Roma, 16 marzo 1978, strage in via Fani e rapimento di Aldo Moro |
di Gianni Lannes
Cinque processi e due commissioni parlamentari.
Risultato? Ufficialmente, il nulla, nonostante i numerosi riscontri probanti. Nessun
colpevole, ovvero: ancora ignoti i
mandanti altolocati italiani e d’oltre Atlantico. In compenso è stato propinato il solito
copione di Stato, pilotato con sottofondo P2 (società eversiva finanziata e
protetta dalla CIA): depistaggi, omissioni, insabbiamenti e strani decessi come
per Ustica. Eppure, i fatti sono di per sé eloquenti e sotto i nostri occhi distratti.
Il Governo dell’epoca - Andreotti & Cossiga che ricevette un plauso ufficiale dall'amministrazione presidenziale del democratico Carter per la "buona riuscita dell'operazione" - era perfino a conoscenza del luogo di
prigionia di Moro, riferito anzitempo dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Strage, sequestro e omicidio in appalto
ai servizi segreti del Governo nord-americano infiltrati nelle brigate rosse. I
morti sono sottoterra, dimenticati dai più. Gli assassini invece sono liberi ed
impuniti. Mentre l’Italia è sempre sotto il padrone USA.
Sulla lapide dell'agguato di via Fani a Roma non si
legge chi ha ucciso lo statista Aldo e
Moro e i cinque uomini della scorta, barbaramente trucidati da
professionisti militari, non certo brigatisti alle prime armi (Morucci compreso)
sotto la supervisione dell’ufficiale dei servizi segreti Guglielmi, presente in loco la mattina del 16 marzo 1978 (come accertato inequivocabilmente dalla Commissione parlamentare di inchiesta). Anche se poi nel 2003, l'allora ministro Martino (aspirante piduista) in risposta all'interrogazione del deputato Walter Bielli, negò la presenza di Gugliemi, mentendo spudoratamente e senza alcuna conseguenza penale. Nulla è
scritto su quella targa commemorativa della minaccia di morte rivolta dal criminale Henry Kissinger (esponente di spicco del Bilderberg Group e del Comitato
mondiale dei 300) al presidente Aldo
Moro.
Sul muro di quella tragica via di Roma all’incrocio con via Stresa, c'è una lapide, protetta da un vetro, che ricorda gli angeli custodi di Moro (a tre dei quali è stato inflitto il colpo di grazia da un killer della Nato). «In questo luogo cinque uomini, fedeli allo Stato e alla democrazia, sono stati uccisi con fredda ferocia mentre adempivano al loro dovere». Non si legge di Aldo Moro, come se quegli uomini non fossero morti per il presidente della Dc. Non si legge dei terroristi telecomandati delle Brigate rosse. Chi ha ucciso quegli uomini e perché? Non c'è scritto nulla degli insospettabili membri a Firenze della direzione strategica delle Br. E niente c’è scritto di Igor Markevitch, marito in secondo nozze di una Caetani della nobiltà nera capitolina. E neppure vi è scritto della prigionia di Moro nella stessa via Caetani, nei presso di un palazzo del Sisde (il servizio segreto civile).
Quel giorno il traffico non era intenso. Le due auto
- una 130, un'Alfetta - scendevano veloci dalla collina Trionfale quando la Fiat
128 di Mario Moretti con una targa rubata del Corpo diplomatico frenò di botto
all'incrocio. Fu allora che gli altri, con gli impermeabili blu, i berretti da
piloti dell'Alitalia, uscirono da dietro la siepe con pistole e mitragliatori.
Spararono 91 proiettili contro i cinque uomini della scorta di Moro, il
maresciallo Oreste Leonardi, i
brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino - il solo che riuscì a replicare con due colpi.
Furono sterminati in una manciata di secondi.
