25.7.12

DUE FINANZIERI AMMAZZATI
DALLO STATO ITALIANO

Agusta a 109.

di Gianni Lannes

La verità è prigioniera di un silenzio assordante. Due marzo 1994: serata di stelle lucenti e di vento che accarezza le nuvole sommerse. «Volpe 132 a Elmas, mi sentite? Passo». «Avanti Volpe 132, vi sentiamo forte e chiaro. Qual è la vostra posizione?». «Sorvoliamo Capo Carbonara, fra qualche istante saremo sull’obiettivo a Capo Ferrato». «Volpe 132, quale obiettivo?». «Volpe 132, mi sentite? Passo. Volpe 132, mi sentite? Qual è la vostra posizione?».  Alle ore 19.15 l’elicottero  - in missione perlustrativa - mantiene l’ultimo contatto radio; alle 19.18 scompare dagli schermi radar. Per oltre 40 minuti c’è un silenzio ingiustificato della base operativa delle Fiamme Gialle di Cagliari. L’Agusta A 109 decolla dalla base aerea di Elmas alle ore 18,44. Dopo circa 25 minuti, il velivolo, nel rispetto del piano di volo, compie una virata di avvistamento a 360 gradi contattando la centrale operativa e riferendo di aver individuato una nave sospetta, possibile obiettivo. Le condizioni meteomarine sono buone; il supporto via mare è fornito dalla motovedetta “Colombina”. Dopo Serpentara la “G. 63” stranamente cambia rotta per puntare su Capo Ferrato. Gli uomini della motovedetta inizialmente dichiarano di aver perso l’elicottero su Serpentara, salvo poi confermare quel che i tracciati testimoniano inequivocabilmente. Quando sparisce dal radar l’elicottero è proprio sulla motovedetta, così basso che ne leggono le insegne, ma poi ognuno prosegue per conto suo. Fatto sta che l’elicottero scompare, non vengono mai recuperati i corpi dei piloti - Gianfranco Deriu (41 anni) e Fabrizio Sedda (28 anni) - né il relitto, a parte alcuni rottami sospetti. L’inchiesta della Procura della Repubblica di Cagliari - archiviata e riaperta a più riprese - affidata al magistrato Guido Pani, è ancora in corso, ma sembra impantanata in un vicolo cieco, nonostante le schiaccianti evidenze e i depistaggi dei servizi segreti nostrani (alla voce ex Sismi). Le indagini del G.I Mauro Mura e del P.M. Guido Pani, vertono sull’accusa di “disastro aviatorio” e di “omicidio colposo plurimo”. Le perizie effettuate dai carabinieri del Ris subiscono però diversi rallentamenti nel corso delle indagini, per accertare se sui rottami del velivolo ci fossero tracce di esplosivo. «La risposta del Ris non è mai arrivata», dichiara Carmelo Fenudi, l’avvocato delle parti civili Deriu e Sedda. «L’accertamento se ci fosse stata traccia di esplosivo o di altro materiale che potesse far pensare all’abbattimento dell’elicottero sarebbe stata importante per trasformare l’accusa da omicidio colposo plurimo a duplice omicidio volontario, che prevede l’ergastolo e l’imprescrittibilità del reato - puntualizza il legale - Da parte del Ris sono arrivate solo due richieste di proroghe di 30 giorni: la prima avvenuta il 19 maggio 2005 e la seconda il 18 agosto dello stesso anno. Appare pertanto non giustificata una richiesta di archiviazione fondata sul fatto che, ancora oggi, la consulenza tecnica non sia stata ancora espletata e depositata».


