Strage Ustica, recupero rottami - Relitto Ustica a Bologna. |
di
Gianni Lannes
La verità non si può uccidere e prima o poi salta
fuori. Accadde il 27 giugno 1980. A Bologna 81 persone salgono a bordo
dell’aeroplano civile diretto a Palermo: 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i
dodici e i due anni, due bambini di età inferiore ai ventiquattro mesi e 4
membri d’equipaggio. Il velivolo decolla alle 20.08 e sparisce dai tracciati
radar alle 20.59, a causa di due missili a guida radar.
«L’incidente al Dc 9 è occorso a seguito di azione
militare di intercettamento. Il Dc 9 è stato abbattuto, è stata spezzata la
vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di
guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale
coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i
diritti. Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto». Sono le
parole con le quali, in ultima battuta, il giudice Rosario Priore ha chiuso il
31 agosto 1999, la più lunga istruttoria della storia giudiziaria italiana.
Velivoli non identificati, radar che vedono e non
vedono, un buco nero di segreti, omissioni, depistaggi e menzogne a caratura
istituzionale con coperture di livello internazionale. Quella notte andò così.
Scena prima. Due caccia riforniti in volo entrarono nel Tirreno posizionandosi
a sud est della Sardegna, in attesa del bersaglio, esattamente nel punto - non
rilevabile dai radar - in cui avevano verificato un’ampia zona d’ombra nella
difesa aerea italiana.
Sembrava una missione impossibile, ma si erano
preparati per mesi a quella che giudicavano un “atto di vitale autodifesa”. I
missili si allontanarono nel vuoto e colpirono l’aereo civile italiano. I due
caccia allora si divisero e uno di essi attraversò la costa tirrenica della
Calabria per fare rientro nella terra promessa.
In un rapporto dei servizi segreti italiani - datato
ottobre 1980 - consegnato al Governo, o meglio all’allora ministro della
Difesa, è contenuta questa indicibile verità, occultata per 32 anni. Il report
è ancora sepolto nella cassaforte appartenuta al ministro Spadolini?
Recentemente una barba finta ben istruito ha vuotato il sacco a modo suo, con i
due magistrati (Amelio e Monteleone) che hanno riaperto a Roma, l’indagine
giudiziaria. Altre tre gole profonde - ex militari - hanno cominciato a cantare
forse per rimorsi di coscienza. Eppure, il muro di gomma è impenetrabile.
L’orecchio di Echelon Usa dalla base di San Vito dei Normanni (Brindisi) ha
registrato tutto, istante per istante, alla stregua di Shape, un organismo
Nato, di stanza a Bruxelles, ma il Pentagono non collabora.
Oggi sono note cause, dinamica e scenario
internazionale di matrice bellica. Mancano all’appello solo gli autori
materiali della strage e i loro mandanti ben protetti. Perché questa verità era
così inconfessabile da richiedere il silenzio, l’omertà, l’occultamento delle
prove?
Strage Ustica, rottami velivolo - Radar aeronautica militare. |
La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio (diametro 3 millimetri) trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testa a frammentazione di un missile. La requisitoria del giudice Priore parla di una operazione militare condotta da Paesi alleati -americani, francesi, inglesi e libici - della quale gli italiani sono stati testimoni diretti. Nei tracciati radar si vede addirittura un elicottero decollato dal mare, presumibilmente da una portaerei, giungere nella zona del disastro prima che arrivassero, con deliberato ritardo, i soccorsi. Che cosa si è voluto insabbiare con tanto accanimento? Il ruolo attivo di Israele? «E’ una questione di dignità nazionale - argomenta Daria Bonfietti che ha perso il fratello Alberto - Un’altra Ustica può ripetersi in qualsiasi momento».
