di Alessandro Dal Lago *
C’è qualcosa che non mi convince in
tutta questa storia. Non credo affatto che la criminalità si combatta così, a
colpi di moda (…) E’ la stessa retorica che lo scrittore sparge a piene mani a
proposito della sua missione nel mondo. Che non sarebbe – si noti la modestia –
“confortare gli afflitti ma affliggere i confortati” (…) A me sembra evidente
non solo che quella di Saviano è una retorica basata sul senso di colpa
(retorica che, in un paese cattolico come l’Italia, suscita facilmente il
plauso), ma soprattutto un’ossessione (…) Ha mai svolto Saviano indagini su
tante cose di cui parla, a parte la camorra? E improbabile, e allora perché gli
si crede o comunque non si discute quello che dice? Perché è un martire, ecco
perché. Noi siamo tutti colpevoli di non essere martiri e quindi gli crediamo a
prescindere, come avrebbe detto un suo illustre concittadino. L’opinione
corrente è che Saviano abbia rivelato in Gomorra i rapporti tra crimine ed
economia globalizzata. Sui contenuti e sulla forma della rivelazione ho diversi
dubbi , ma la questione è seria (…) Si dovrebbe parlare invece di agglomerati
di poteri che si specializzano in pratiche solidali e funzionali tra loro – un
tipo di dominio che naturalmente non ha a che vedere con alcuna inclinazione o
specificità “culturale” o ctonia di Napoli o del “sud”, ma con processi storici
di lunga durata. Di tutto questo troviamo ben poche tracce in Gomorra e in
altri scritti di Saviano, salvo riferimenti occasionali e generici, e sempre
comunque in un quadro in cui la camorra è male assoluto, non relazionale o
forma politica. Nell’assenza del politico in questa “indagine” sulla camorra
vedo la manifestazione di una retorica morale consolatoria e quindi
un’ideologia: la bontà è tutta dalla parte dello Stato, in base all’opposizione
assoluta Legge/Crimine (…) a me il “fenomeno Gomorra” pare perfettamente
adeguato al clima culturale dell’Italia contemporanea. In un paese in cui la
diffusione della conoscenza è largamente appaltata ai media e i conflitti
ridotti a stereotipi, che a guidare l’opposizione morale al crimine organizzato
sia lo scrittore-eroe appare del tutto coerente. Quando Saviano dice che la sua
missione, oltre che affliggere i confortati, è creare una moda, ammette
semplicemente di voler promuovere un legalitarismo unanimista e di maniera:
Mondadori ha pubblicato il suo libro, gran parte dei quotidiani lo sponsorizzano
e tutti sono contenti (…)
Qualsiasi lettore, aprendo il libro, non può che provare un frisson, visto che gli si annunciano orrori a bizzeffe. Poco conta che nel testo, contrariamente a quanto promesso dal risvolto (“un libro (…) scrupolosamente documentato), non sia presentata alcuna documentazione (…) la mia ipotesi è che, fin dal contenitore esterno e dalle sue finestre aperte sull’interno del testo (copertina e relative immagini, il risvolto ecc., il libro sia stato costruito non come mera fiction (mimesi nella forma di un romanzo che ha certi protagonisti d’invenzione sullo sfondo del crimine), e nemmeno docufiction (una storia vera e “scrupolosamente documentata” ecc., anche se romanzata), bensì come docu/fiction, ovvero narrazione “a piega”, in cui finzione letteraria e funzione documentaria si implicano, a ogni pagina, direi a ogni riga (…) A me un’idea di letteratura basata sull’adesione al punto di vista di un autore che pretende di essere creduto ed è garantito dalla sua parola, e solo quella, non piace per niente (…) Gomorra è anche indirettamente, anzi anonimamente, una narrazione metadiegetica, perché riporta racconta di altri non meglio specificati (…)
Qualsiasi lettore, aprendo il libro, non può che provare un frisson, visto che gli si annunciano orrori a bizzeffe. Poco conta che nel testo, contrariamente a quanto promesso dal risvolto (“un libro (…) scrupolosamente documentato), non sia presentata alcuna documentazione (…) la mia ipotesi è che, fin dal contenitore esterno e dalle sue finestre aperte sull’interno del testo (copertina e relative immagini, il risvolto ecc., il libro sia stato costruito non come mera fiction (mimesi nella forma di un romanzo che ha certi protagonisti d’invenzione sullo sfondo del crimine), e nemmeno docufiction (una storia vera e “scrupolosamente documentata” ecc., anche se romanzata), bensì come docu/fiction, ovvero narrazione “a piega”, in cui finzione letteraria e funzione documentaria si implicano, a ogni pagina, direi a ogni riga (…) A me un’idea di letteratura basata sull’adesione al punto di vista di un autore che pretende di essere creduto ed è garantito dalla sua parola, e solo quella, non piace per niente (…) Gomorra è anche indirettamente, anzi anonimamente, una narrazione metadiegetica, perché riporta racconta di altri non meglio specificati (…)