DOCUMENTI GIUDIZIARI

Insabbiamento e oblìo - Dopo appena 18 anni la magistratura è venuta a capo di un bel niente. Sul fronte governativo, a tutt’oggi, due interrogazioni parlamentari ben documentate, non hanno ricevuto alcuna risposta: dalla quattordicesima legislatura alla quindicesima nessuna spiegazione della scomparsa di due integerrimi servitori dello Stato tricolore, a caccia di trafficanti bellici. Infine nella sedicesima è scattato l’oblio totale. La prima richiesta di urgenti chiarimenti (atto parlamentare numero 4-08574) è stata indirizzata il 20 gennaio 2004 da Giovanni Russo Spena (Rifondazione Comunista), ai ministri della Difesa e della Giustizia. «Il maresciallo Gianfranco Deriu e il brigadiere Fabrizio Sedda, morirono precipitando in mare, per cause mai rivelate, a bordo dell’elicottero Agusta A 109 “Volpe 132”. L’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Cagliari non è mai stata chiusa. Formalmente, quindi, è ancora in corso, ma in realtà nulla si muove - scrive Russo Spena - Nel 2001 i familiari dei piloti, tramite l’avvocato Carmelino Fenudi, chiesero al pm guido Pani una perizia sui frammenti del velivolo ritrovati in mare. Esami necessari per capire se quel metallo era stato devastato da un’esplosione interna, dallo scoppio di un missile che poteva aver centrato “Volpe 132” oppure dall’impatto con la superficie dell’acqua in seguito ad un guasto tecnico». L’avvocato Fenudi ormai non ha più dubbi: «La perizia è indispensabile per avvicinarsi alla verità, per capire se su quei pezzi ci sono tracce di esplosivo, ma anche un atto che, a quanto ci risulta, non è mai stato effettuato». In mezzo un assordante silenzio istituzionale, un muro di gomma impenetrabile di chi, ai vertici dello Stato sa, ma tace; un’omertà totale da parte di chi detiene il potere nella Repubblica italiana. Un chiaro caso di giustizia negata, come sostengono le famiglie Deriu e Sedda. Anche il senatore Mauro Bulgarelli (Verdi) si è occupato del caso. Infatti il 17 maggio 2004 ha presentato invano (l’iter è tuttora in corso) - al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri della Difesa e dell’Interno - un’interrogazione a risposta scritta (numero 4-10046). L’atto parla chiaro, ma ha procurato non pochi imbarazzi addirittura a due governi di orientamenti politici opposti; tant’è che a distanza di alcuni lustri, nessuna autorità - tantomeno il Comando generale della Guardia di Finanza - si è preso la briga di fornire delucidazioni. Aveva annotato Bulgarelli: «Un testimone ha rivelato che nella rada di Feraxi, la sera del 2 marzo c’era una nave, la Lucina che avrebbe preso rapidamente il largo dopo l’incidente. Si tratterebbe quindi del mercantile che, 5 mesi dopo si trasformò nel teatro di un’orrenda mattanza e un processo troppo sbrigativo e superficiale ha attribuito le responsabilità agli integralisti islamici del Gia. Un ex gladiatore del Sid, Nino Arconte di Cabras, ha rivelato che su quella nave si sarebbe dovuto imbarcare un ex agente segreto, un certo Tano Giacomina di Oristano che solo un contrattempo lo salvò. Morirà poi misteriosamente a Capo Verde nel 1998». Bulgarelli al presidente Berlusconi e ai ministri della Difesa Martino e dell’Interno Pisanu aveva domandato «se il Governo disponga di informazioni circa un’eventuale perizia tesa a verificare se i nastri della comunicazione radio tra Deriu e Sedda ed Elmas che si interrompono siano stati manipolati; ed inoltre di quali informazioni il Governo disponga relativamente alla reale natura (equipaggio, carico, ruolo) della nave che ha rapidamente preso il largo dopo la tragedia». Le indagini sull’elicottero scomparso si orientano sull’incidente, ma una mezza dozzina di testimoni si fanno avanti; e le loro dichiarazioni coincidono tutte. Un agricoltore, Giovanni Utzeri, sostiene di aver sentito volteggiare un elicottero intorno alle 19 sulla baia di Feraxi, poi un forte boato, mentre Luigi Marini, che sta pescando in quell’area e Antonio Cuccu che attraversa la costa, vedono l’elicottero rovesciarsi ed avvertono una forte esplosione. Il tutto lontano da Serpentara, a Capo Ferrato: nella zona dove navigava la “Colombina”. In seguito l’Istituto idrogeologico di Genova individua il probabile punto di impatto nei pressi del luogo indicato dai testimoni, dei quali peraltro non conosce le dichiarazioni. Nel