di Gianni Lannes
Bentornati nel Belpaese, dove la radioattivita' colpisce chiunque e il governo fa finta di niente, alla stregua di tanta gente, indifferente. Ecco qualche esempio documentato. La società Cemerad ha svolto dal 1984 nel Comune di Statte (in provincia di Taranto) attività di raccolta e di deposito di rifiuti radioattivi solidi e liquidi prodotti in attività mediche, industriali e di ricerca, fino a giugno del 2000, anno in cui l'area è stata sottoposta a sequestro giudiziario; successivamente, nel 2005 la medesima è stata dichiarata fallita dal tribunale di Taranto. Sulla base di indagini conoscitive documentali è stata stimata la presenza all'interno del deposito di circa 16.507 fusti di diverse capacità, con contenuti solidi e/o liquidi, dei quali - da quanto risulta dalle schede di riferimento ivi rinvenute – circa 3.487 di essi contenenti rifiuti ancora radioattivi e 13.020 contenenti rifiuti che risultavano radioattivi all'ingresso, ma dei quali non si conosce attualmente lo stato di potenziale radioattività.
I soggetti coinvolti nelle operazioni di rimozione dei fusti e di bonifica del sito, in particolare il comune di Statte, la provincia di Taranto e la regione Puglia, hanno riscontrato molteplici difficoltà per portare a compimento le suddette operazioni per cui, dopo anni di immobilismo, è stato necessario nominare commissario straordinario la dottoressa Vera Corbelli, per l'attuazione dell'intervento di cosiddetta messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi abbandonati in loco.
Il 28 gennaio 2016 attraverso un accordo di collaborazione con Sogin S.p.A. sono state regolamentate le attività propedeutiche alla bonifica e il 13 aprile 2017, con un successivo accordo, sono state concordate le modalità di realizzazione delle attività finalizzate alla bonifica; successivamente la suddetta società ha trasferito i fusti a più alto contenuto radioattivo.
Nel 2003 realizzai un'inchiesta giornalistica per il settimanale Famiglia Cristiana e scoppio' lo scandalo, sotto gli occhi di tanti. Da quanto emerso dalle documentate attività di inchiesta della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse correlati del 16 giugno 2020, sulla base degli effettivi riscontri e degli allontanamenti eseguiti, nel deposito Cemerad su un totale di 16.623 fusti presenti al momento dell'intervento suddivisi in 11.567 di rifiuti potenzialmente radioattivi (T1/2<75gg) e 5.056 rifiuti radioattivi (T1/2>75gg) permangono in sito ancora 4.995 rifiuti (di cui 761 potenzialmente radioattivi e 4.234 radioattivi).
Poi, sono emerse ulteriori criticità consistenti nella necessità di riconfezionare il 70 per cento dei colli ammalorati (percentuale nettamente superiore a quella inizialmente pianificata) e ciò ha comportato un aggravio dei tempi di lavorazione, un minore numero di fusti caricabili nei container di trasporto (150-200 fusti per ogni trasporto contro i 400 inizialmente ipotizzati) e, pertanto, un aumento del numero dei trasporti; inoltre è stata rilevata la presenza di una consistente quantità di fusti anonimi (privi di scheda radiologica) per i quali è stato necessario realizzare una pre-caratterizzazione ai fini del trasporto.
A ciò si sono aggiunti ulteriori ritardi provocati dall'emergenza pandemica da COVID-19 e il significativo aumento nel luglio 2008 delle tariffe del servizio integrato di trattamento, condizionamento e conferimento ad Enea dei rifiuti solidi medicali in Nucleco.
Inoltre, la complessa vicenda ha richiesto la stipula di un nuovo accordo integrativo di collaborazione e conseguente ratifica dello stesso per consentirgli il completamento delle operazioni di rimozione dei restanti fusti dal sito e la nomina il 2 ottobre 2020 del dottor Demetrio Martino, quale commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell'area di Taranto.
