3.1.25

CIVILTA' DIMENTICATA!

 

Cabras: Giganti di Mont'e Prama - foto Gilan

  

di Gianni Lannes

La Sardegna conserva intatte le tracce di paesaggi naturali arcaici. Questo inestimabile patrimonio è collocato in un contesto naturale e paesaggistico quasi prevalentemente intatto, anche se avanza il degrado ambientale. Sul piano monumentale la Sardegna dell’età del bronzo supera ogni altra realtà dell’Italia continentale ed europea, compresa la Grecia micenea. A testimoniarlo ci sono i santuari nuragici, i pozzi sacri, le cosiddette tombe dei giganti, e naturalmente le migliaia di nuraghi, davvero straordinari, come il Losa ad Abbasanta, l’Arrubiu a Orroli, il Palmavera ad Alghero o il Santu Antine a Torralba. Ma ci sono anche le tantissime testimonianze prenuragiche, a partire dalle tante tombe conosciute come domus de janas, le cosiddette case delle fate, come Sa domu ‘e s’orcu, isolata nelle campagne di Setzu, nei pressi della giara di Gesturi, o quelle della necropoli di Montessu a Villaperuccio, di Sant’Andrea Priu a Bonorva e della necropoli di Anghelu Ruju ad Alghero. 

 

foto Gilan

O, ancora, i numerosissimi dolmen e menhir che in alcuni luoghi, come nell’area di Pranu Mutteddu alle porte di Goni, assumono carattere di assoluta eccezionalità per la quantità, la bellezza e il rapporto con il paesaggio. E c’è soprattutto l’altare preistorico di Monte d’accoddi, un sito monumentale immerso nelle campagne sassaresi, costituito da una sorta di piramide tronca lunga un’ottantina di metri, inclusa la rampa d’accesso, risalente a un periodo antichissimo, forse addirittura al 4000 avanti cristo e che, per quanto manomesso in epoca moderna, rappresenta un caso unico nel bacino del Mediterraneo, tanto che spesso è incautamente accostato alle ziqqurat mesopotamiche. 

Cabras: Giganti di Mont'e Prama - foto Gilan

 

foto Gilan

 

Eppure, per quanto molti in Sardegna sembrino non accorgersene, l’immenso patrimonio archeologico sardo è rimasto quasi sconosciuto al di fuori dei confini isolani, nonostante sia fondamentale per la comprensione della storia antica dei popoli che vissero sulle sponde del Mediterraneo prima dell’avvento di Roma. 

foto Gilan

 

Le statue di Mont’e prama, con le loro rocambolesche vicende sono simboli di questo stato di marginalità del patrimonio culturale sardo. Quella dei giganti è una vicenda segregata nel dimenticatoio che i libri di storia non raccontano. Splendide statue dalle fattezze colossali con occhi profondamente vivi che attestano la marginalità della Sardegna. Dopo millenni di oblio, mezzo secolo fa riemersero avventurosamente dalle viscere della terra, dissepolti casualmente nelle campagne di Cabras. Infatti, era il marzo 1974 quando – secondo la versione più diffusa, ma non l’unica – un contadino, Sisinnio Poddi, arando un campo scoprì i primi frammenti di quello che, una volta ricomposto, si rivelò essere un complesso scultoreo risalente al periodo compreso tra la seconda metà del nono secolo avanti cristo e la prima metà dell’ottavo, datazione che colloca queste statue tra le sculture più antiche del Mediterraneo. Nelle successive campagne di scavo sono stati riportati alla luce migliaia di frammenti che hanno consentito la ricomposizione di una quarantina di sculture, tra guerrieri, arcieri, i cosiddetti pugilatori, modelli di nuraghe e betili, ovvero pietre lavorate in forma troncoconica con funzione sacra. Infine, sono emerse anche una strada e una necropoli con alcune decine di tombe, con corpi inumati in posizione assisa. Non un caso unico in Sardegna, ma è comunque un rituale funerario che vanta rari paragoni. 

 

foto Gilan

Non ha invece paragoni l’intero complesso, riconducibile alla fase finale della civiltà nuragica. Molto ancora va capito su chi l’abbia realizzato, con quale funzione e perché proprio qui, sul fianco di un’altura conosciuta con il nome di Mont’e prama, monte delle palme nane: una cinquantina di metri sul livello del mare, poco più di un’ondulazione che spicca sul piatto mescolarsi di lagune, mare e pianure in questa parte del Sinis. 

Nelle opere si nota un’influenza orientale, riconducibile all’area che corrisponde al nord della Siria. I giganti ci raccontano la storia di un Mediterraneo che si apre. Esistono testimonianze sarde in molti luoghi sulla rotta orientale che più di mille anni prima di Cristo attraversava il Mediterraneo. Minet el Beida, porto dell’antichissima città di Ugarit, per esempio ha restituito un frammento di ceramica sarda dello stesso tipo che è stato trovato anche a Cipro e a Creta. I sardi erano lì. E devono avere appreso tante cose viaggiando e costruendo relazioni con altre culture.

foto Gilan


Nell'ottobre 2024 è iniziata l’esplorazione del fondale della laguna di Cabras, in collaborazione con le università di Sassari, Lecce, Padova e Cagliari, insieme al politecnico di Torino e alla cooperativa dei pescatori di Cabras. Il lavoro che archeologi e sommozzatori stanno facendo è di scandagliare alcune zone della laguna, e in particolare quella di fronte allo scavo archeologico, quella del canale scolmatore e quella di Conca Illonis, per cogliere le relazioni tra la storia fisica della laguna, che nel tempo si è modificata, e la terraferma.

Quello sulle statue di Mont’e prama è anche un discorso sul potere, e su come il potere utilizza i simboli per autolegittimarsi. Basti pensare a come il racconto di una cultura che precede quella che trova in Roma e nella cristianità il proprio fondamento, smaschera facilmente la narrazione retorica sulle nostre radici cristiane, alla quale anche in Italia alcuni politicanti a volte ricorrono magari solo per chiudere una frontiera o limitare un diritto. I giganti insomma risultano sconcertanti non tanto per i loro occhi, ma soprattutto perché la loro stessa esistenza sottopone a critica molte certezze fortemente consolidate, raccontandoci che la radice della nostra cultura non si sviluppò solo sull’asse tra Atene e Roma, ma in antico percorse molte delle coste dell’oriente mediterraneo, risultando più articolata e profonda di quanto immaginiamo, nonché debitrice di molte culture diverse. 

 

foto Gilan


Ecco che allora non stupisce più di tanto se i giganti, come molte testimonianze della storia preromana, siano stati a lungo relegati al di fuori dalla nostra stessa storia più antica, che si dipanò per secoli in un mondo policentrico, fatto di scontri ma anche di incontri e di scambi culturali.


Riferimenti:

https://www.ansa.it/canale_viaggi/regione/sardegna/2023/01/25/la-storia-dei-giganti-di-monte-prama-rivive-in-un-libro_30ad4ed3-3bb9-4c44-b1d3-a07a91adc387.html

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=Sardegna

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