febbraio 1996 l’inchiesta viene archiviata: senza il relitto tutto è più difficile. Ma i coriacei familiari dei due piloti non si arrendono, insistono e si continua, per modo di dire, a indagare. Nel novembre 1999 i sommozzatori della Marina cercano ma non trovano niente. Il 17 giugno 2002 il pm chiede per la seconda volta l’archiviazione; nel febbraio dello stesso anno la Procura militare aveva gettato la spugna. Scrive Bulgarelli nell’atto parlamentare inevaso: «Stupisce che dopo tanti anni non sia ancora stato recuperato alcun tracciato radar dell’elicottero ed è incredibile che i radar della base militare di Capo San Lorenzo fossero tutti in disattivati. Oltretutto non è stato accertato in via definitiva se quella sera fossero in corso esercitazioni militari con lancio di missili. Alcuni testimoni hanno visto “Volpe 132” sorvolare una nave porta-container ferma per tre giorni in rada a Feraxi. Di quali informazioni il Governo dispone relativamente alla reale natura (equipaggio, carico, ruolo) della nave che rapidamente prese il largo dopo la tragedia?». Un fatto sembra certo. La “Colombina” G. 63 (la motovedetta) gettò l’ancora al largo dell’isola di Serpentara, a sud di Capo Ferrato. Questi erano gli ordini del tenente colonnello Antonio Bolacchi e del tenente Tonino Cossa. I due elicotteristi, invece, proseguirono. Per quale ragione? Cosa cercavano? Allo stato attuale dell’inchiesta non è possibile escludere che siano stati abbattuti da un missile. «Da tempo abbiamo chiesto ai magistrati - rivela il legale Carmelino Fenudi - una perizia per capire se il metallo sia stato devastato da un’esplosione interna o da un missile. A tutt’oggi non è stata ancora fatta un’analisi di laboratorio dei rottami ripescati. Il pm ha disposto una consulenza a Torino, ma i risultati ancora non si sono visti». Peppino Sedda, fratello di uno dei due elicotteristi, racconta e ci mostra  una lettera anonima in cui si sostiene che «“Volpe 132” sarebbe stato abbattuto perché i due militari si rifiutarono di interrompere la caccia a una nave che trasportava armi». Altre anomalie: il 26 marzo ‘94 da un hangar della Wind Air (una società di copertura dei servizi segreti) di Oristano viene rubato un elicottero identico a quello precipitato. Poche settimane dopo, viene ritrovato in un deposito a Quartu Sant’Elena parzialmente smontato. Ai familiari dei finanzieri è venuto il sospetto che i pezzi mancanti potessero stati gettati in mare per depistare le indagini, per sostituire i rottami veri. In un’interrogazione parlamentare più recente, a risposta in commissione (numero 5-05297 dell’8 settembre 2011), presentata da Caterina Pes è scritto che «Si è anche supposto che si volesse utilizzare parte della strumentazione dell’elicottero di Oristano per intossicare le indagini su Volpe 132, facendo spostare le ricerche lontano da Capo Ferrato dove tre testimoni hanno visto esplodere in cielo l’elicottero della Finanza; dell’elicottero A-109 sparito dal capannone di Oristano, era gestito dalla società Wind Air srl, la cui identità è sempre stata ambigua così come ambigua è sempre stata l'identità del rappresentante legale Costantino Polo che, stando ai documenti camerali ufficiali ha tre date e tre luoghi di nascita diversi, nonché residenze molto dubbie - l’onorevole sarda ipotizza che - la Wind Air srl sia una società di copertura dei servizi segreti; la novità emerge dall'analisi di alcuni documenti dell’Agenzia del demanio, dai quali risulterebbe che tra gli immobili del patrimonio indisponibile dello Stato vi sia un'unità in via della tribuna di Campitelli al numero 23 il cui codice della scheda e il codice cespite corrisponde con lo stabile dove aveva sede legale la società Wind Air srl; a fianco a questo immobile vi è un altro immobile del quale vengono indicati il valore catastale e l'amministrazione che lo gestisce (il Ministero dell’interno), dati che non vengono invece indicati per l'unità di via della tribuna di Campitelli al numero 23, per il quale si specifica solo l'uso governativo; ad avvolgere ulteriormente nel mistero la società Wind Air srl vi è lo spostamento della sede a Nuoro, in un indirizzo inesistente». A suo tempo erano già stati richiesti accertamenti giudiziari, ma senza esito. Il primo  ministro Monti Mario, delegato a rispondere, non ha ancora fornito uno straccio di spiegazione.