Morti sospette - Infarti, ‘suicidi’, omicidi,
attentati, rapimenti e sparizioni, ma anche incidenti stradali e aerei. La
strage di Ustica è costellata da una serie di morti misteriose di potenziali
testimoni, depositari di rivelazioni esplosive. Sono oltre una ventina le
persone decedute - in circostanze drammatiche - che avrebbero potuto fornire
elementi utili per ricostruire ciò che avvenne la sera del 27 giugno 1980 sul
Mar Tirreno. L’ultimo della serie è stato Michele Landi, consulente informatico
della Guardia di Finanza e del Sisde, nonché di alcune procure, trovato
impiccato con le ginocchia sul divano la notte del 4 aprile 2002, nella sua
casa di Montecelio di Guidonia. «Gli esami tossicologici effettuati dalla
dr.ssa Costamagna» si legge nella richiesta di archiviazione del procedimento
numero 2007/02 «evidenziavano una significativa concentrazione di alcool nel
sangue cadaverico». Ben strano per un soggetto che decide di suicidarsi.
L’allora colonnello delle Fiamme Gialle, Umberto Rapetto, l’8 aprile 2002 aveva
dichiarato a verbale: «Non riesco assolutamente a spiegarmi i motivi di
siffatto gesto. Landi ha sempre avuto un fare particolarmente gioioso ed
equilibrato e costantemente positivo. Non soffriva assolutamente di
depressione».
In quei giorni in un’interrogazione parlamentare l’Ulivo chiese:
«Perché il ministro dell’Interno Scajola ritiene il suicidio l’unica ipotesi?».
Il caso è stato archiviato -con richiesta datata 18 novembre 2004- dal
procuratore capo presso la Procura della Repubblica di Tivoli, Claudio
D’Angelo, e dal sostituto, Salvatore Scalera. Landi aveva confidato agli amici
di essere a conoscenza di novità compromettenti su Ustica. Il magistrato
Lorenzo Matassa, infatti, il 10 aprile 2002 aveva dichiarato agli inquirenti:
«Michele Landi l’hanno suicidato i servizi segreti come storicamente in Italia
sanno fare. Mi aveva riferito di sapere molte cose su Ustica». Non impossibile,
visto che Landi aveva lavorato in passato sui sistemi di puntamento
missilistici ed era stato in contatto con la società Catrin, la stessa con cui
collaborava Davide Cervia, il tecnico di guerra elettronica, misteriosamente
scomparso il 12 settembre ’90. Scrive il giudice Rosario Priore, a pagina 4.663
della sua sentenza-ordinanza: «Questa inchiesta come s’è caratterizzata per la
massa di inquinamenti così si distingue per il numero delle morti violente
attribuite per più versi ad un qualche legame con essa, escludendo deduzioni di
fantasia ed usando solo rigorosi parametri di fatto».
Il tragico elenco si apre il 3 agosto 1980 con la
morte del colonnello-pilota dell’Aeronautica militare Pierangelo Tedoldi, 41
anni, a seguito di incidente stradale sull’Aurelia e suo figlio David. Annota
Priore: «All’ufficiale era stato assegnato il comando dell’aeroporto di
Grosseto (competente sul sito radar di Poggio Ballone, ndr) in successione al
colonnello Tacchio Nicola». Non emerge alcun collegamento diretto con Ustica,
«a meno di non supporre», ribadisce Priore «che in quell’aeroporto
sussistessero ancora nell’agosto di quell’anno prove di una verità difforme da
quella ufficiale; che quel colonnello ne fosse a venuto a conoscenza; che
comunque egli non fosse persona affidabile nel senso che avrebbe potuto
denunciarle all’Autorità Giudiziaria o alla pubblica opinione».
Quando i
magistrati inquirenti chiesero nell’88 l’elenco del personale in servizio la
sera del 27 giugno 1980, si resero conto che erano stati omessi due nomi
significativi: quelli del capitano Maurizio Gari e del maresciallo Alberto
Maria Dettori, entrambi in servizio la tragica notte. Gari era il responsabile
della sala radar del 21° Cram; Dettori aveva il compito invece di identificare
i velivoli. Entrambi sono morti. Maurizio Gari, 32 anni, non affetto da
cardiopatie, il 9 maggio 1981 è stato comunque stroncato da un infarto.
