di Gianni Lannes
Non è in atto solo l’estinzione sempre più accelerata delle
specie viventi. La globalizzazione mono-linguistica (a base del superficiale
inglese) imposta al globo terrestre dagli illuminati miete vittime
inconsapevoli: idiomi in via di
estinzione, voci che si spengono per sempre nell’indifferenza planetaria.
L’annichilimento delle intelligenze standardizzate dal consumo di merci
equivale alla fine di ben 2.500 lingue.
Oggi sul pianeta Terra si parlano 6.700 lingue, attestano i recenti aggiornamenti dell'Unesco, un'organizzazione delle Nazioni
Unite che ufficialmente sostiene di tutelare (a parole, appunto) la cultura e
la scienza. I dati tecnici (ampiamente sottostimati): 578 sono in una
situazione molto critica, 526 seriamente in pericolo, 646 in pericolo, 601
vulnerabili. Dal 1950 ai giorni nostri se ne sono estinte 229. 199 idiomi sono
parlati da meno di dieci persone. Da primato il mandarino parlato da 1 miliardo
e 200 milioni di persone.
E' la forma di comunicazione che distingue gli esseri umani dagli
animali. Ed è uno dei patrimoni più straordinari che l'umanità possiede. Perché
ogni lingua nasconde una diversità culturale e una visione originale del mondo.
Eppure, quasi la metà di quelle parlate sta scomparendo.
Canti, saperi, storie tramandate con vocabolari millenari e
sconosciuti dimostrano che parlare non significa solo dialogare con l’altro. Ogni
lingua è un angolo di mondo. E le parole non servono solo a comunicare la
realtà, ma la creano. Perché tutto ciò che smette di essere nominato smette di
vivere. Le idee, le emozioni, i sentimenti, i luoghi, le cose sono in fondo
modi di essere della parola, impastati dal tempo. E ogni lingua che scompare è
un pezzo di umanità che tace per sempre.
Infatti rischiano di essere sommerse dalla marea montante
della globalizzazione e del suo monolinguismo. Che riduce le voci del pianeta
ad una pessima declinazione dell'inglese. Una formattazione del pensiero che
sacrifica le diversità in nome della praticità. E' il paradosso dei nostri
tempi: comunichiamo sempre più in fretta, ma le parole per farlo diminuiscono.
E non è solo una questione di termini, ma anche e soprattutto di contenuti. In questo senso il destino delle lingue è
strettamente legato alle biodiversità. Saperi
botanici, chimici, farmacologici, agricoli, tecniche di caccia e di pesca
sparirebbero per sempre con gli ultimi parlanti. Questa moderna perdita di
senso ha smarrito una dimensione fondamentale: la profondità. Si è preferita la
superficialità: la velocità, la frammentazione, la mancanza di ascolto
dell’altro.
Nel Belpaese - Delle 31 parlate sopravvissute
alla mutazione antropologica descritta dall’antesignano Pier Paolo Pasolini,, 5
sono a rischio estinzione: Toitschu (tedesco arcaico) della Valle d'Aosta, il Gardiol
(Occitano delle valli valdesi del Piemonte e di Guardia Piemontese in Calabria),
il Griko della Calabria, il Croato molisano, il Griko del Salento ed il
Franco-Provenzale di Faeto nella Daunia. Il grande Fabrizio De Andrè non
aveva dubbi: «Per me non
esistono lingue o dialetti. Diciamo che una lingua decade alla indegnità di
dialetto e il dialetto assurge alla dignità di lingua soprattutto per ragioni
storico-politiche». Il linguista Tullio De Mauro invita alla
cautela:. «Venti anni fa il Griko della Grecia salentina era stato dato per
spacciato, e invece ha conosciuto una straordinaria rivitalizzazione».
A Levante - Cinquemila documenti sonori, fotografici e
audiovisivi. Una grandiosa testimonianza della cultura popolare della Puglia,
raccolta sul campo dagli anni ’50 ai giorni nostri. E’ il volto dell’Archivio
sonoro pugliese, patrimonio di suoni e canti (sommersi) storia della cultura
orale delle comunità. Finalmente una rinnovata attenzione sulle orme degli
studi di Ernesto De Martino, Alan Lomax,
Roberto Leydi, Diego Carpitella che più di mezzo secolo fa diedero impulso
alla ricerca etnografica nel Mezzogiorno d’Italia.
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