Prove di guerra - Negli atti a seguito della richiesta di archiviazione (17 giugno 2002) è contenuta una relazione datata 16 marzo 2000, redatta dalla sezione della Polizia giudiziaria: a pagina 8 si afferma che «il giorno della scomparsa dell’elicottero erano in corso esercitazioni militari con lancio di missili». Effettivamente dalla lettura delle ordinanze dell’Ufficio Circondariale marittimo di Arbatax (n. 01/’94 e n. 02/’94) relative ai mesi febbraio e marzo, era possibile evincere che il giorno 2 marzo 1994 era stata interdetta la navigazione dalle ore 8 alle ore 17,30, da Capo Monte Santo a capo Ferrato, in quanto dovevano essere effettuate «esercitazioni militari con lancio di missili e razzi». In questa relazione giudiziaria si dà atto che le zone interdette alla navigazione, chiamate in codice “Alfa e “Delta”,  racchiudono le coordinate riferite all’area marina in cui vennero rinvenuti i frammenti di Volpe 132. Inspiegabilmente, il pm Guido Pani non ne ha tenuto debito conto. Inoltre, nella richiesta di riapertura indagini (29 luglio 2003) sottoscritta dall’avvocato Fenudi si fa riferimento ad una misteriosa nave notata dai testimoni oculari Giovanni e Paolo Utzeri, Antonio e Giampiero Cuccu, Enrico Boi, Luigi Marini. Un altro testimone della caduta dell’elicottero Volpe 132, il pastore Giuseppe Zuncheddu, ha dichiarato agli inquirenti di avere ricevuto a Burcei, la visita di un colonnello dei carabinieri che, a bordo di un elicottero, è atterrato in prossimità del suo ovile e lo ha interrogato personalmente su cosa avesse visto quel 2 marzo 1994. Zuncheddu era un testimone ancora sconosciuto alla Procura ed è apparso strano che, senza avvertire la magistratura, un ufficiale dell’Arma sia andato a casa di un pastore quando avrebbe potuto convocarlo in caserma. Per ordine di chi? La testimonianza del pastore  indica la rotta dell’elicottero. Secondo quanto visto da Zuncheddu, infatti, il velivolo Volpe 132 ha sorvolato ad una certa quota il massiccio dei Sette Fratelli e il canalone di Campuomu. Quindi l’elicottero non si trovava in una zona d’ombra invisibile ai radar: infatti,  a sud della costa non si ergono montagne.

