C’era una volta la stampa libera e indipendente, insomma di vecchio stampo. Ora Steven Spielberg con il suo ultimo e memorabile film, The Post, lancia un inno al coraggio di editori e giornalisti in una storica vicenda degli anni Settanta. Questo è più di un film sulla libertà di espressione: le prime pagine dei giornali sono le prime bozze della storia umana.
The Post è una sinfonia dedicata al tempo delle vecchie redazioni dopo il '68. Il film celebra il coraggio civile espresso dall’editore del quotidiano statunitense. L’editrice indomita e solitaria si imbatte in un dilemma: pubblicare una notizia sensibile o non pubblicarla? Un quesito drammatico risolto con la vibrante decisione di andare avanti: un'iniziativa che potrebbe costare la vita al suo stesso giornale ma che alla fine, decreta l’apoteosi della persona, del quotidiano e del diritto alla libertà di stampa. Non si tratta dello scandalo Watergate: la storica inchiesta del Washington Post condotta da Bob Woodword e Carl Bernstein che costrinse il presidente Nixon alle dimissioni, e sulla quale il regista Alan J. Pakula girò il mitico film Tutti gli uomini del presidente (nello stesso filone in quel favoloso periodo c'è anche I tre giorni del condor di Sydney Pollack). Il Watergate risale all’anno 1974. Qui invece si rievoca la pubblicazione dei Pentagon Papers, che nel 1971 provocò la prima seria difficoltà a Nixon. Le carte segrete del Pentagono, trafugate da un giornalista del New York Times, attestavano che Nixon e i suoi predecessori - Eisenhower, Kennedy e Johnson - dalla metà degli anni ’50 in poi, avevano mentito sistematicamente e seguitavano a profferire menzogne sull’intervento dello zio Sam nel Sud Est asiatico, nascondendo all’opinione pubblica complotti politici e insuccessi militari. Il New York Times ed il Washington Post si ritrovarono allora sul banco degli imputati, accusati di minare la sicurezza nazionale. Alla fine ne uscirono vittoriosi, perché la stampa serve chi è governato e non chi governa.