Dettori, invece, fu trovato impiccato ad un albero 24 anni orsono. «Altra morte
’strana’» commenta il giudice istruttore Priore a proposito di Gari. Dalle
scarne conversazioni telefoniche rintracciate «si denota un particolare
interessamento dell’ufficiale per l’incidente del Dc9 Itavia», scrive Priore
«Certamente la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità all’inchiesta,
anche sulla base di quanto accertato attraverso l’interpretazione dei dati
radaristici e le tante scoperte sulla sala operativa da lui comandata, in cui
quella sera prestavano servizio di certo il maresciallo guidacaccia De
Giuseppe, e con ogni probabilità il maresciallo Dettori».
Negli atti giudiziari, alla voce "decessi per i
quali permangono indizi di collegamento con il disastro del Dc 9 e la caduta
del Mig" figura, appunto, anche il ’suicidio’ per impiccagione del maresciallo AM, Mario
Alberto Dettori (39 anni). Il sottufficiale, infatti, fu trovato impiccato ad
un albero il 31 marzo ’87 alle ore 16, sul greto del fiume Ombrone, dal collega
Michele Casella, nei pressi di Grosseto. Dettori nell’80 era controllore di
Difesa Aerea - assegnato al turno Delta - presso il 21° Cram di Poggio Ballone.
Così argomenta il giudice istruttore Priore: «Se ha visto quello che mostravano
gli schermi di quel Cram, che aveva visione privilegiata su tanta parte della
rotta del Dc 9 e di quanto attorno ad esso s’è consumato, se ne ha compreso la
portata, al punto tale da confessare a chi gli era più vicino che quella sera
s’era sfiorata la guerra, ben si può comprendere quanto grave fosse il peso che
su di lui incombeva. E quindi che, in uno stato di depressione, si sia
impiccato. O anche - dal momento che egli stava diffondendo le sue cognizioni,
reali o immaginarie, e non fosse più possibile frenarlo - che sia stato
impiccato». Il 26 novembre ’90, la moglie Carla Pacifici, riferiva al giudice
Priore che «non riusciva a spiegarsi il suicidio, in quanto suo marito aveva una
gran voglia di vivere»; così come «non riusciva a comprendere le ragioni per
cui non era stata mai eseguita l’autopsia sul cadavere».
Anche la morte del sindaco
di Grosseto - in carica nel 1980 - Giovanni Battista Finetti, il 23 gennaio
1983, rientra nella lista degli scomparsi. Il sindaco grossetano perde la vita
in un incidente stradale sulla statale Scansanese nel comune di Istia
d’Ombrone. Finetti aveva raccolto le confidenze di alcuni ufficiali dell’arma
azzurra.
Il 28 agosto 1988, a Ramstein (Germania) durante
un’esibizione aerea delle Frecce Tricolori, ufficialmente a causa di “un errore
di manovra” muoiono due veterani: i colonnelli Mario Naldini, di 41 anni (4350
ore di volo) e Ivo Nutarelli, di 38 anni (4250 ore di volo). "Una tragica
fatalità" per l’allora capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, Franco
Pisano. “Per quell’esercizio, il cardioide, le probabilità di collisione sono
praticamente pari a zero” spiegò subito Diego Raineri, a quel tempo comandante
della pattuglia acrobatica. Perfetti gli uomini, perfette le macchine, perfetto
l’addestramento, calcolati i rischi: perché dunque è avvenuta la tragedia che
ha mietuto, 59 morti e 368 feriti? I giornali Tageszeitung e Der Spiegel hanno
ipotizzato un sabotaggio dei velivoli Aermacchi Mb 339, legato al precedente di
Ustica. In effetti, Naldini e Nutarelli erano decollati la sera del 27 giugno
’80 da Grosseto a bordo di un F 104. Il loro caccia intercettore si alzò in
volo alle 19,30 e tornò alla base alle 20,50, dieci minuti prima che il Dc 9
precipitasse. Che abbiano notato qualcosa che non dovevano vedere quando hanno dato l'allarme generale? «Di certo i
due erano a conoscenza, come s’è dimostrato, di molteplici circostanze
attinenti al Dc 9 e a quei velivoli che volavano in prossimità di esso» documenta
Priore. L’imprenditore Andrea Toscani, interrogato dal giudice Priore ha
rivelato le confessioni di Naldini. «Mario mi disse»: “Quella notte c’erano tre
aerei. Uno autorizzato, due no. Li avevamo intercettati quando ci dissero di
rientrare”. Un’altra coincidenza: Nutarelli e Naldini sono morti esattamente
una settimana prima di essere interrogati dai magistrati.