Rapporti riservati - Ecco cosa attesta il Comando delle Fiamme Gialle. «Il giorno 2 marzo c.m., da programmazione effettuata il giorno 23 febbraio 1994, di concerto con il Comandante del II Gruppo di Cagliari, Ten. Col., Antonio Bolacchi, disponevo una missione di ricognizione costiera notturna, con inizio alle ore 18,30 circa» - si legge nella relazione del comandante della sezione aerea Guardia di Finanza, il tenente pilota Tonino Cossa. Datata 18 marzo 1994 - La missione prevedeva un circuito chiuso lungo costa, Elmas, Capo Carbonara, Capo Spartivento e rientro ad Elmas, finalizzato al contrasto di traffici illeciti in generale. L’elicottero decollava alle ore 18,44 ed effettuava l’ultimo collegamento radio alle ore 19,15 con il G. 63 “Colombina”. Essendo risultati vani alcuni tentativi di collegamento della Sala Operativa del II Gruppo di Cagliari e degli Enti Ats, scattavano i soccorsi. A tutt’oggi non sono stati ritrovati i corpi dei piloti e nemmeno il relitto. Per quanto attiene alle cause, non sono in grado di formulare ipotesi».  Il 6 marzo, vale a dire, 12 giorni prima, il maggiore Albanese Antonio, comandante l’equipaggio di volo dell’HH-3F del 15° Stormo-85° Gruppo di Ciampino, indicando le coordinate di rinvenimento «consegna al sottotenente Miranda Giuseppe e al Maresciallo Frusciante Antonio della locale Sezione Aerea della Guardia di Finanza, nr 1 pezzo metallico con struttura a nido d’ape verniciata esteriormente (nero/giallo/verde) con scritte distinguibili in A: DRENAG, B: SFIAT, C: DRE. Nr 1 pezzo metallico non definibile di colore grigio con struttura a nido d’ape recante nella parte interna la dicitura ROLL * 1 più tre lettere parzialmente leggibili - Ed infine - Nr 2 pezzi metallici non definibili con struttura a nido d’ape». Il 3 marzo ’94 il Comando della II regione Aerea nomina una commissione d’inchiesta tecnico-formale presieduta dal tenente colonnello Moraccini Enrico in forza al poligono Interforze di Perdasdefogu (coadiuvato dal tenente colonnello pilota Angeloni M. Marco, dal capitano Ventura Paolo, dal capitano Pischedda Virgilio, dal capitano Meloni Paolo e dal maggiore Cerri Gian Nicola). Le conclusioni attestano che «i due piloti erano in ottime condizioni psicofisiche e che l’elicottero non presentava deficienze di sorta o carenze di tipo manutentivo - e che infine - Non è possibile formulare ipotesi di sorta né ricostruire la successione degli eventi. Non è stato possibile individuare fattori causali». Il 16 maggio 1994 il caso viene archiviato dalla commissione militare. La conclusione in sostanza è: non esistono riscontri obiettivi per ipotizzare cosa sia accaduto, ma si presume si sia verificato un incidente. Il 9 giugno ’94 il sostituto procuratore Pani chiede allo Stato Maggiore dell’Aeronautica militare, una copia di questo documento. 13 giorni dopo riceve una nota firmata dal generale Luciano Battisti, con la quale viene informato che «il documento è classificato riservato e perciò non può essere trasmesso». Il magistrato riceve anche una lettera dell’ufficio centrale della Presidenza del Consiglio, nella quale si ribadisce che «la relazione è coperta dal segreto di Stato». La procedura seguita è irrituale perché calpesta la legge 801 del 1977.  Il primo ministro risponde al nome di Carlo Azeglio Ciampi, a capo di un governo composto da Dc, Psi, Psdi, Pli, Sin. Ind. Il magistrato cagliaritano, così, ricorre all’articolo 256 del codice di procedura penale e finalmente ottiene la Relazione. Per l’avvocato Fenudi «Preoccupa altresì il lavoro svolto dalla commissione d’inchiesta che appare a dir poco superficiale. Non ha mai interrogato i componenti del guardacoste, escludendo a priori ogni tipo di responsabilità, si limita ad osservare che solo il rinvenimento del velivolo può offrire elementi certi sulla dinamica del fatto, senza peraltro fornire alcun elemento, neanche indicativo, sul probabile luogo ove verosimilmente già scomparso. Peraltro la descrizione è palesemente contraddittoria come emerge dalle considerazioni svolte dal Costa - Inoltre - Le ricerche sono state approssimative e condotte con mezzi inadeguati allo scopo». La versione ufficiale non convince i parenti di Deriu e Sedda. In poco tempo hanno infatti verificato incongruenze, dubbi, scovato testimoni ignorati e perfino incomprensibili buchi neri. Affidano così a un esperto di fiducia uno studio tecnico sul caso. E la relazione dell’esperto, che tra l’altro aveva partecipato ai lavori di recupero del Dc 9 abbattuto a largo di Ustica il 27 giugno 1980, diventa il supporto di un’offensiva giudiziaria che induce la Procura di Cagliari a riaprire l’indagine.