Ero un ragazzino e quel giorno appresi la notizia a scuola, ma il ricordo si è cristallizzato in me, ed è come se fosse ora. Non c'è chi non ricordi dov'era e con chi in quel momento, che cosa
disse e fece in quel momento preciso quando seppe che cosa era accaduto a Roma.
Per chi ha l’età del ricordo, non c'è chi non abbia ancora negli occhi - al punto
da poterne avvertire ancora l'ansia del filmato televisivo della Rai - i
parabrezza frantumati, i fori neri nell'auto bianca, il corpo di Iozzino a
braccia larghe coperto da un lenzuolo bianco e la macchia di sangue
sull'asfalto - densa, scura - un caricatore vuoto accanto al marciapiede nel
piano sequenza di 3 minuti e 12 secondi dell'operatore del telegiornale che
accompagna la voce ansimante di Paolo Frajese.
Non bisogna chiedersi per quale ragione i dilettanti
allo sbaraglio delle br hanno rapito il presidente Moro e si accingevano a
liberarlo avendo richiesto in cambio un riconoscimento politico, ma perché
buona parte delle forze politiche, in primis la ditta Andreotti & Cossiga, compreso il corrotto Craxi (che voleva
approfittare della situazione per emergere), nonché la CIA, il Mossad e i servizi
segreti italiani (Sismi e Sisde), ne hanno decretato la morte.
E’ sufficiente leggere attentamente il memoriale di
Moro (perfino la versione apocrifa) - o comunque mettere a confronto le due
versioni: quella rinvenuta a Milano in via Montenevoso nel 1978 e quella del
1990 - per comprendere la logica perversa del doppio ostaggio. Vale a dire: i
segreti rivelati da Aldo Moro sul conto della NATO.
Per sciogliere il cosiddetto mistero, bastava torchiare a dovere Moretti affiliato all'Hyperion di Parigi (quello che ha
materialmente assassinato il 9 maggio 1978 il presidente Aldo Moro, sparandogli a
bruciapelo) e Morucci, come gli specialisti delle forze dell’ordine (polizia e
carabinieri) sanno fare quando vogliono.
Ci sono tanti di quegli elementi probanti per
procedere speditamente alla revisione processuale ed aprire un nuovo e decisivo
processo ai responsabili nazionali ed internazionali. Cosa si aspetta? Ecco alcune evidenze: la stampatrice in possesso
delle br proveniente dai servizi di sicurezza italiani (Rus), la scomparsa di
alcune foto scattate da un testimone oculare in via Fani e consegnata al
sostituto procuratore Luciano Infelisi, la sparizione addirittura di alcuni
verbali di interrogatorio, il mancato ritrovamento nell’auto del presidente
Moro di due (contenenti documenti estremamente riservati) delle cinque borse dalle quali lo statista non si separava mai, la
composizione quasi totalmente piduista del comitato costituito presso il
ministero dell’Interno da Cossiga con il compito di seguire la vicenda del sequestro.
Soprattutto: il ruolo del consulente personale del ministro Francesco Cossiga (il più autorevole depistatore italiota) Steve Pieczenik (laureato ad Harvard in psichiatria e al Massachussets Intitute of Technology), vice assistente del segretario di Stato, capo del servizio antiterrorismo del dipartimento di Stato degli USA. Il suo ufficio venne creato personalmente da Henry Kissinger. Secondo Sergio Flamigni (il più autorevole studioso del caso Moro) «Pieczenik diede consigli su un certo numero di strategie e tattiche molto sofisticate, che però sono rimaste segrete”. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta Cossiga ebbe a dire in proposito soltanto questo: «Il governo degli Stati Uniti ci ha garantito una qualificata collaborazione a livello di gestione della crisi».