Perche' a tutt'oggi, i governi Conte&Draghi non si sono concretamente impegnati in maniera risolutiva per completare la rimozione dei rifiuti rimanenti e la bonifica del sito Cemerad di Statte?
Non e' tutto in loco. Il 18 febbraio 2021, nel porto di Taranto la locale Capitaneria di Porto ha eseguito controlli sui rifiuti di bordo di una nave mercantile battente bandiera di Singapore. A seguito di questi accertamenti, è stato rinvenuto materiale sospetto, che il personale della nave voleva conferire alla società Nigromare di Taranto, come semplice rifiuto. La Nigromare risulta essere concessionaria del servizio di raccolta dei rifiuti di bordo autorizzata dall'Autorità di sistema portuale di Taranto. Il personale addetto della Capitaneria di Porto ha eseguito un controllo radiometrico, che evidenziava un valore alto di radioattività. I militari quindi hanno provveduto a mettere in sicurezza il materiale, disponendo lo sbarco di detti rifiuti, mentre la società Nigromare si è attivata per contattare una ditta autorizzata allo smaltimento. Sono stati, quindi, eseguiti i controlli radiometrici da un tecnico ministeriale autorizzato, che confermavano la radioattività del prodotto di ben 12 volte il valore di fondo. I Vigili del fuoco di Taranto hanno effettuato il trasbordo dei rifiuti, circa 150 chilogrammi, dalla nave a un mezzo della ditta Protex di Forlì (Prodi docet), per il successivo smaltimento.
Dopo un passato di veleni e rifiuti tossici, inchieste e archiviazioni da Burgesi a Casino Arto nel comune di Ugento (Lecce), con preoccupazioni maggiori mai completamente svanite, in Puglia le problematiche legate al traffico e allo smaltimento di rifiuti tossici e pericolosi, alle bonifiche mai effettuate o completate, rimane comunque scarso il livello di attenzione delle autorita' e dell'opinione pubblica.
Oggi vi e' la necessità di procedere alla quantificazione dei danni ambientali prodotti dalle discariche e dagli sversamenti illegali, nonché alla misurazione degli agenti inquinanti e alla rilevazione delle patologie ad esse direttamente correlabili.
Per decenni si è assistito al silenzio assordante di tante voci, ma in questo silenzio la voce di Peppino Basile (consigliere provinciale e comunale all'opposizione di Ugento, ammazzato sotto casa nel 2008) riecheggia ancora forte per le strade e le piazze del basso Salento sulle discariche abusive e quelle autorizzate, dove rifiuti tossici delle industrie del Nord sono stati occultati dalla mafia del Sud, spesso col beneplacito delle istituzioni.
Dalla Puglia alla gettonata Calabria. Quali iniziative sarebbero state intraprese in conseguenza del disastro avvenuto per causa dell'illecita gestione di circa 127 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, provenienti quasi per intero dalla centrale termoelettrica di Brindisi e poi finiti illegalmente, dal maggio del 2000 al settembre 2007, nella discarica degli impianti della «Fornace tranquilla srl» a San Calogero (Vibo Valentia)?
Nel primavera dell'anno 2020 è stata sequestrata un'area adibita a discarica nel comune di Vibo Valentia, in esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo emesso d'urgenza dal procuratore della Repubblica, Camillo Falvo e dal sostituto procuratore della Repubblica, Filomena Aliberti, relativo ad un'area di estensione di circa 100.000 metri quadri, sita nella zona industriale, località Porto Salvo (Vibo Valentia).
La menzionata indagine ha evidenziato un notevole degrado all'interno dell'area ove aveva sede la ormai cessata società Cgr (Compagnia Generale Resine Sud), a suo tempo impegnata nella produzione, lavorazione e applicazione di resine sintetiche e costruzione di impianti di industria chimica. All'interno del sito è stato rinvenuto un ingente quantitativo di rifiuti speciali, anche pericolosi (pneumatici fuori uso, eternit, materiale ferroso), nonché un cospicuo numero di «ecoballe» stoccate all'interno di capannoni. All'esame radiometrico – eseguito nei giorni scorsi con l'ausilio dei tecnici del dipartimento Arpacal di Vibo Valentia e Catanzaro – è stato accertato, inoltre, un livello elevato di radioattività all'interno del sito.