Sette anni prima, il 2 settembre 1981 a Rivolto
(Udine), durante un’esercitazione moriva il colonnello Antonio Gallus, amico e
collega degli ufficiali Naldini e Nutarelli. Si accingeva a fare importanti
rivelazioni su Ustica.
Il 20 marzo 1987, alle ore 19 viene assassinato a Roma
con «dieci proiettili calibro 38 perforanti», attesta il rapporto della Polizia
scientifica, il generale di squadra aerea Licio Giorgieri. Alle 19,40 giunge la
rivendicazione dell’omicidio: «Il generale Licio Giorgieri era stato ucciso
esclusivamente per le responsabilità da lui esercitate in seguito all’adesione
italiana al progetto delle guerre stellari». Così si esprimevano i sedicenti
terroristi dell’Unione combattenti comunisti. Il movente affidato al volantino
venne però demolito pubblicamente da Giovanni Spadolini: «Giorgieri non aveva
nessun rapporto diretto con l’iniziativa di difesa strategica. Il generale
Giorgieri non apparteneva neanche al Comitato tecnico di controllo su tale
impresa». Gli esperti di terrorismo lo definirono «un attentato anomalo». In
realtà, all’epoca di Ustica, il generale triestino faceva parte dei vertici del
Rai, il Registro aeronautico italiano, responsabile del quale era il generale
Saverio Rana, «morto per infarto». Lo stesso Rana -che aveva
ricevuto dall’amico Giorgieri tre fotocopie di tracciati radar- subito dopo la
strage riferì al ministro Formica la presenza di un caccia vicino al Dc 9.
Il 12 agosto ’88 muore il maresciallo del Sios, Ugo
Zammarelli. Mentre passeggiava con un’amica sul lungomare di Gizzeria Marina,
viene investito da una moto. Non viene effettuata alcuna autopsia. I suoi
bagagli spariscono dall’albergo. Zammarelli in forza alla base Nato di
Decimomannu, in Sardegna, non era in Calabria in vacanza, ma stava conducendo
un’inchiesta sul Mig libico.
Ancora una morte violenta: un altro maresciallo AM,
Antonio Muzio, viene freddato con tre colpi di pistola al ventre, il primo
febbraio ’91, a Pizzo Calabro. Nel 1980 era in servizio alla torre di controllo
dell’aeroporto di Lamezia Terme. Secondo Priore «il sottufficiale potrebbe
essere venuto a conoscenza di fatti attinenti alla vicenda del Mig, di mene del
capitano Inzolia e del maresciallo Molfa». Questi due carabinieri alla fine di
giugno dell’80 cercavano un aereo militare sulla Sila.
Il 2 febbraio 1992, altra morte strana, quella del
maresciallo AM, Antonio Pagliara. Rimase vittima dell’immancabile incidente
stradale. Nell’80 era in servizio con funzioni di controllore di Difesa Aerea
al 32° Cram di Otranto. Anche lui era in procinto di vuotare il sacco.
