di Gianni Lannes
Il destino di un luogo può essere segnato per sempre
anche da un solo nome. Che può diventare nello stesso tempo, gloria o condanna,
vanto o vergogna. Ci sono paesi in cui i sovrani hanno modificato i connotati
solo per un vezzo. Altri, al contrario, combattono per il motivo opposto, per
dimenticare qualcuno. C’è un’isola dell’Egeo che è a metà strada. Da una parte ha l’orgoglio di
essere la patria di Saffo, la grande poetessa dell’antichità; dall’altra la voglia di rompere
l’identificazione con la sua omosessualità. E’ l’isola di Lesbo.
Quello che sorprende è che sull’isola le donne hanno conquistato un evidente
potere. In qualche modo c’entra anche Saffo. Ma avanza pure una spiegazione ben
precisa. Sono pochi i posti che più dell’isola di Lesbo vanno famosi per il
motivo “sbagliato”. Forse, solo la Sicilia, collegata con la mafia è paragonabile.
Si dice Lesbo e si pensa a Saffo e si dice omosessualità femminile. Al di là
degli ovvi pregiudizi, oggi Lesbo, altrimenti detta Mitilene, dal suo centro abitato principale, è un’isola dove le donne vogliono
contare. Ed effettivamente, contano molto. Non è raro trovare a Lesbo una donna
imprenditrice, arrivata a coprire cariche di responsabilità. Quel che altrove è
una conquista della modernità, o che viceversa, magari, in un’isola costituisce
un traguardo più difficile, qui è un dato acquisito.
Angela Goletaki racconta: “Ormai le distanza si sono ridotte, grazie ai mezzi di
trasporto. E non è difficile che una donna a Mitilene, si occupi di affari.
Anche il livello culturale dell’isola si è molto innalzato. Le donne offrono
molto all’attività intellettuale. E prendono parte a tutte le attività
culturali”. Le donne di Lesbo non considerano le posizioni acquisite come punto
di un radicato femminismo, sarebbe fuorviante pure parlare di matriarcato.
Quella di Lesbo è piuttosto una placida uguaglianza che affonda le sue radici
molto indietro nel tempo. “Ci si chiede come mai Saffo riuscisse a radunare
intorno a lei, così tante giovani donne, sue discepole e, ad avere dei così
buoni rapporti con loro - si interroga Elpà Sphatarì, insegnante -. Forse era strano
per quell’epoca; lo è anche oggi. Ma non esistono testimonianze di ciò. Il
fatto è che a quei tempi vigeva il matriarcato: le donne godevano della libertà
di pensiero, di parola, di creazione. Erano persino più libere di quanto non lo
siamo oggi. Saffo ha dato la possibilità alla nostra isola di essere conosciuta
ovunque. Noi la vediamo con questo spirito, Non ci importa poi come è stata
vista nel mondo, nelle varie epoche. Per noi è una poetessa che ha fatto molto
per migliorare la condizione della donna”.
Il paese di Mytimna con le sue strade medievali è
uno de centri turistici dell’isola. Nel castello durante il quindicesimo secolo
si consumò un episodio illuminante. Da questi spalti, infatti, Orietta Doria, moglie del governatore genovese dell’isola, riuscì a respingere uno
sbarco di invasori turchi indossando l’armatura del marito assente e guidando
la popolazione locale alla riscossa. Un
piccolo esempio di come l’aria locale possa rendere volitivo l’animo femminile.
A Petra, poco distante da Mytimna, femmine dei nostri tempi hanno trovato una
strada meno cruenta di farsi valere: sono le 35 donne che da 17 anni lavorano
nella cooperativa agrituristica locale. “La principale attività della nostra
cooperativa è di affittare stanze e di ospitare turisti nelle nostre case,
preparando per loro la prima colazione da consumare assieme alla padrone di
casa, facendo vivere al turista la vita di una famiglia greca - precisa Aspesia Avaghianos - e, nello stesso tempo, abbiamo anche un buon ristorante con terrazza”.
I motivi dell’apertura mentale delle donne e degli uomini di Lesbo vanno
ricercati nella mescolanza delle razze che qui hanno trovato convivenza. Anche
con la Turchia, oggi, i rapporti sono notevolmente migliorati rispetto a
qualche anno fa. Per Lesbo che si trova a 8 chilometri dall’ Asia Minore, è un
motivo in più per godersi in pace le proprie conquiste di civiltà. “Possiamo
dire che la nostra isola è abbastanza progredita - ripete Aspesia -. E’
influenzata dalle idee di democrazia e uguaglianza. A Lesbo sono nati molti
esponenti delle lettere e delle arti. Anche il premio Nobel della letteratura, Odisseo Elitis, è originario del luogo.