Come riportato in data 16 maggio 2020 da alcuni organi di stampa, anche il torrente La Grazia è divenuto una discarica, dove il flusso delle acque viene ostacolato da spazzatura, oggetti ingombranti e pneumatici. Ciò ha causato, nel 2010, la morte di un allevatore risucchiato dal corso d'acqua in piena mentre conduceva il suo gregge e pochi mesi più tardi, nel 2011, una vera e propria esondazione con frane che ha causato l'invasione di acqua e fango sulle strade limitrofe, fino al litorale. Nonostante siano stati pianificati e avviati interventi di regimentazione delle acque e mitigazione del rischio idrogeolocico, da circa dieci anni a questa parte, tutto è rimasto come prima o quasi: il letto fluviale del torrente La Grazia si è trasformato in una discarica a cielo aperto e sono tornate le occupazioni abusive dell'alveo, già oggetto di sequestro da parte dell'autorità giudiziaria e dei carabinieri. Un pericolo per il sottosuolo, un pericolo per le acque cristalline di Tropea, perla del Tirreno, capitale del turismo calabrese e bandiera blu nell'anno 2020.
Appunto il Governo Draghi, e' per caso a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative intende adottare - anche promuovendo un'indagine epidemiologica da parte dell'Istituto superiore di sanità - al fine di controllare gli effetti sulla popolazione del territorio degli smaltimenti illeciti di cui in premessa e quali sinergie intenda promuovere, per quanto di competenza, con le altre istituzioni competenti, per la lotta alle attività criminali finalizzate allo smaltimento illecito di rifiuti tossici, per la tutela della salute dei cittadini e per la prevenzione di ulteriori disastri ambientali nel vibonese?
Andiamo al Nord dello Stivale. Il circolo di Legambiente del Vercellese ha segnalato alla Legambiente nazionale un probabile interramento di rifiuti radioattivi che sarebbe avvenuto nell'anno 2007 in occasione dei lavori di costruzione di un edificio industriale nel sito della azienda allora denominata «Sorin Site Management srl» attualmente denominata «Livanova Site Management srl».
L'interramento sarebbe avvenuto alle coordinate 45°12'57.7"N 8°01'50.8"E ovvero 45.216034, 8.030780. Tali rifiuti radioattivi potrebbero essere tuttora sepolti ad una minima profondità, ricoperti dalla pavimentazione in cemento, e potrebbero verosimilmente derivare dalla attività di gestione di un reattore nucleare sperimentale che Sorin ha utilizzato negli anni ’60-’70 e che successivamente è stato smantellato per fare posto al deposito nucleare «Avogadro».
Tali scorie radioattive potrebbero causare un probabile danno sotto il profilo sanitario o ambientale, disperdendo la radioattività nel terreno e mettendo in pericolo anche l'importante falda acquifera sottostante che, tra l'altro, alimenta i pozzi del più esteso acquedotto del Piemonte, l'acquedotto del Monferrato, i cui pozzi sono collocati a circa mille metri a valle, nel senso di scorrimento della falda, rispetto al luogo del presunto interramento dei rifiuti radioattivi.
Legambiente ha inviato, in data 28 novembre 2017 una segnalazione dettagliata su questa vicenda al comandante dei carabinieri per la tutela dell'ambiente.
Se quanto esposto in premessa corrisponde al vero, per quale ragione l'esecutivo Draghi, non intraprende le iniziative necessarie, per quanto di competenza, per l'eliminazione della probabile minaccia imminente per la salute e per l'ambiente della zona, nonché per attivare, se del caso, le necessarie procedure di messa in sicurezza dell'area interessata?
Nel sito di Saluggia (Vercelli) sono custoditi 230 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi ed acidi, prodotti a partire degli anni ‘70, durante l'esercizio dell'impianto Eurex. Secondo l'inventario nazionale quei rifiuti contengono il 75 per cento del totale della radioattività di tutti i rifiuti sul territorio italiano.