Sempre il 2 febbraio ’92, muore in circostanze nebulose l’ex colonnello
Sandro Marcucci, ufficialmente «a seguito di incidente aereo in un servizio di
antincendio». Marcucci, 47 anni, pilota esperto, si schianta inspiegabilmente
sulle Alpi Apuane col suo Piper. Nel 1980 era in servizio quale ufficiale
pilota presso la 46ª Aerobrigata di Pisa. Soltanto 5 giorni prima Il Tirreno
aveva pubblicato una sua intervista in cui aveva duramente attaccato il
generale Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto di Pisa dal ’76 al ’79, in seguito promosso al vertice del Sios Aeronautica.
Il 12 gennaio 1993, è il turno di un personaggio
scomodo. A Bruxelles viene assassinato a coltellate l’ex generale Roberto
Boemio (58 anni), già a capo della terza Regione Aerea. Il consulente dell’Alenia presso la Nato era un testimone
chiave. Nel ’91, con buon anticipo aveva abbandonato l’Aeronautica. Le modalità
dell’omicidio coinvolgono, secondo la magistratura belga -che non ha ancora
risolto il caso- i «servizi segreti internazionali». «Gli aggressori si sono
allontanati a bordo di una Ford Escort bianca, poi risultata rubata e alla
quale era stata sostituita la targa» secondo la ricostruzione del giudice Guy
Laffineur. E’ stata tale circostanza a far pensare a un’azione ben preparata.
Il delitto di Boemio rimane ancora un mistero. L’unica certezza è che l’alto
ufficiale in pensione aveva cominciato a collaborare con la magistratura
inquirente. Non a caso, il suo nome compare tra i riscontri di innumerevoli
contestazioni processuali fatte ai generali Bartolucci, Tascio, Ferri, Melillo.
Proprio da Boemio, all’epoca della strage comandante della III Regione Aerea, dipendevano
direttamente il Terzo Roc di Martinafranca (nome in codice ’Imaz’: cuore del
sistema Nadge, di controllo Usa) con le basi radaristiche di Marsala e Licola,
coinvolte nell’allarme per la presenza di caccia non identificati nel cielo di
Ustica e di una portaerei in navigazione nel Tirreno al momento dell’esplosione
del Dc 9. Boemio s’era anche occupato del Mig 23 libico fatto ritrovare sulla
Sila proprio il 18 luglio ’80. Conclude il giudice Priore: «Sicuramente altra
sua testimonianza inerente gli incidenti aerei in disamina, a seguito delle
risultanze istruttorie emerse dopo le sue prime dichiarazioni, sarebbe
risultata di grande utilità». Il generale Boemio conosceva i retroscena e
poteva fornire elementi di prima mano.
La tragica litania di morti sospette non si arresta.
Infatti, il 2 novembre ’94 tocca a Giampaolo Totaro, 43 anni, ex ufficiale
medico dell’Aeronautica Militare, dal 1976 all’84 in servizio presso la base
delle Frecce Tricolori a Rivolto. Totaro è stato trovato impiccato accanto alla
porta del bagno della sua abitazione. Ancora coincidenze. Innanzitutto gli anni
trascorsi accanto agli amici Naldini, Nutarelli e Gallus. E poi la
pubblicazione il 31 ottobre, prima del “suicidio” di varie rivelazioni che
collegano Ustica alle Frecce e a Ramstein. Registra il referto giudiziario: «Le
modalità dell’atto - la corda era attaccata a una sbarra poco più di un metro
di altezza - hanno indotto a qualche sospetto sulla realtà di un’azione
suicidaria».