Soprattutto: il ruolo del consulente personale del ministro Francesco Cossiga (il più autorevole depistatore italiota) Steve Pieczenik (laureato ad Harvard in psichiatria e al Massachussets Intitute of Technology), vice assistente del segretario di Stato, capo del servizio antiterrorismo del dipartimento di Stato degli USA. Il suo ufficio venne creato personalmente da Henry Kissinger. Secondo Sergio Flamigni (il più autorevole studioso del caso Moro) «Pieczenik diede consigli su un certo numero di strategie e tattiche molto sofisticate, che però sono rimaste segrete”. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta Cossiga ebbe a dire in proposito soltanto questo: «Il governo degli Stati Uniti ci ha garantito una qualificata collaborazione a livello di gestione della crisi».
Nel settembre 1974, una settimana prima del viaggio
ufficiale del presidente della Repubblica Giovanni Leone e dell’allora ministro
degli esteri Aldo Moro negli USA, su consiglio di Kissinger, il presidente
Gerald Ford ammise che il suo governo era intervenuto tra il 1970 ed il ’73,
per rovesciare Salvador Allende in Cile: «Abbiamo fatto ciò che gli Stati Uniti
fanno per difendere i loro interessi all’estero» (conferenza
stampa di Gerald Ford, Washington, 17 settembre 1974).
Lo stesso Kissinger tornò sopra l’argomento tre
giorni dopo l'arrivo della delegazione italiana: «Ci rimproverate per il Cile.
Ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l’arrivo
dei comunisti al potere in Italia o in altri paesi dell’occidente europeo» (New
York Times, 27 settembre 1974).
lo statista ALDO MORO. il criminale Henry Kissinger |
Al ritorno da quel viaggio, Moro apparve profondamente
turbato: infatti comunicò al suo collaboratore Corrado Guerzoni, la volontà di
ritirarsi dall’attività politica per due o tre anni, e confidò alla moglie il motivo
principale della sua preoccupazione: «E’ una delle pochissime volte in cui mio
marito mi ha riferito con precisione che cosa gli avevano detto. Adesso provo a
ripeterla come la ricordo: “Onorevole (detto in lingua inglese naturalmente),
lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le
forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare
questa cosa, o lei pagherà cara. Veda lei come vuole intendere” – La frase era
così. E’ una cosa che a me ha fatto molta impressione. Sono rimasta a meditarci
a lungo, da allora in poi» (Testimonianza di Eleonora Moro, 19
luglio 1982, in Commissione Moro, vol. LXXVII, Atti giudiziari 1a corte d’Assise
di Roma interrogatori di imputati processo Moro e Moro-bis, udienza del 19
luglio 1982, Roma, Tipografia del Senato, 1993, pp. 51-52; il file
dell’Archivio storico on-line del Senato risulta essere danneggiato; Commissione
parlamentare di inchiesta, vol. V, pagg. 5-6).
Tra i protagonisti politici dell’epoca è stato il socialista
Claudio Signorile a sostenere che,
nei giorni precedenti l’uccisione di Moro, le Br stessero attuando un
cambiamento di strategia, causato da pressioni di servizi segreti stranieri (Audizione
dell’onorevole Claudio Signorile, 20 aprile 1999, in Commissione stragi, 13a
legislatura, 51a seduta). All’inizio, per le Br, uccidere Moro non sarebbe stato
necessario; a loro sarebbe bastato restituirlo in condizioni tali da
costringerlo a ritirarsi dalla vita politica (una soluzione che peraltro lo stesso
Moro aveva già ipotizzato prima di essere sequestrato): questo risultato avrebbe
potuto soddisfare i brigatisti, simbolica contro lo Stato che combattevano,
sarebbe stato utile per il mantenimento degli equilibri internazionali (e
avrebbe fatto il gioco di Usa e Urss), e avrebbe grandemente avvantaggiato una
parte della maggioranza democristiana e gli stessi socialisti.