Dopo l'alluvione del 2000, l'allora presidente dell'Enea inviò al Governo una lettera, recentemente ripresa dagli organi di stampa, nella quale venivano sintetizzati i risultati di uno studio fatto condurre dallo stesso presidente, da cui emerge che lo sversamento di una parte sostanziale di tali rifiuti Causerebbe gravissime contaminazioni in Vaste regioni adiacenti ai fiumi Dora e Po e alle falde freatiche adiacenti.
L'elevato rischio radiologico rappresentato da quei rifiuti è noto sin dall'avviamento dell'impianto Eurex a Saluggia; già nel 1977 l'autorizzazione all'esercizio prescrisse l'obbligo di solidificazione dei rifiuti liquidi «entro 5 anni»; nel 2000, un decreto del Ministero dell'industria fissò al 31 dicembre 2005 i termini per il completamento delle attività di solidificazione dei rifiuti liquidi; nel 2005, un nuovo decreto prorogò al 31 dicembre 2010 i termini per il completamento, ad opera di Sogin, delle attività di solidificazione di tutti i rifiuti liquidi; infine nel 2010, un nuovo decreto del Ministro dello sviluppo economico autorizzò la realizzazione dell'impianto Cemex per la cementazione di quei rifiuti liquidi, prorogando il termine del 31 dicembre 2010 e prescrivendo il loro completamento entro 4 anni dall'approvazione del progetto esecutivo.
Nel 2012, dopo 3 annullamenti in autotutela e riedizione della gara, Sogin assegnò l'appalto al raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla Sapiem, Maltauro per le opere civili e dalla francese Areva, come consulente nucleare.
Il 24 giugno 2015, Ispra approvò il progetto esecutivo dell'impianto Cemex; pertanto, il termine per il suo completamento prescritto dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 23 dicembre 2010, è il 23 giugno 2019.
Successivamente, l'amministratore delegato di Sogin ad agosto 2017, con l'unanime consenso del consiglio di amministrazione, ha risolto il contratto con Saipem, dopo un lungo e anomalo contenzioso, le cui ragioni sono ben sintetizzate negli atti di due audizioni in Commissione industria del Senato, a novembre 2017. Pertanto, Saipem non ha potuto procedere secondo i programmi a seguito della risoluzione del contratto e ha citato Sogin in sede civile, con richiesta di risarcimento per oltre 70 milioni di euro. Tenendo conto che il capitale sociale di Sogin è pari a 15 milioni di euro, l'eventuale soccombenza comporterebbe l'intervento dell'azionista Mef, con evidente danno alla collettività, che si aggiungerebbe al consistente incremento dei costi del decommissioning, a carico dei consumatori elettrici.
A fronte di tutto questo disastro, Sogin, ad aprile 2018, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico istanza di rinvio della prescrizione, prevista dal decreto ministeriale 23 dicembre 2010; il Ministero a giugno 2018 ha presentato all'Isin di esprimere il proprio parere sull'ipotesi di ulteriore rinvio della prescrizione; l'Isin ha risposto ricordando che nel 2010, l'Ispra aveva indicato che la cementazione dei rifiuti radioattivi liquidi era fondamentale per ridurre in termini sostanziali il livello di rischi e che la richiesta esulava dalla competenza Isin.
Ancora più grave è il fatto che dopo oltre mezzo secolo dalla loro produzione e a piu' di un decennio da quel parere dell'Ispra non solo ancora nulla è stato risolto, ma il rischio di incidente è aumentato notevolmente.
Non va meglio in Lombardia. Infatti, nel territorio del parco del monte Netto, nel comune di Capriano del Colle (Brescia), è presente una discarica, di proprietà della ex "Metalli Capra SpA", contenente scorie radioattive con cesio-137 derivanti dalla fusione dell'alluminio in seguito ad un evento di contaminazione accidentale, avvenuto nel 1989 presso gli stabilimenti di Castel Mella e Montirone. Proprio in questa zona, coltivata principalmente con vigneti, viene prodotto il vino DOC denominato "Capriano del Colle", da circa 20 aziende locali.
