo e l’affetto dei loro familiari. Al centro di ogni interesse, di ogni tutela dello Stato ci deve essere l’individuo, l’essere umano, unico nella sua specificità con tutto il suo universo, una ricchezza irripetibile nella sua originalità. È questa la missione dello Stato. Privare la vita di un individuo diviene pertanto un atto contro l’umanità intera, dove l’umanità perde una parte di se. Ed è una perdita non sostituibile. È questa sproporzione, tra l’evento tragico e la sofferenza privata, che non permette di intraprendere nessun ragionamento con serenità. La sofferenza e il dolore hanno anch’essi una dignità che non possono essere offese e violate. Ecco perché la verità su questi eventi non può e non deve essere sospesa nel tempo. Il Paese vuole sapere perché tutto questo è avvenuto e conoscere i responsabili. La distanza che corre tra il paese reale e quello che la retorica istituzionale ci presenta e ci disegna ogni giorno, con i suoi rituali, aumenta, perdendo le occasioni per chiarire i ruoli e le responsabilità di eventi scatenati in un Paese diviso, sia nella valutazione del passato che nelle prospettive sul suo futuro. Un passato scomodo da affrontare ha disegnato un futuro incerto. È ora di conoscere la verità sul passato e di immaginare insieme un futuro diverso.



Riferimenti:


https://www.ilsecoloxix.it/italia/2010/02/25/news/riciclaggio-le-intercettazioni-1-mokbel-su-fioravanti-e-la-mambro-1.33171260


http://www.stragi.it/leggepopolare


https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=italo+toni

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