C’è forse un destino comune che lega tutte le isole
e coloro che le abitano. Vivere su un’isola significa essere sempre sospesi fra
il mare e il cielo, fra la realtà e l’immaginazione. Vuol dire essere
combattuti fra il desiderio di rimanere là per sempre e la voglia o la
necessità di andare via. E’ questo il destino di molte isole: essere talvolta
prigioniere dei loro stessi privilegi. Inousses è un’isola greca al confine fra
due continenti. E’ ricca perché chissà per quale motivo è la patria dei
maggiori armatori greci. Lontana dalle rotte turistiche, il suo isolamento la
sta allontanando dal resto del mondo. Il confine fra due continenti è qui da
qualche parte, nei 6 chilometri di mare che separano Inousses dalla terraferma.
Già nel VII secolo a.C., Ecateo
stabilì che da questa parte è Europa, dall’altra sponda è Asia. Inousses è il nome della più grande di una costellazione di isole nelle
quali da sempre storia e geografia sono state in contatto. Malgrado la
vicinanza e la dominazione ultrasecolare turca, queste isole sono per cultura
profondamente greche. In particolare, l’unicità di Inousses consiste nell’aver dato
le origini se non proprio i natali, alla gran parte degli armatori ellenici
degli ultimi decenni. Gli eredi dei Miarkos e degli Onassis provengono da qui.
Hanno meno soldi di loro ma sono almeno un centinaio di famiglie. Una ricchezza
diffusa che si rispecchia profondamente nella loro terra d’origine. Questo, anche se restano i problemi comuni a
tutte le piccole isole dell’Egeo. “L’inverno qui è molto difficile perché c’è
il mare - racconta l’imprenditore Costas Cavdas - e non c’è comunicazione con
le altre isole. Si può restare senza nave anche per 5 giorni”. E’ grazie agli
armatori che Inousses oggi ha una biblioteca, una scuola e un museo di grande
interesse. Solo che, a parte i residenti, quasi nessuno viene mai a visitarlo.
C’è poi un bel teatro, una chiesa ricca, un elegante monastero e uno stadio che
volendo potrebbe ospitare un’intera popolazione. E tuttavia, l’unico albergo ha
solo una decina di stanze; e l’unico ristorante ha caratteristiche ancora più
spartane. L’atmosfera che si respira a Inousses è misteriosa: per decifrarla
occorre entrare in confidenza con gli abitanti. Nessuno è disposto ad
ammetterlo esplicitamente, ma quella delle famiglie degli armatori è una tutela
a doppio taglio. “Non esistono alberghi né stanze abitate, il turista non può
restare qui” avverte Dimitrios Methenitis. E’ vero che l’omologazione al turismo di massa farebbe degenerare la dimensione umana di Inousses. E’ anche
vero che il mecenatismo degli armatori tiene l’isola sotto una cappa protettiva
artificiale. Gli abitanti sono i custodi di un’isola incantata da cui
probabilmente fuggirebbero volentieri. Le tradizioni del passato sono un guscio
vuoto che riempire diventa di anno in anno sempre più difficile. “Forse i
giovani non vogliono più avere a che fare col mare come una volta, trovano
altre strade, studiano, imparano altri mestieri - azzarda Nicolaos Karavas -.
Forse è perché non vogliono soffrire la solitudine sulle navi”. Per 11 mesi
l’anno la presenza degli armatori consiste fisicamente solo nelle statue che
fanno mostra di se intorno al porto. Vivono ad Atene o New York. A Inousses
posseggono una villa e vengono ogni estate a trascorrere le vacanze per
ritrovare le proprie radici. Questo presuppone che l’isola non venga snaturata
nella sua tradizione marinara. Una tradizione che riguarda anche le autorità
ecclesiastiche. “Qui la consuetudine esige che il parroco deve essere nato a
Inousses e avere studiato in loco - ripete papas Karavas -. E soprattutto il prete deve aver provato il mare
come i marinai, e solo in seguito può consacrarsi alla vita religiosa. Anch’io dopo aver compiuto gli studi ginnasiali ho navigato per 18
mesi”. Così trascorre l’esistenza a Inousses. Anche la vita politica è
condizionata dagli armatori che tengono l’isola sotto l’incantesimo della loro
munificenza. Qui c’è tutto e non c’è niente. Si avverte un benessere diffuso ma
anche la disperazione di non avere la possibilità di scegliere sul serio tra un
passato di povertà e una modernità sospesa ed eternamente incompiuta.
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