Questo scenario sarebbe suffragato dalla posizione espressa su OP dal giornalista investigativo Mino Pecorelli (assassinato il 20 marzo 1979, mentre si accingeva a fare rivelazioni bomba sul caso Moro), in una fantomatica lettera al direttore (molto probabilmente prefabbricata dallo stesso per lanciare alcune ipotesi), in cui si affermava che “il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva perfino dove era tenuto il prigioniero, dalle parti del ghetto ebraico” e si avanzava l’ipotesi che Moro sarebbe stato liberato il 9 maggio (OP, 17 ottobre 1978).
Questo scenario sarebbe suffragato dalla posizione espressa su OP dal giornalista investigativo Mino Pecorelli (assassinato il 20 marzo 1979, mentre si accingeva a fare rivelazioni bomba sul caso Moro), in una fantomatica lettera al direttore (molto probabilmente prefabbricata dallo stesso per lanciare alcune ipotesi), in cui si affermava che “il ministro di polizia sapeva tutto, sapeva perfino dove era tenuto il prigioniero, dalle parti del ghetto ebraico” e si avanzava l’ipotesi che Moro sarebbe stato liberato il 9 maggio (OP, 17 ottobre 1978).
Non solo dal “carcere
brigatista” ma anche in precedenza risulta che Moro apparisse alquanto preoccupato
dei rapporti tra i servizi segreti stranieri e quelli italiani. Già nel 1977,
come sostengono Galloni e Roberto Gaja, ambasciatore italiano a
Washington, secondo Moro i servizi segreti di alcuni paesi alleati, come la Cia e il Mossad, non
fornivano informazioni utili al governo italiano riguardo i loro eventuali infiltrati
nelle organizzazioni delle Br, o comunque, qualora le fornissero, evidentemente
esse non pervenivano alle persone giuste. molti dei membri dei servizi segreti
italiani di quegli anni, come è risultato più recentemente, erano controllati
dalla loggia P2 (G. Galloni, 30 anni con Moro, cit., p.
220; S. Flamigni, Le idi di marzo, cit., p. 254). Non era la prima volta che Moro
incappava in complicazioni di questo genere. Non molti sanno che già in tempi
lontani, alla vigilia del tentativo di “golpe bianco” di Edgardo Sogno, Moro,
il 4 agosto 1974, secondo la testimonianza della figlia Maria Fida, per
raggiungere la famiglia a Bellamonte, avrebbe dovuto viaggiare sul treno Italicus
(che poche ore dopo sarebbe stato colpito da un sanguinoso attentato
organizzato da gruppi neofascisti toscani e servizi segreti deviati), da cui tuttavia,
incredibilmente, poco prima che partisse, venne fatto scendere, grazie all’intervento
di alcuni collaboratori (Cfr. Maria Fida Moro, La nebulosa del caso Moro,
Milano, Selene Edizioni, 2004; Giovanni Fasanella, Antonella Grippo, I silenzi
degli innocenti, Milano, Bur, 2006, p. 114; Giorgio Bocca, Gli anni del
terrorismo, Roma, Armando Curcio, 1988, pp. 291-293).
Durante i giorni del sequestro, Raniero La Valle scrisse parole che, lette oggi, risultano profetiche: «Mia convinzione è che queste
brigate [...] siano solo l’iceberg di un potente avversario che gioca su molti tavoli,
non tutti clandestini, che riemerge a sinistra dopo essere stato battuto a
destra, che non solo usa carte d’identità false, ma anche falsi nomi, falsi
gerghi e dichiara falsi obiettivi [...]. Per difendersene, lo Stato deve
difendersi anche da se stesso, da ciò che alberga dentro di sé, nelle proprie
stesse strutture, dalle sue inadempienze, dalle sue deviazioni [...] Dopo Moro
gli sconfitti di ieri si muoveranno per la rivincita e quanti sono riusciti a
far prevalere finora un progetto politico lungimirante, si troveranno a
fronteggiare delle prove assai dure. Allora non ci sarà più il crudele,
irriconoscibile volto del terrorismo. I conti ce li presenteranno signori
inappuntabili e incensurati [...]. E
allora sì che dovremo trattare (Raniero La Valle, Moro non è soltanto una vita, “Paese
sera”, 24 aprile 1978).