La storia dei “cinesi che non muoiono mai” è
la più classica delle panzane, leggenda metropolitana perfetta, pari, per
restare in tema di stranieri, a quella degli zingari che rubano i bambini o
all’altra che furoreggiava una ventina d’anni fa, dei coccodrilli mutanti nelle
fogne di Chicago (…) l’autore di Gomorra ci trasmette un disgusto in virtù del
quale una certa umanità è vista alla stregua di materiale fecale. Non le merci
globalizzate, ovvero la merda cinese, sono al centro del primo capitolo, ma i
cinesi di merda (…) l’io narrante si
attribuisce la nobile ascendenza, con relativa eredità, dello scrittore
profeta: “il mio io so (è) l’io so del mio tempo” – come dire che Saviano è il
Pasolini del nostro tempo (…) L’io narrante, in tutto questo, si sta affermando
come attore (…) La vicenda di Saviano – al tempo stesso letteraria, retorica e
mediale – sintetizza gli aspetti che ho delineato sopra: l’unanimismo morale,
l’insorgere del bene contro un Male variamente declinato in termini
teratologici, l’eroismo, la voracità dei media (…) Una vicenda che fin
dall’uscita del libro ha visto sovrapporsi letteratura, cronaca, frastuono
mediale e spettacolo (…) il successo è un ingrediente essenziale nella
santificazione di Saviano (…) Se si mette in rilievo la costruzione mediale del
personaggio, si minimizza la funzione veritativa del suo messaggio. Se si
discute la qualità del libro, si attacca la funzione pubblica dell’uomo, e
quindi si “delegittima” (…) Se lo si critica, è perché si è invidiosi. Insomma,
la verità letteraria del libro è quella morale del suo autore, che a sua volta
corrisponde al “noi” degli scrittori, critici, politici e opinionisti che lo
fanno proprio (…) che cosa conferisce a Saviano l’autorità morale per
rampognarci tutti? (…) Rivaluta Almirante poiché, per ciò che riguarda il
crimine organizzato, i suoi valori erano gli stessi di Borsellino. La lotta
alla camorra, pertanto, diviene l’unico criterio di giudizio di ogni questione
politica e d’attualità (…) Che Saviano veda qualsiasi realtà del nostro tempo,
vicina o lontana, nella sua ottica ossessiva di scrittore anti-camorra appare
in un intervento sulla morte dei sei paracadutisti italiani in Afghanistan nel
settembre 2009 (…) Non una parola è spesa sulle circostanze del conflitto,
sulla strategia degli americani e della nato e sul senso stesso di una guerra
(…) Le opinioni di Saviano sono rigorosamente bipartisan ed evitano per lo più
di prendere posizione sui conflitti politici in Italia (…) Quand’anche le mafie
fossero ridotte all’impotenza, il bel paese continuerebbe ad essere governato
da altri poteri (…) Pertanto, quando Saviano si presenta come uno in lotta
contro “il” potere fa retorica (…) Perché ci sia l’Eroe ci vogliono gli Orchi.
Ma perché il primo faccia bene il suo mestiere, c’è bisogno di un pubblico che
l’incoraggia e l’applaude (…) E’ pensabile che oggi la letteratura, da noi,
possa essere un’altra cosa?
* Manifestolibri, Roma, 2010
**Docente
di Sociologia dei processi culturali all’università di Genova
Alla fine si potrebbe tracciare un'ipotetica linea che divide la vita di Roberto Saviano: da un lato il periodo pre-Gomorra, dall'altro quello post. Nella prima parte, almeno leggendo il suo bestseller, io faccio questa riflessione: "Ok, faceva il giornalista ma tutte le storie che racconta all'inizio di Gomorra, se sono vere almeno al 60%, perché non sono state denunciate alle autorità con lo stesso vigore con cui sono state messe nero su bianco nel suo libro?", nella seconda parte della sua vita, invece, il dubbio è "Ora cosa fa? Vive di rendita grazie alla fama seguita a Gomorra?" Poi ricordo che ogni tanto scrive articoli protetti da Copyright e co-conduce programmi televisivi... Io Roberto Saviano lo prendo così, ne ammiro la faccia tosta con cui si presenta (comunque ci vuole coraggio a rendere popolari certi argomenti), ma non prendo per oro colato ciò che dice e scrive, per il semplice motivo che lui non è Pasolini, come del resto non lo è Marco Travaglio. Quest'ultimo sì un furbo show man...
RispondiEliminaConcordo. L'uomo è un servo del regime.
RispondiEliminaVorrei farti una domanda sul generale Dalla Chiesa. sai se hanno mai preso i suoi assassini? Dei mandanti è inutile parlarne...
Una persona come Saviano non rinuncia alla propria libertà - ha la scorta - per fama, soldi o valori da poco, lo fa perché crede in quel che fa.
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