Altro emblematico decesso. Il maresciallo AM, Franco
Parisi, 46 anni, fu trovato anche lui impiccato il 21 dicembre ’95, ad un
albero alla periferia di Lecce. Nell’80 era controllore di Difesa Aerea nella
sala operativa del 32° Cram di Otranto. Era di turno la mattina del 18 luglio
’80, quando sarebbe avvenuto il fantomatico incidente del Mig. Dichiara
nell’ordinanza-sentenza il giudice Priore: «Erano emerse al tempo del suo primo
esame testimoniale, nel settembre ’95, palesi contraddizioni nelle sue
dichiarazioni, così come s’erano verificati incresciosi episodi con ogni
probabilità di minacce nei suoi confronti». Citato a comparire una seconda
volta, il 10 gennaio ’96, Parisi muore qualche giorno dopo aver ricevuto la
convocazione giudiziaria. Nel novembre ’97 il Gip Vincenzo Scardia, aveva
ordinato la riapertura del caso, che era stato archiviato in tutta fretta dal
pm Nicola D’Amato, come ’suicidio’. I familiari hanno sempre sollevato il
sospetto che Franco Parisi ’sia stato suicidato’. Il maresciallo fu bastonato?
Fatto sta che i medici legali gli riscontrarono un’ematoma all’altezza della
nuca, opportunamente fotografato dagli investigatori Digos di Lecce subito dopo
il ritrovamento del cadavere. Tra gli aspetti oscuri dell’impiccagione, la
compatibilità della lunghezza della corda trovata legata all’albero con la
distanza dal suolo e la stessa altezza della vittima. Ma anche il rilasciamento
dei muscoli del collo al quale era stretta la fune - è stato tale allorché il
corpo del Parisi è stato lasciato penzolare nel vuoto - da far trovare il cadavere
con i piedi poggiati per terra. Ci sono foto della polizia giudiziaria che lo
confermano. «Come ben si vede analogie forti con il caso Dettori - argomenta il
giudice Priore -. Entrambi marescialli controllori di sala operativa in un
centro radar. Entrambi in servizio dinanzi al PPI, con funzioni delicatissime,
rispettivamente la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio. Venuti a
conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro
conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita
da ambienti che li stringono od osteggiano anche in maniera pesante. E così ne
restano soffocati».
Chi uccide i testimoni scomodi? Il 26 dicembre ’95,
i sedicenti ’Nuclei per l’eliminazione fisica dei militari corrotti di Ustica’,
depositano a Bologna, in via Saragozza, due bottiglie molotov sul pianerottolo
del maresciallo AM, Giuseppe Caragliano, mai comparso nell’inchiesta sulla
strage di Ustica, nell’80 in servizio al centro telecomunicazioni dello Stato
Maggiore dell’arma azzurra. Un attentato annunciato da una serie di telefonate
minatorie nell’abitazione del militare e alla questura di Bologna: “Andate in
via Saragozza e fate sgomberare il palazzo dell’avvocato Leone, perché vogliamo
far saltare in aria il maresciallo Caragliano”. Chi, se non gli apparati
militari, potevano collegare Caragliano a Ustica, dal momento che tale legame
non era mai stato ipotizzato neppure dagli inquirenti? E ancora: è soltanto un
caso che l’attentato di Bologna arrivi a soli 5 giorni dalla notizia del
“suicidio” del maresciallo Parisi? Che le minacce cominciano quando è nota ai
soli investigatori la circostanza del ritrovamento nell’abitazione dell’ex
generale dei carabinieri, al servizio del Sismi, Demetrio Cogliandro
dell’archivio su Ustica? Conclude Priore nella sua sentenza-ordinanza: «Nei
casi che restano si dovrà approfondire, giacché appare sufficientemente certo
che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai
ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati».