Morte
preannunciata - Che Moro dovesse fare una brutta fine
era un’idea molto diffusa già negli anni precedenti ai giorni del sequestro.
Nel 1976 il regista Elio Petri, nel film Todo
modo, tratto dall’omonimo romanzo di Sciascia, con la sua visione surreale,
grottesca e apocalittica, descriveva una riunione di notabili democristiani
tenutasi in una sorta di convento-albergo, apparentemente per degli esercizi
spirituali ma in realtà per una trattativa concernente la spartizione del
potere, alla fine della quale il presidente - in cui erano facilmente ravvisabili
moltissimi tratti di Moro - interpretato anche in quell’occasione dall’attore
Gian Maria Volonté, veniva assassinato. Qualche tempo prima del sequestro, anche
il regista Pier Francesco Pingitore allestì
uno spettacolo al Teatro del Bagaglino in cui Moro veniva rapito proprio in via
Fani. Ma, ancora più delle ‘premonizioni’ dei due registi, colpisce la notizia
che Renzo Rossellini, direttore di Radio Città futura, la mattina del 16
marzo comunicò - circa tre quarti dopo prima - durante la consueta rassegna
stampa, poco prima della strage di via Fani, la notizia che c’era appena stato
un attentato all’onorevole Moro (Claudio Signorile,
Anti Craxi, filo Craxi, anti Craxi e adesso ricco pensionato, intervista con
Claudio Sabelli Fioretti, “Sette”, 18 ottobre 2001; audizione dell’onorevole
Claudio Signorile, 20 aprile 1999, cit. a nota 131; audizione del dottor Franco
Piperno, 18 maggio 2000, in Commissione stragi, 13a leg., 68a seduta; audizione
del dottor Lanfranco Pace, 3 maggio 2000, in Commissione stragi, 13a leg., 67a
seduta).
A parte gli elementi di ambiguità, secondo Giovanni Pellegrino (dal 27 settembre
1996 al 29 maggio 2001 presidente della Commissione parlamentare di inchiesta) sono
emersi alcuni ulteriori elementi, cruciali secondo lo stesso Pellegrino: «la
sparizione di una documentazione fotografica, scattata dal carrozziere Gherardo
Nucci, pochi minuti dopo il rapimento, sul luogo della strage; il blocco delle
linee telefoniche della zona al momento del sequestro; la scoperta tardiva del
covo di via Gradoli (dal quale si sapeva già che qualcuno trasmetteva in
alfabeto Morse); la mancata cattura dei brigatisti la mattina dell’uccisione di
Moro; l’impossibilità che fossero i brigatisti ad avere ucciso con precisione millimetrica
gli uomini della scorta di Moro. In particolare quest’ultimo aspetto vale la
pena di essere sottolineato: infatti, dagli atti del processo risulta che alla
strage di via Fani abbia partecipato un tiratore scelto, rimasto ancora senza
nome, che sparò più della metà dei circa novanta colpi di pistola esplosi. È
stato infatti accertato che a nessuno dei brigatisti arrestati e di quelli
indicati nei vari processi poteva essere attribuita una simile caratteristica
di tiratore scelto».
A questo proposito è utile osservare che, secondo il perito balistico professor Antonio Ugolini (perizia messa agli atti nel primo processo Moro), i bossoli ritrovati in via Fani risultavano provenire da proiettili in dotazione esclusiva di forze statali non convenzionali (intervento di Luigi Cipriani, in Atti parlamentari. Camera dei deputati, Discussioni, 10a legislatura, seduta dell’11 gennaio 1991, resoconto stenografico, consultabile on-line nel sito della Camera dei deputati, Legislature precedenti, X legislatura pp. 77517-77520).