Il livello più alto di contaminazione, misurato nel 1990, è di 15.000 becquerel al chilo, circa 150 volte oltre il limite accettabile. La discarica è stata messa in sicurezza dall'ENEA negli anni '90; ARPA Lombardia ha rilevato "gravi lacune strutturali a causa di perdita di sedime della discarica", che producono percolato radioattivo anche se, secondo la stessa, la radioattività non sarebbe mai arrivata a contaminare in modo significativo le falde acquifere. La discarica è formata da 7 vasche profonde circa 12,5 metri; il 99 per cento dell'attività si trova nella vasca n. 3.
Nel mese di dicembre 2018, in risposta alle prescrizioni riportate nei decreti del 2014 e del 2015 della Prefettura di Brescia, la società "Raffineria Metalli Capra" in bonis ha presentato il progetto di messa in sicurezza permanente della discarica, predisposto da Arcadis, che consiste nella realizzazione di un capping multistrato superficiale e di una barriera bentonitica perimetrale.
Il 30 gennaio 2019 il tribunale di Brescia ha dichiarato il fallimento della società Metalli Capra SpA e nominato curatori i dottori Davide Felappi, Leandro di Prata e Stefano Midolo.
Nel 2019 la Prefettura di Brescia ha aperto vari tavoli tecnici per la messa in sicurezza emergenziale della discarica, in seguito alla produzione di percolato contaminato da cesio-137, da cloruri e da ammoniaca.
A maggio 2019 la curatela ha depositato il progetto di adeguamento del sistema di stoccaggio emergenziale del percolato, da attuare nelle more dell'individuazione di idoneo impianto di destinazione finale e dell'esecuzione della messa in sicurezza permanente. Gli interventi consistono nell'ampliamento del sistema di stoccaggio del percolato esistente in loco (costituito da 2 serbatoi da circa 25 metri cubi l'uno), tramite la realizzazione in tempi successivi, secondo necessità emergenti, di ulteriori 6 serbatoi da 25 metri cubi l'uno, e adeguato sistema di piping per il carico e scarico del percolato, e si chiede l'autorizzazione per l'immediato posizionamento in sito di 2 semirimorchi cisterna da circa 30 metri cubi cadauno. Nel progetto è prevista l'installazione di un impianto di evaporazione, finalizzato al trattamento in loco del percolato, alla luce dell'indisponibilità da parte di tutti gli impianti esterni a ricevere e trattare il percolato della discarica RMC, che tuttora risulta accantonato.
Mediante lettera del 7 ottobre 2019 l'ex assessore di Capriano del Colle, Giorgio Armani, inviava comunicazione agli enti interessati all'autorizzazione di messa in sicurezza discarica, nella quale venivano evidenziate delle perplessità relative al progetto emergenziale a tutela del territorio e dei cittadini chiedendo: a) che nessun rifiuto venga portato presso la discarica "Capra" di Capriano, proveniente dai siti industriali di Castel Mella e Montirone; b) che le 3 cisterne autocarrate depositate presso la discarica "Capra" vengano portate presso i capannoni a Castel Mella o Montirone, luogo più adeguato e sicuro; c) che il percolato prodotto venga conferito presso discariche autorizzate e, se non disponibili, presso gli immobili della società "Capra" a Castel Mella o Montirone; d) nessun trattamento del percolato venga effettuato presso la discarica "Capra" a Capriano; e) che i fanghi dal trattamento del percolato non vengano depositati presso la discarica Capra a Capriano ma vengano portati in discarica o in luogo autorizzato: f) che la procedura fallimentare crei un fondo a ristoro di tutte le spese passate, presenti e future per la gestione globale ed il mantenimento in sicurezza della discarica Capra; g) che vengano tutelati i viticoltori anche con il ristoro delle spese causate dalle problematiche evidenziate dalla discarica "Capra".