Il giornalista Andrea Purgatori bersaglia le responsabilità stragiste. «In
tutto questo c’è anche una nostra responsabilità, lo dice la Nato negli atti
dell’inchiesta. E’ certo ci sono le prove, che alcuni ufficiali
dell’Aeronautica sapevano e trattavano con la Cia all’insaputa dello Stato
maggiore». Due milioni di atti e numerose perizie. Tutti assolti: ben 4
generali dell’Aeronautica - all’epoca il massimo vertice dell’arma azzurra -
imputati con l’accusa di «attentato contro gli organi costituzionali», Lamberto
Bartolucci, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica; Zeno Tascio, all’epoca
dei fatti, responsabile del servizio informazioni operative segrete (Sios);
Corrado Melillo, ex capo del terzo reparto della Stato Maggiore Aeronautica e
poi sottocapo di Stato Maggiore della Difesa; carica che nel 1980 ricopriva
l’altro generale imputato, Franco Ferri. I quattro alti ufficiali, secondo
l’accusa, «hanno omesso di riferire alle autorità politiche e giudiziarie,
informazioni riguardo la possibile presenza di altri aerei di varie nazionalità
(statunitensi, francesi, inglesi) e di una portaerei di nazionalità non
accertabile con sicurezza» sulla rotta del Dc 9 Itavia la sera del disastro;
hanno taciuto notizie riguardanti «l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il
velivolo ed i risultati dell’analisi dei tracciati radar di Fiumicino-Ciampino
e l’emergenza di circostanze di fatto non conciliabili con la caduta del Mig
libico sulla Sila la mattina del 18 luglio 1980».
Hanno inoltre fornito
«informazioni errate» al fine di «impedire che potessero emergere
responsabilità dell’Aeronautica Militare o di forze armate di Paesi alleati».
Altri imputati erano i cosiddetti “007”: Francesco Pugliese, poi diventato
generale, già capo di Civilavia; l’ex vicecapo del Sismi Nicola Fiorito De
Falco; Umberto Alloro, Claudio Masci, l’ex responsabile della sezione
controspionaggio del Sismi Pasquale Notarnicola e Bruno Bomprezzi. E’
intervenuta la prescrizione dei reati e la dichiarazione di non luogo a
procedere per un’altra sessantina di altri ufficiali e sottufficiali italiani.
«I quattro generali accusati in base all’articolo 289 del codice penale - tuona
Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione Familiari delle vittime di Ustica
- erano accusati di aver violato il loro dovere di fedeltà allo Stato,
occultando le prove di un crimine. In nome di un’altra fedeltà ai loro occhi
più grande e assoluta». In altri termini, i militari avrebbero sistematicamente
depistato le indagini e insabbiato le prove innalzando quello che è passato
alla storia come “Il muro di gomma”, reso ancora più inquietante dalla lunga
catena di morti sospette tra i testimoni chiave.
Risarcimento negato - Per avere una risposta dallo
Stato dovranno attendere ancora tre anni i familiari delle 81 vittime,
trucidate la sera del 27 giugno 1980. Ancora tre anni si aggiungono ai 31 già
trascorsi dalla strage provocata dall’aviazione israeliana, grazie alla
compiaciuta disattenzione dell’Aeronautica tricolore e dei padroni Usa. La
corte d’appello che dovrà decidere se confermare o meno la condanna milionaria
dei ministeri dei Trasporti e della Difesa ha rinviato al 2015 il processo. Ma
intanto ha deciso il congelamento del verdetto di primo grado: i parenti di chi
nella tragedia dell’Itavia perse la vita, per ora, non incasseranno i
risarcimenti. Sospesi in attesa della pronuncia sull’impugnazione del verdetto
che riteneva colpevole lo Stato italiano, di non aver garantito la sicurezza
del volo e di avere negato a chi la chiedeva la verità sul disastro.
“Un’impugnazione che - secondo la corte - non sarebbe manifestatamente
infondata e che richiederebbe un’accurata valutazione”. A far pendere la
bilancia per la sospensione dei risarcimenti c’è poi - scrive il collegio
presieduto da Rocco Camerata Scovazzo - “la considerevole entità della somma
oggetto della condanna”. Insomma i 110 milioni liquidati pesano: recuperarli
dalle parti in caso di accoglimento dell’appello dell’avvocatura dello Stato sarebbe
difficile. E comunque, il debitore - cioè lo Stato - avrebbe un grave danno
dall’adempimento”. “La decisione della corte d’appello di Palermo in realtà non
ci sorprende: la sospensiva è in un certo comprensibile vista l’estrema
importanza della somma liquidata in primo grado ai familiari delle vittime”,
commenta Daniele Osnanto, legale di 68 delle 81 parti costituite a processo.