A questo proposito è utile osservare che, secondo il perito balistico professor Antonio Ugolini (perizia messa agli atti nel primo processo Moro), i bossoli ritrovati in via Fani risultavano provenire da proiettili in dotazione esclusiva di forze statali non convenzionali (intervento di Luigi Cipriani, in Atti parlamentari. Camera dei deputati, Discussioni, 10a legislatura, seduta dell’11 gennaio 1991, resoconto stenografico, consultabile on-line nel sito della Camera dei deputati, Legislature precedenti, X legislatura pp. 77517-77520).
A parere del fratello di Moro, non fu effettuata per
moltissimo tempo alcuna perizia giudiziaria per valutare se i risultati
dell’autopsia del cadavere fossero compatibili con le testimonianze fornite dai
brigatisti (A.C. Moro, Storia di un delitto, cit., pp. 62-63). In effetti, successivamente,
secondo alcune perizie sul parafango esterno della Renault 4, sono stati
ritrovati dei filamenti di fibre vegetali, tracce che, secondo gli esperti, sarebbero
volate via qualora il percorso dell’automobile fosse stato più lungo anche di
pochi metri. Nella sua prima lettera a Cossiga, Moro gli aveva fornito alcune
indicazioni criptate circa il luogo dove era stato portato, perché sapeva, per
il tempo impiegato nel percorso da via Fani alla “prigione del popolo”, di
trovarsi sicuramente nel centro di Roma e probabilmente questa sua certezza era
anche confortata da qualche segno acustico (Leonardo Sciascia, L’affaire Moro, Sellerio, 1978).
Questo, alla luce delle ultime perizie, appare un dato
incontrovertibile, che contrasta totalmente con le affermazioni dei brigatisti
circa l’esistenza di un’unica “prigione”. Inoltre, dai risultati dell’autopsia
compiuta sul corpo di Moro il pomeriggio del 9 maggio, disponibili dal 2001, è emerso
un altro dato che contrasta con quanto sinora è stato affermato: alle 16.30 il
cadavere era ancora caldo (32,5° C), praticamente senza segni di rigor mortis.
Il decesso, secondo i periti, è avvenuto, dunque, tra le 9 e le 10 del mattino,
e non di primo mattino, intorno alle 6, come hanno finora sostenuto i
terroristi (Il Corriere della Sera, 9 maggio 2001).
Roma, 9 maggio 1978, il ritrovamento del cadavere di ALDO MORO in via Caetani |
Aldo Moro con tutta probabilità era prigioniero nell’insospettabile
palazzo Caetani, nel cuore di Roma, nei pressi di un immobile del Sisde. Ecco
quanto ha dichiarato Giovanni Pellegrino sul conto di Markevitch (marito di una
Caetani):
«Agli atti della commissione Moro era allegato un rapporto del Sismi in cui si diceva che, secondo alcune fonti, un certo Igor Caetani - che poi abbia scoperto essere invece Igor Markevitch – poteva essere uno dei cervelli del sequestro Moro, addirittura uno di quelli che conducevano l’interrogatorio nella prigione di via Montalcini; ma la pista era stata poi abbandonata perché non portava a niente. Quell’appunto veniva da un ufficiale di grado elevato, l’attuale generale Cogliandro, il quale dichiarava attendibile la fonte dell’informazione. Il Sismi decise però che quella pista non portava da nessuna parte. Le ragioni di questa valutazione sono però rimaste misteriose. Abbiamo chiesto spiegazioni al Servizio militare, ma nessuno ci ha risposto» (Fasanella, Sestieri, Pellegrino, Segreti di Stato, Einaudi, 2000).