Nel mese di settembre 2019 la Prefettura di Brescia ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finanziamenti per le spese necessarie alla messa in sicurezza e risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi. Sulla base della documentazione presentata è stato rilasciato un finanziamento pari a 5.125.380 euro per i seguenti siti: Cagimental, Capra Montirone, Capra Castel Mella, Service Metal Company Mazzano, IRO Odolo, Alfa Acciai Brescia, e non ammettendo quindi il sito di Capriano del Colle, la discarica più grande e che ha una potenza radioattiva molto più elevata rispetto alle altre.
Quali sono state le motivazioni di non ammissibilità al finanziamento della discarica "Capra" a Capriano del Colle? Quali azioni sono state eseguite nei confronti della curatela del fallimento "Capra", affinché vengano stanziati o accantonati i fondi necessari per la messa in sicurezza permanente della discarica e per la gestione per l'attuale e il futuro mantenimento in sicurezza e quali siano le motivazioni per cui il Ministero dell'ambiente non abbia ancora sollecitato alla curatela la messa in sicurezza della vasca n. 3, che da sola contribuisce al 99 per cento della contaminazione, e non abbia individuato i siti adeguati per realizzare il deposito con parco tecnologico nazionale per smaltimento delle scorie nucleari?
Comunque, va sempre peggio con l'import ecomafioso. A seguito di una segnalazione pervenuta all'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) i controlli effettuati sul posto nel corso dell'anno 2013 a cura del locale comando stazione di Polizia forestale, unitamente agli ispettori ambientali dell'ARPAT individuavano all'interno dello stabilimento ubicato nell'ex cava in località Paterno, nel comune di Vaglia (Firenze), la presenza di numerosi grandi sacchi contenenti polveri di natura e provenienza ignote.
Successivi accertamenti hanno consentito di stabilire che si tratta di centinaia di tonnellate di rifiuto proveniente dalla società Med link di Aulla (Massa e Carrara), ditta che commercia sabbie di vari spessori (o mesh) provenienti dall'Australia, e che ritira dai propri clienti il rifiuto derivante dalle attività che impiegano le sabbie abrasive vendute dalla stessa società. Le sabbie originarie provenienti dall'Australia risultano peraltro radioattive, come si evince da documenti della stessa Med link, con varie concentrazioni.
Il rifiuto in questione consiste in sabbie esauste, contenenti anche residui dei metalli oggetto di taglio o sabbiatura, comprese le vernici asportate con tale tecnica. Dalle analisi chimiche prodotte dalle ditte utilizzatrici, infatti, nei loro residui di lavorazione risultavano presenti molti metalli pesanti quali rame, piombo, nichel ed anche, più raramente, mercurio in concentrazioni molto elevate.
L'accumulo progressivo del rifiuto in grande quantità presso la Med link ha costretto l'azienda stessa a trovare una soluzione per lo smaltimento, conferendo le sabbie al proprietario dell'ex cava citata che le pagava un euro a tonnellata. In realtà, si evince dalla stessa relazione tecnica prodotta in proposito dalla Med link ai fini di ottenere l'autorizzazione che dal presunto recupero delle sabbie si ottenevano due granulometrie riutilizzabili ed un rifiuto, da allontanare conformemente alle disposizioni in materia di rifiuti.
L'azienda a cui fa capo l'ex cava di Vaglia non risultava titolare di nessuna autorizzazione per trattare rifiuti e riusciva solo a stoccare le centinaia di sacchi contenenti le sabbie direttamente sui piazzali dell'ex cava senza nessuna protezione.
Alla segnalazione all'autorità giudiziaria, con il reato ipotizzato di traffico illecito di rifiuti ed associazione a delinquere, ha fatto seguito un procedimento giudiziario presso la Procura Antimafia di Genova, pervenuto a sentenza in data 11 giugno 2018.