“Quello per cui per davvero ci rammarichiamo - spiega l’avvocato - è il rinvio
del processo al 2015.
Dalla strage di Ustica sono passati 32 anni: quanto
tempo devono attendere le persone per avere una risposta?”. Un’attesa lunga
decenni quella dei familiari delle vittime che fu stigmatizzata anche dalla
sentenza di condanna dei ministeri. Il giudice riconobbe “il loro interesse a
conoscere come e perché i congiunti sono morti e anche perché tale conoscenza
sia stata così evidentemente preclusa per trent’anni”. L’ex senatrice Bonfietti non ha dubbi: «Ustica colpisce a morte il
cuore della democrazia, intacca la sua sostanza. Ustica è il soffocamento
sistematico e pervicace della democrazia italiana. Segnala i poteri occulti dei
corpi separati, conferma l’esistenza di forze che riducono la democrazia
italiana a una democrazia di facciata».
Il giudice Rosario Priore è perentorio:
«L’incidente al Dc 9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento.
Il Dc 9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti
con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non
dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro
paese, di cui sono stati violati i confini e diritti. Nessuno ha dato la minima
spiegazione di quanto è avvenuto». C’era
la guerra quella notte del 27 giugno del 1980: c’erano 69 adulti e 12 bambini
che tornavano a casa, che andavano in vacanza, che leggevano il giornale, o
giocavano con una bambola. Quelli che sapevano hanno deciso che i cittadini, la
gente, noi non dovevamo sapere: hanno manomesso le registrazioni, cancellato i
tracciati radar, bruciato i registri, hanno inventato esercitazioni che non
sono mai avvenute.
MOTIVAZIONI
DI DIRITTO
Radar militare, Jacotenente. |
Una sequenza impressionante di morti.
RispondiEliminaMa non ci sono state solo quelle. Ci sono state anche molte persone premiate per avere contribuito a nascondere la verità.
Anche queste meriterebbero un'inchiesta.
Colpiti e affondati. Infatti ci stiamo occuopando proprio di loro, ovvero dei premiati per aver insabbiato la verità di una strage i cui sono morte persone innocenti, perfino bambini. Prima o poi la pagheranno questi maledetti e gli sciacalli che li proteggono. Ci stiamo prodigando per per un minimo di giustizxia terrena. A presto... illuminati!
RispondiEliminaAnni fa, in rete, non ricordo su quale sito, ho lètto un'ipotesi, che (vado a memoria) mi sembrava plausibilissima: cioè che il pilota del DC9, con maestrìa e sangue freddo, sìa riuscito ad ammarare e l'aeromobile sìa rimasto a galla con alcuni passeggeri ancora vivi.
RispondiEliminaAlla luce di ciò, sono stati ritardati i soccorsi e degli incursori (mi sembra delle SAS inglesi) avrebbero applicato dell'esplosivo all'aereo per affondarlo per far sparire prove e testimoni.
Ho ricercato in rete, ma l'articolo è sparito..... e questo mi fa pensare che ciò che descritto fosse vero.
Ci sono riscontri per questo ? O qualcuno può risalire all'articolo ? (Purtroppo, dopo anni, non ricordo né il sito né l'autore.).
Un classico esempio di depistaggio come ha dimostrato il giudice Rosario Priore, a cui furono negate dall’Aeronautica Militare tricolore una miriade di prove. Per ammarare volando a 10.000 metri occorre qualche minuto. Hai tutto il tempo per comunicare alla torre di controllo cosa sta accadendo. Invece l’ultima parola prima dell’impatto pronunciata dal copilota Fontana fu: “guarda…”. Fontana sedeva a destra, l’attacco arrivò da destra, col sole alle spalle per l’intercettore. Fontana vide la scia del missile. I corpi recuperati erano devastati da un’esplosione provocata da un missile, non sarebbero stati così malmessi se fossero ammarati.
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