«Agli atti della commissione Moro era allegato un rapporto del Sismi in cui si diceva che, secondo alcune fonti, un certo Igor Caetani - che poi abbia scoperto essere invece Igor Markevitch – poteva essere uno dei cervelli del sequestro Moro, addirittura uno di quelli che conducevano l’interrogatorio nella prigione di via Montalcini; ma la pista era stata poi abbandonata perché non portava a niente. Quell’appunto veniva da un ufficiale di grado elevato, l’attuale generale Cogliandro, il quale dichiarava attendibile la fonte dell’informazione. Il Sismi decise però che quella pista non portava da nessuna parte. Le ragioni di questa valutazione sono però rimaste misteriose. Abbiamo chiesto spiegazioni al Servizio militare, ma nessuno ci ha risposto» (Fasanella, Sestieri, Pellegrino, Segreti di Stato, Einaudi, 2000).
Esecuzione
ravvicinata - Lo statista Aldo Moro non fu ucciso
in via Camillo Montalcini, 8. La mattina del 9 maggio i suoi carcerieri lo
fecero vestire con gli stessi abiti di marzo. Fecero sistemare Aldo Moro nel
bagagliaio. Il corpo di traverso appoggiato sul fianco sinistro. Gli coprirono
il volto con il lembo di una coperta di colore rosso bordò. Mario Moretti e
Germano Maccari gli spararono con una Walter Ppk silenziata, che si inceppò
subito, e due raffiche definitive di una Skorpion.
La Renault 4 targata N56786 compie un tragitto di
pochi metri. L'auto viene parcheggiata in via Michelangelo Caetani tra i civici
8 e 9 accostata allo stretto marciapiede di porfido, il muso rivolto verso via
Funari. Via Caetani è una strada breve, austera, umida, buia. Ci si passa in
fretta. C'è una sola macchia di colore nel grigio della pietra. È di fronte al
palazzo che ospita l'Istituto di storia moderna, la Discoteca di Stato, il
Centro studi americani.
L'ombra di fronte a Palazzo Caetani è di un giallo sbiadito lungo poco più di due metri, alto tre. Al centro, la lapide ricorda: "Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne ritrovato in questo luogo, la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Il suo sacrificio freddamente voluto con disumana ferocia da chi tentava inutilmente d'impedire l'attuazione di un programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell'intero popolo italiano resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato impegno di unità nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale".
L'ombra di fronte a Palazzo Caetani è di un giallo sbiadito lungo poco più di due metri, alto tre. Al centro, la lapide ricorda: "Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento, venne ritrovato in questo luogo, la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Il suo sacrificio freddamente voluto con disumana ferocia da chi tentava inutilmente d'impedire l'attuazione di un programma coraggioso e lungimirante a beneficio dell'intero popolo italiano resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato impegno di unità nazionale nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale".
Dicono che via Caetani sia stata una "scelta
simbolica" per le Brigate rosse. Dicono che la strada è giusto nel mezzo tra
il palazzo di via Botteghe Oscure, dov'era la direzione del Partito comunista,
e palazzo Cenci Bolognetti che ospitava, a piazza del Gesù, la direzione della Democrazia cristiana. Dicono che quell'uomo mostrato agli occhi
del Paese come un fagotto abbandonato in tutta fretta in un'auto doveva dire agli
italiani quanto fosse impossibile e nefasto il patto politico del
"compromesso storico". Nella costruzione di questa memoria c'è una manipolazione, uno scarto anche toponomastico.
Via Caetani non è nel mezzo tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù. È lontano un
centinaio di metri dal palazzo rosso. È in un'altra direzione rispetto al
palazzo bianco. La nuova collocazione di quella strada buia nel
cuore di Roma scolpisce nella memoria collettiva una rappresentazione
sapientemente alterata della morte di Aldo Moro. Liquida con una scelta
perentoria ogni necessità di storia. Ne
confonde le logiche. Ne occulta le responsabilità. Perché rapirlo e non
ucciderlo subito, lì a via Fani, con la sua scorta? Quale influenza ebbe - non sul sequestro
del presidente della Dc, ma negli ambigui 54 giorni che seguirono -
quell' area occulta del potere che, negli anni settanta,
era particolarmente affollata di logge massoniche, servizi segreti
"deviati", affaristi, neofascisti, mafiosi, funzionari, alti prelati, prenditori e politicanti che ancora oggi spadroneggiano nel Belpaese?
