di Gianni Lannes
Bentornati in Puglia, una delle 5 regioni italiane a rischio
desertificazione, dove la guerra ambientale della Nato compie sperimentazioni quotidiane e le autorità “civili” a
tutti i livelli fanno finta di niente. Ecco un enorme invaso nel territorio di
Monteparano, ai confini con l’agro di Grottaglie in provincia di Taranto. Il bacino idrico - un’opera
pubblica mai collaudata - è stato progettato per contenere 20 milioni di metri
cubi d’acqua prelevati (a parole) in Basilicata. Solo che l’oro blu lucano -
sempre più impestato dagli idrocarburi trafugati dall’Eni - non ha mai fatto la sua apparizione. Doveva servire a irrigare
7.200 ettari di terra nel Salento e nel tarantino, che però di acqua non ne
hanno visto neanche una goccia, se non quella piovana. A scorrere è stato solo
un fiume di denaro pubblico, erogato dall’ignaro contribuente italico: attualmente
250 milioni di euro. Al posto dell’acqua, in compenso sono confluiti i rifiuti.
Sprechi senza
fine - Nel 1984 sono cominciati i lavori commissionati dal consorzio di
bonifica dell’Arneo di Nardò (Lecce), senza sapere da dove arriveranno i
milioni di metri cubi d’acqua necessari a far funzionare la diga. Inizialmente
si pensa alla vicina Basilicata, ossia all’invaso del monte Cotugno alimentato
dal Sinni. Un’operazione non prevista dagli accordi fra Puglia e Basilicata che
regolano le concessioni d’acqua, sottoscritti nel 1999 e validi fino al 2015, e
che riguardano l’invio di acqua dal Sinni a Ginosa. Eppure in quei patti non si
fa menzione del Pappadai né tantomeno dell’acqua del Sinni da fornire al
Salento, anche se il governatore Nichi
Vendola ha promesso di tutto e di più in campagna elettorale. Ed è
singolare appurare che il consorzio, in anni di attività”, ha gestito centinaia
di miliardi (valuta in lire) provenienti da finanziamenti pubblici e contributi
consortili. Le opere più grandi sono abbandonate e cadenti e la tanto attesa
acqua del Sinni, in virtù della quale si realizzano ancora ai giorni nostri
impianti faraonici e business colossali, non arriverà mai per la siccità che ha
colpito la Lucania e i suoi invasi. E’ un elenco infinito di spese inutili quello
che si potrebbe stilare per questa cattedrale nel deserto. Solo le tubature
sono costate oltre 120 milioni di euro a una cinquantina di comuni pugliesi.
Quasi 40 milioni sono stati spesi per il primo e il secondo lotto dell’invaso,
6,5 milioni per le opere di derivazione del sistema Chidro-Sinni e la vasca di
regolazione di Monteparano, circa 30 milioni per portare le acque del fiume
Sinni. Come se non bastasse nel 2002, dal ministero delle Politiche Agricole
sono piovuti altri 26 milioni di euro per opere integrative volte ad assicurare
l’agibilità del Pappadai, per le opere di scarico del nodo idraulico di
Monteparano e per il completamento del nodo idraulico di Sava. Non è tutto. I
soldi della collettività buttati per imponenti quanto inutili opere irrigue nel
Salento non si contano orma più. Dei quattrini pubblici dilapidati senza
controllo restano nelle campagne pugliesi solo tracce ingombranti di tubature
mai entrate i funzione, di impianti fantasma di idranti (se ne contano 2.553
fra attivi e inattivi) e di pozzi, di cui ben 127 abbandonati. Nel rapporto
intitolato “2005 lo spreco continua… 100
esempi di cattivo della spesa pubblica”, Confesercenti denuncia che «pur
contando 270 mila consorziati per i servizi offerti dall’Ente, che è
responsabile della distribuzione dell’acqua nei campi del Salento, meno dello
0,4 per cento degli associati effettivamente a riceve. Per tutti gli altri solo
cartelle esattoriali da pagare». A tutt’oggi, la situazione non è
migliorata. Allo spreco di denaro pubblico va sommato il danno ambientale: più
di un terzo delle condotte, circa 73 chilometri, è costruito con amianto e
cemento, che con il tempo e lo stato di abbandono rischiano di avvelenare
suolo, falda ed esseri viventi. Ma che nessuno parli di opera incompiuta. «Contiamo
di ultimare quanto prima i lavori di ampliamento in corso - fanno sapere dal
consorzio –-per poi fare l’avviamento sperimentale dell’invaso». E i quattrini
già spesi? Acqua passata. Allora Vendola, si mangia più che bere?
Ecomafie - La diga inutilizzata è stata
imbottita da ignoti di rifiuti: fusti petroliferi e quant’altro. In questo
mastodontico invaso idrico affiorano lastre friabili di amianto cancerogeno e bidoni
abbandonati. Nell'invaso del Pappadai
che avrebbe dovuto dissetare il Salento sono stati seppelliti anche fanghi
industriali tossici. Il dilavamento meteorico li ha fatti parzialmente
affiorare. A poca distanza dal Pappadai è attiva la mega discarica gestita
dalla società Ecolevante che ha
foraggiato i politicanti locali per tenerli buoni. La ditta toscana - che non
paga da tempo le royalties al Comune in termini di compensazione al danno
ambientale e sanitario - vanta un progetto per l’ampliamento (il terzo lotto)
che andrà ad interferire con l’aeroporto locale. Una vicenda denunciata con solide prove
(copie di assegni bancari e lettere di accompagnamento) alla Procura della
Repubblica di Taranto dalla pacifista Etta
Ragusa. A proposito: in provincia di Lecce il presidente ecologista Vendola
ha preferito consentire alla Marcegaglia di realizzare una
discarica, addirittura su una falda acquifera, mentre in provincia di Taranto
nulla ha obiettato al potenziamento di un inceneritore fuorilegge a Massafra. Se la qualità dell’aria è già
spacciata, la popolazione pugliese che diamine di acqua berrà d’ora in avanti? Nell’ex
California d’Europa, dal Gargano a Santa Maria di Leuca latitano gli impianti
di depurazione e quelli esistenti non funzionano adeguatamente, scaricando
direttamente in mare nei tratti costieri dove la gente comune fa il bagno.
Insomma: terzo mondo in salsa Sel.
Pechè non se ne discute in parlamento ? Perche Vendola con il suo appello all'ecologia si becca solo i soldi e non fa nulla?
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