di Gianni Lannes
In Italia ci sono 2.000 scuole «che espongono i loro
342.000 alunni e studenti al rischio amianto». Lo attesta il Censis, in un rapporto
pubblicato il 31 maggio 2014, anzi ribadisce il pericolo, perché la situazione è nota da decenni alle autorità di ogni ordine e grado. Il governo Renzi, a parte le promesse altisonanti
a reti televisive unificate, non ha avviato alcuna bonifica, in compenso ha sperperato ben 30 miliardi di euro in spese militari nel 2014, sottraendo denaro pubblico alla scuola. L’amianto è
notoriamente cancerogeno, infatti, è stato messo al bando nel Belpaese nel
1992, con la legge 257. Eppure i piani di risanamento nazionale risultano
ancora irrealizzati. I tempi di latenza dell’asbestosi sono lunghi, ma basta
una sniffata inconsapevole per ammalarsi e poi morire prematuramente. I più inconsapevolmente esposti, proprio negli ambiti scolastici, sono bambini e adolescenti, ed ovviamente insegnanti e personale tecnico. Perché nessuno protesta seriamente? Perché i sindacati tacciono e i dirigenti scolastici fanno finta di niente?
Nel marzo 2013 è stato approvato il Piano Nazionale
Amianto, esso pone l'accento sui circa 380 siti ricadenti in classe I (a
maggior rilevanza sociale e ambientale come scuole e ospedali), per i quali
servirebbero “alcune decine di milioni di euro” per la loro messa in sicurezza.
Peccato però che il suddetto Piano sia ancora fermo in Conferenza Stato Regioni. E come sempre Renzi non risponde agli atti parlamentari che si accumulano mese dopo mese.
Quanto all'esposizione ad amianto avvenuta per la presenza del materiale nel luogo di lavoro e non per uso diretto, il Rapporto di Legambiente del marzo 2015 “Liberi dall'amianto”, evidenzia come sono oltre il 4 per cento i casi di malattia occorsi per esposizione in luoghi di lavoro spesso aperti al pubblico come scuole, banche, alberghi e ristoranti o ospedali. Dati che dimostrano come la grande diffusione di amianto nel nostro Paese causa a volte un'esposizione inconsapevole alla fibra.
Il quinto numero del "Diario della
transizione" del Censis, del maggio 2014, ha evidenziato come, nell'ambito
di edifici scolastici malandati anche perché vetusti (più del 15 per cento è
stato costruito prima del 1945, altrettanti datano tra il '45 e il '60, il 44
per cento risale all'epoca 1961-1980, e solo un quarto è stato costruito dopo
il 1980), siano oltre 2 mila le sedi scolastiche che espongono i loro 342 mila
alunni, nonché i docenti, gli operatori scolastici e personale amministrativo,
al rischio amianto.
Il Censis ha fatto anche il punto dei più recenti
interventi della politica. Nei suoi discorsi di insediamento alle Camere, il primo
ministro pro tempore Matteo Renzi ha annunciato con grande enfasi un piano da
3,5 miliardi di euro per l’edilizia scolastica, ma al momento gli stanziamenti
effettivi sono molto più ridotti. «Sulla base delle risorse stanziate e dei
ritardi di spesa accumulati, alla fine del 2013 il Ministero delle
infrastrutture stimava in 110 anni il tempo necessario per mettere in sicurezza
tutti gli edifici scolastici italiani» sottolinea il Censis.
Gli interventi straordinari che via via sono stati
programmati dopo il tragico crollo della scuola di San Giuliano per il
terremoto del Molise nel 2002 «hanno mobilitato poco meno di 2 miliardi di euro
rispetto a un fabbisogno stimato di 13 miliardi. Notevoli i ritardi
nell’attuazione», evidenzia il Censis. «Dei 500 milioni di euro attivati con le
delibere Cipe del 2004 e del 2006, a metà del 2013 ne erano stati utilizzati
143 milioni, relativi a 527 interventi sui 1.659 previsti. Per gli stanziamenti
successivi, tutti i progetti sono ancora in attuazione o addirittura in fase di
istruttoria».
Il rischio proveniente dall'esposizione all'amianto
è noto al legislatore italiano per esito del regio decreto 442 del 1909, cui
conseguirono il regolamento di cui al decreto legislativo 6 agosto 1916, numero
1136, e la tabella di cui al regio decreto 1720 del 1936. L’Italia si è distinta
per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto
da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di
infrazione numero 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di
giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990, che dichiarava che l'Italia
era venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità
economica europea, non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre
1983 «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una
esposizione ad amianto durante il lavoro» entro la scadenza del 1o gennaio 1987.
La Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora
adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio
ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il
decreto legislativo n. 277 del 1991, cui fece seguito la legge 27 marzo 1992,
257. Essa in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»,
ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di
amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure
per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto.
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