Dopo trentacinque anni noi non abbiamo ancora fatto
i conti col nostro passato. La verità è ancora tutta da scrivere. Nel frattempo,
il miglior ricordo è ancora oggi soltanto nelle parole che, nell'ora dell'addio,
Aldo Moro scrisse a Norina:
«Bacia e carezza per me tutti, volto per volto,
occhi per occhi, capelli per capelli. A ciascuno una mia immensa tenerezza che
passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e
incomprensibile. Sono le vie del Signore. Vorrei capire, con i miei piccoli
occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».
filmato Rai, strage di via Fani del 16 marzo 1978:
http://www.youtube.com/watch?v=m-5-stGXai8
Roma, 9 maggio 1978, via Caetani, filmato amatoriale:
http://www.youtube.com/watch?v=TOVrxtHKnOM
http://www.youtube.com/watch?v=atmia01LF54
Gladio:
http://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/archiviostorico/commissioni/X%20LEG_TERRORISMO_DOC_RELAZ/X_%20LEG_TERRORISMO_DOC%20XXIII_51_22.4.92.pdf
filmato Rai, strage di via Fani del 16 marzo 1978:
http://www.youtube.com/watch?v=m-5-stGXai8
Roma, 9 maggio 1978, via Caetani, filmato amatoriale:
http://www.youtube.com/watch?v=TOVrxtHKnOM
http://www.youtube.com/watch?v=atmia01LF54
Gladio:
http://www.senato.it/documenti/repository/relazioni/archiviostorico/commissioni/X%20LEG_TERRORISMO_DOC_RELAZ/X_%20LEG_TERRORISMO_DOC%20XXIII_51_22.4.92.pdf
Recentemente ho sentito in televisione una giornalista che intervistava una persona che raccontava di aver saputo di una duplice scorta a disposizione di Moro da una signora del mondo dello spettacolo ingaggiata come agente segreto da un paese straniero. Della duplice scorta non si era mai sentito parlare e sinceramente mi aspettavo che qualcuno dicesse qualcosa, che fosse il preludio di altre notizie. Invece, niente.
RispondiEliminaNon è una notizia! Il presidente Aldo Moro non ha mai avuto una duplice scorta. E quando fu richiesta l'auto blindata gli fu negata!
RispondiEliminaUn altro dubbio che mi accompagna è il modo per il rapimento. Mi riesce difficile immaginare quello di una sparatariora in cui si ammazzano (quasi) tutti senza valutare che anche il soggetto potesse essere ucciso. Insomma come facevano a sapere che non avrebbero colpito la persona in auto? A maggior ragione se l'auto non era neppure blindata.
RispondiEliminaOttima domanda. L'attacco deve essere stato coordinato con precisione millimetrica e incredibile professionalita'.
RispondiEliminaSecondo Solange Manfredi Moro addirittura non era con la scorta e fu rapito in un altro momento e qui ci spiega il perché di questa teoria che non sembra proprio campata per aria
Eliminahttp://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=uBF0xsZxwVE#!
La cosa importante è capire PERCHE' e perché anche fu poi costretto alle dimissioni Leone. Si trattava dell'argomento non detto dei biglietti di stato, emessi per circa 450 miliardi dai governi Moro che creavano opportunità di spesa per lo stato senza né debiti né interessi. Stesso motivo dell'eliminazione di Kennedy.
RispondiEliminaAnche io penso sia questo il motivo. Come per Enrico Mattei. Il tentativo di rendersi autonomi ed autosufficienti in termini di energia o spesa pubblica è intollerabile per i nostri padroni angloamericani.
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