Silenzio generale - Potrebbe essere utile chiarire il dato relativo alla presenza o meno nell’area di mare prospiciente Capo Ferrato della imbarcazione porta container che diversi testimoni affermano di aver visto senza ombra di dubbio nei giorni antecedenti ed il giorno o stesso della scomparsa dell’elicottero. Come mai l’imbarcazione non sia stata vista dal tenente colonnello Moraccini e dal maresciallo Congiu Dario, i quali avrebbero sorvolato la zona i giorni precedenti ed il Maresciallo Congiu anche la mattina del due marzo. Quest’ultimo, a quanto risulta dal suo interrogatorio oltre che dai documenti acquisiti del piano di volo, avrebbe svolto la perlustrazione della mattina insieme al colonnello Bolacchi. Come mai la Guardia di Finanza che avrebbe dovuto avere un contatto più diretto con l’elicottero scomparso ed una immediata percezione della stranezza del comportamento dovuta al prolungato silenzio radio e che, fra l’altro, a disposizione altri velivoli presso la sezione in grado di decollare, perché aveva deciso di non attivare subito le ricerche facendo decollare altro elicottero? Come mai a questa domanda, rivolta a suo tempo dal Sedda Peppino, fratello di Fabrizio, al colonnello Bolacchi, gli è stato risposto che non voleva perdere altro elicottero? A pagina 165 e 166 delle trascrizioni (delle comunicazioni radio, ndr) si fa riferimento a due elicotteri dell’esercito che sarebbero stati in volo al momento della tragedia. Di questi due elicotteri non si sa nulla né il servizio svolto, né se abbiano effettuato ricerche, né le loro comunicazioni con gli Enti di riferimento.

Navi fantasma - Rituali domande atte ad esplorare mondi sommersi, dimensioni parallele, microcosmi sotterranei. «Era la Lucina che faceva rotta verso Cagliari o una delle sue gemelle? Esistono scafi identici alla Lucina come la Pepito. Quanti sono, chi li costruisce, chi li possiede? Soprattutto, cosa ci faceva quel mercantile nel punto in cui l’elicottero della Finanza esplose disintegrandosi»? Il quesito, compiutamente inevaso, era stato posto ai colleghi cagliaritani dal Procuratore della Repubblica di Trapani, Gianfranco Garofalo ed al contempo dal sostituto Massimo Palmeri: «si chiede se nell’ambito dell’inchiesta avente ad oggetto la scomparsa dell’elicottero del G.df denominato “Volpe 132”, siano stati acquisiti atti ufficiali da cui risulti con assoluta certezza la presenza della motonave “Lucina” (o di imbarcazioni simili a questa) nella baia di Feraxi all’epoca del succitato incidente di volo (e se sia stata espletata consulenza tecnica per accertare le cause e la dinamica del ripetuto sinistro». E ancora: «In caso di risposta affermativa, vorrà cortesemente la S.V. trasmettere a questa procura della repubblica copia della relativa documentazione, nonché e comunque, dei seguenti ulteriori atti del proc. Pen. 367/44, non allegati alla vs. citata nota del 26/1999 e ritenuti dagli scriventi utili ai fini delle indagini in corso al fatto