Pieter Bruegel, “I
ciechi” (1568 - Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte). Dal quadro emana la rassegnazione di un'umanità che ciecamente procede verso un’abisso... |
di Gianni Lannes
Quando ero bambino c'era una volta il
Natale con l'aura di magia universale. Adesso è un evento come un altro da consumare. Da anni i nonni non ci sono più nella dimensione terrena e quell'atmosfera semplice dell'infanzia è svanita per sempre. Le famiglie si riunivano per trascorrere un tempo straordinario
insieme; allora i regali non erano il fulcro della festa che si basava
sulla condivisione una volta all'anno di un momento unico accanto a persone care, in un
tempo sospeso, lontano dall'ordinario. Quando ero bambino non c'era il buon tempo antico, però contavano l'empatia, le spontanee emozioni, la gioia naturale, i sentimenti. Senza rimpianto: una volta c'era la meraviglia ciclica dell'incanto, almeno per l'infanzia, mentre certi adulti mostravano già segni di disorientamento.
Da qualche decennio il conto alla rovescia parte già a novembre. La falsa nostalgia del passato, il fascino decorativo delle luminarie, l’euforia compulsiva per i regali, il pranzo opulento del 25 dicembre, il finto buonismo e l'ipocrisia dilagante sembrano prevalere. Conta la quantità ingurgitata, ovvero l'ombra dell'avere (il profitto). Le vetrine si animano all'unisono di paesaggi invernali artificiali, i canali social vengono addobbati e i prodotti ricalcano le figure, gli odori e i paesaggi tipici del periodo natalizio. Il marketing sfrutta le emozioni umane con apposite strategie algoritmiche. Nel mondo contemporaneo, alienato dal consumo, caratterizzato dalla velocità, dominato dal profitto a tutti i costi e incentrato sulla finzione, gli individui eterodiretti dalla banalità del male invocano distrazioni continue. Quando ormai gli esseri umani si rapportano e si equiparano a merci senza valore (intrinseco), il Natale e tutte le tradizioni associate evocano in forma surrogata, sensazioni spensierate.
I consumatori bramano vedere i marchi incarnare il tanto decantato spirito natalizio. Si tratta di un sistema che fa leva sui ricordi e sui sentimenti evocati. Che sia quindi per far felice un trepidante pargolo, per generosità calcolata o per qualche nuovo effetto stroboscopico introdotto dal consumismo che misura l’affetto in base al costo del regalo, a Natale si spende e si spande. E così spesso i semplici sentimenti si affievoliscono, a favore di acquisti bulimici in nome di una festività che per molti ha perso il suo significato primordiale.
Negli anni la festa ha smarrito la sua essenza comunitaria ed ha assunto i caratteri di una festività legata al mero denaro, basata sul consumo sfrenato. Un esempio lampante del Natale consumistico è proprio la figura di Babbo Natale, la quale deriva da quella di San Nicola. Il Babbo Natale come lo conosciamo oggi proviene da una pubblicità della Coca-Cola risalente all'anno 1931: essa lo raffigura come un uomo grassottello vestito di rosso, sorridente, intento a fornire regali ai bambini. Questo fu uno dei primi passi che portarono al distacco dal Natale religioso per approdare a quello consumistico odierno.
Ora il Natale è nuovamente alle porte con tutto il suo carico di consumismo e l’emergenza ambientale, la generosità, l’eguaglianza passano in secondo piano, surclassati dalla psicosi del comprare in nome e per conto di una festa ormai svuotata del suo messaggio originario. Altro che amore per il prossimo: Natale è quel periodo in cui si susseguono pubblicità che incoraggiano all’acquisto compulsivo, senza freni né misure, con il pretesto dei regali, dei saldi, degli sconti. Il Natale è ormai la festa dei benestanti , di quelli che possono permettersi cenoni per settimane con quantità smisurata di cibo che per lo più finisce nella spazzatura, senza parlare del percepito obbligo morale dello sperperare danaro in cose futili, bisogni non essenziali; un baccanale dei vizi, dell’appagamento dei sensi, la fame dell’avere a discapito dell’essere, la vittoria del capitalismo sull’etica. Chi possiede festeggia, chi non ha guarda chi può festeggiare. Il consumismo è un disvalore discriminante che seppellisce l’accoglienza e l’eguaglianza. Il consumismo è la diretta conseguenza del capitalismo che, sia chiaro, non risiede nella necessità di comprare per sopravvivere, bensì nel comprare come automi senza motivo. Il capitalismo anestetizza la facoltà di scegliere, d’intendere e di volere e plasma la società nella logica dell’obbedienza inconscia a un sistema standardizzato in cui tutto ha un prezzo, in cui le persone sono codici a barre ammaliate dal dio denaro che svilisce qualsivoglia valore umano.
L'agonia di madre Terra, tuttavia, lancia un monito contro l’avidità dell’accumulare denaro e cose materiali mentre il mondo crolla a pezzi. L’indifferenza della gente nei confronti di chi soffre è la stessa che si coltiva nei confronti della guerra. Ma non era forse l’amore per il prossimo il vero dono che sublima l'autentico spirito del Natale?
Riferimenti:
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=natale
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/12/terra-e-desertificazione.html
Ci stanno distraendo con il dramma orlandi
RispondiEliminaIl solito specchietto per le allodole covidiote!
RispondiElimina