Quali provvedimenti il Ministro in indirizzo intenda assumere, anche di carattere normativo, per impedire che le sabbie, contenenti metalli pesanti in varie concentrazioni, possano essere immesse nell'ambiente senza nessuna precauzione, in virtù di una sentenza del Tribunale di Genova?
Quali accertamenti il governo Draghi intende effettuare sulle sabbie provenienti alla società Med link dall'Australia in Italia che sembrano contenere radioattività in varie concentrazioni?
Quali provvedimenti urgenti il primo ministro Draghi intende assumere per normare l'uso di tali sabbie, sia della Med link sia di altre ditte, e dei rifiuti derivanti dal loro uso, al fine di prevenirne lo smaltimento nell'ambiente senza nessuna precauzione?
Quale destinazione in particolare il ministro Cingolani intende prevedere per i materiali provenienti dalla sabbiatura delle grandi navi, ossia dalla sverniciatura delle grandi navi ancorate nei porti, ed in particolare delle navi militari, che potrebbero aver utilizzato vernici al mercurio come prodotti antivegetativi?
E ancora la nocivita' bellica che miete piu' danni. Il caso «Sindrome dei Balcani» è scoppiato nel 2000 con l'emergere dei primi casi di militari italiani ammalatisi o deceduti al rientro dalle missioni in Bosnia Erzegovina e Kosovo che - unitamente alla Serbia - sono stati bombardati dalla Nato (nel 1995 la Bosnia e nel 1999 gli altri due) con proiettili all'uranio impoverito (DU Depleted Uranium), mentre all'epoca l'allora ministro della Difesa, Sergio Mattarella ne ha negato clamorosamente la pericolosita'.
L'uranio impoverito deriva da materiale di scarto delle centrali nucleari e viene usato per fini bellici a causa del suo elevato peso specifico e la sua capacità di perforazione. Quando un proiettile al DU esplode ad altissima temperatura rilascia nell'ambiente nanoparticelle di metalli pesanti. A oggi viene confermato dalla ricerca scientifica che questi proiettili sono pericolosi sia per la radioattività emanata sia per la polvere tossica che rilasciano nell'ambiente.
Ufficialmente, il prezzo pagato dai militari italiani impegnati in missioni di pace è doloroso ed increscioso: almeno 10 mila malati e oltre 400 decessi. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato italiano dello stato di malattia, o decesso, ha portato molti militari a rivolgersi alla giustizia, con 119 sentenze di condanna a carico del ministero della difesa, e con oltre 350 pendenze in corso di giudizio.
La relazione finale del 15 febbraio 2018 dell'ultima di quattro Commissioni parlamentari d'inchiesta ribadisce il «nesso di causalità tra l'accertata esposizione all'uranio impoverito e le patologie denunciate dai militari» attraverso «sette missioni, 50 audizioni libere, oltre 50 esami testimoniali, 33 collaborazioni esterne e 109 sedute».
Il 4 ottobre 2018 è stata emessa dalla Corte di Cassazione una sentenza che, oltre a ribadire il nesso causale tra DU e malattia, ha dichiarato il Ministero della difesa colpevole di aver ignorato i pericoli ai quali aveva esposto i propri militari in teatri operativi in cui era stato usato munizionamento al DU, e dunque ritenuto legittimo il risarcimento richiesto dai familiari del militare Salvatore Vacca, morto di leucemia l'8 settembre del 1999, all'età di 23 anni, dopo aver partecipato a una missione in Bosnia Erzegovina.
Dei 31 mila proiettili al DU usati nel 1999, oltre 25 mila hanno colpito il Kosovo e, di questi, il 56,47 per cento (17.237) sono stati concentrati sul quadrante a nord-ovest, quello appunto controllato dal contingente Kfor italiano.
Riferimenti:
Gianni Lannes, Il grande fratello. Strategie del dominio, Draco edizioni, Modena, 2012.
Gianni Lannes, Italia Usa e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=cemerad
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=uranio+impoverito
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=vercelli
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=mattarella%2Buranio
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=nucleare
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2021/06/italia-radioattivita-letale.html
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