delittuoso di cui in oggetto: 1) verbali delle dichiarazioni rese da Utzeri Giovanni prima di quelle in data 22/1/1998; 2) verbale (i) delle dichiarazioni rese da Cuccu Antonio; 3) missive anonime; 4) ritrazioni fotografiche della M/n “Lucina” da cui sia possibile rilevare il numerosi alberi di tale imbarcazione e se questa recava la scritta del nome su entrambe le fiancate, oppure una sola. Laddove viceversa, da parte di codesto Ufficio non siano stati espletati gli atti d’indagine indicati nella prima parte della presente nota, si chiede, ai sensi che la S.V. proceda ad acquisire e a trasmettere, anche in copia, a questa A.G. - se esistente - la documentazione attestante la presenza della M/n “Lucina” (o di natanti similari) nella baia di Feraxi nello stesso periodo in cui avvenne la scomparsa in volo dell’elicottero “Volpe 132”». Avevano scoperto qualcosa che non dovevano vedere i marinai sgozzati della Lucina, il mercantile - di proprietà della compagnia di navigazione “Sagittario sas” di Monte Procida - noleggiato dalla Sem (Società esercizi mulini) di Cagliari? La nave trasportava ufficialmente un carico di 2.600 tonnellate di semola destinata all’Enial, l’ente dello Stato algerino che gestisce il monopolio dell’importazione di cereali. Dopo la strage gli inquirenti accertarono la presenza sulla nave di sole 2.000 tonnellate di merce. Ne mancavano 600 tonnellate. Cosa si riferiva questo ammanco. Forse ad un carico più o meno clandestino di armamenti? Perché la Lucina ha attraccato in un porto non attrezzato come Jenjen e perché vi è rimasta per più di un mese? Perché né il comandante né l’armatore hanno avvertito l’ambasciata italiana ad Algeri o il viceconsolato lì vicino? C’entra qualcosa Alexander Zhukov, arrestato nel 2001 dalla Direzione investigativa antimafia, con l’accusa di “traffico internazionale di armi”? L’imprenditore russo era il presidente della Sintez United Kingdom di Kiev che utilizzava i conti bancari della Global Tecnologies International, sodale del clan mafioso Solznetsvkaia. Un fatto è certo: secondo l’inchiesta del pm di Torino, Paolo Tamponi, dalle casse della GTI i profitti stellari del traffico di armi sarebbero confluiti in quelle della Trade Concept Limited, una finanziaria con sede a Jersey nelle Channel Island. Zhukov dalla sua villa in Costa Smeralda dirigeva indisturbato i suoi affari bellici. Allora, c’è un legame con la nave “Jadran Express” sequestrata nel marzo ’94 nel canale d’Otranto e poi misteriosamente dimenticata a Taranto con 133 containers imbottiti di armi fino al ‘99 quando il carico bellico venne trasferito in Sardegna, nei bunker dell’isola di Santo Stefano, dove stazionavano i sommergibili classe “Los Angeles” a propulsione ed armamento nucleare Usa? Quel carico di armi, l’anno scorso è stato ceduto dal governo Berlusconi ai “ribelli libici” per destituire Gheddafi. Ergo: si sbatte il muso dentro una storia che la Procura di Cagliari non ha saputo finora leggere  fino in fondo.

Il mosaico - Una lunga serie di elementi porta a ipotizzare che la scomparsa di Volpe 132 e la conseguente morte di Deriu e di Sedda sia aggrovigliata molto più di un giallo. In sintesi finale. Due mesi e mezzo dopo l’«incidente», esattamente il 16 maggio 1994, la commissione tecnico-formale archivia il caso. E la conclusione è che non esistono riscontri obiettivi per ipotizzare cosa sia accaduto, ma si presume che si sia verificato un incidente. Nel ‘96 i familiari di Deriu e di Sedda scoprono uno dei testimoni della tragica sera. E’ Giovanni Utzeri, un giardiniere di Feraxi che parlò subito con i carabinieri e la finanza, raccontando di aver sentito, la sera del 2 marzo 1994, l’elicottero sorvolare la rada di Feraxi, proprio sopra una misteriosa nave mercantile, alla fonda da tre giorni. Poi, il terribile boato e la nave che si allontanava nella notte a luci spente. La sua testimonianza era stata compressa in un verbale di appena 18 striminzite righe e non era stata presa in considerazione dalla commissione tecnico-formale. Spuntano poi altri due testimoni: l’assessore comunale di San Vito, Antonio Cuccu ed il pensionato di Villacidro, Luigi Marini. I loro racconti confermano quanto condensato a verbale da Utzeri. Poi altri due testi. Uno  riferisce dell’esplosione, l’altro dice di aver letto il nome della nave misteriosa: è il mercantile Lucina, teatro di un’orrenda mattanza in Algeria, quattro mesi più tardi. C’è un antico detto: «Il mare, alla fine, restituisce tutto». E infatti sulla spiaggia di Feraxi e sugli scogli di Capo Ferrato sbarcano pezzi di metallo, vale a dire la prova inconfutabile della tragedia. Si intuisce una strategia, un oscuro disegno: far scorrere il tempo, lasciando che gli anni seppelliscano un ricordo e facciano dimenticare la ferita dolorosa di una giustizia negata. E’ come se una mano invisibile avesse cancellato quasi ogni traccia del velivolo. Non è azzardato parlare di sottrazione di prova. Nella zona di Capo Ferrato molti vedono e quindi sanno. Ma solo  una manciata di uomini ha avuto il coraggio di parlare. Per anni però vengono dimenticati, rimossi. Qualcuno di loro viene addirittura strumentalmente e velenosamente ridicolizzato. Guarda caso proprio quel Giovanni Utzeri che, nell’immediatezza dei fatti, fece spostare il campo delle ricerche, indicando proprio il tratto di mare dove sono stati trovati alcuni pezzi di Volpe 132. Poi un quarto uomo ha confermato le prime tre testimonianze e, successivamente, un quinto ha rivelato che la misteriosa nave alla fonda nella rada di Feraxi, la sera del 2 marzo, era la Lucina. Cioè il mercantile che, quattro mesi dopo, si trasformò nel teatro di una mattanza nel porto algerino di Djendjen: i sette uomini dell’equipaggio vennero tutti sgozzati e un processo-farsa ha attribuito le responsabilità agli integralisti islamici del Gia. La motonave Lucina era partita il 10 giugno ’94  - ufficialmente - con un carico di 1.950 tonnellate di semola cous-cous. Quell’anno era al suo quinto viaggio per l’Algeria. Dal 1982 veniva periodicamente utilizzata dalla Sem Molini Sardi, di proprietà di Massimo Cellino e della sorella Lucina. Al momento della partenza massimo e Lucina erano agli arresti domiciliari, accusati di peculato e truffa aggravata ai danni dell’Aima e della Cee. Racconta Patrizio Schmidlin, l’allora ambasciatore d’Italia ad Algeri: «Sono salito a brodo del Lucina, ma ho visto un solo corpo che presentava segni di corde alle gambe e alle mani. Chi ha compiuto la strage, conosceva bene la nave. Non c’erano segni di lotta ma le cabine sono state comunque ben perquisite, cercavano qualcosa». La morte di due uomini, servitori dello Stato, esige risposte esaurienti. Per ricordarsi di ricordare: un pò di domande imbarazzanti. 1) Quale era la vera missione di “Volpe 132”? 2) Perché la Commissione militare parla di «azione combinata» con la motovedetta Colombina, mentre i piani di navigazione agli atti smentiscono questa dichiarazione? 3) Le comunicazioni radio tra Volpe 132 ed Elmas si interrompono alle 19,16. Per oltre quaranta minuti c’è un silenzio impossibile: è muto “Volpe 132”, ma tace, incredibilmente, anche la base operativa. E’ stata fatta una perizia per verificare se quei nastri sono stati manipolati? 4) Perché i militari chiedono il segreto di Stato e perché la presidenza del Consiglio lo concede? 5) Perché vengono forzati gli armadietti di Deriu e di Sedda quando risultano ancora ufficialmente dispersi? 6) Perché la testimonianza del giardiniere Giovanni Utzeri viene depurata e poi non tenuta in considerazione dalla commissione d’inchiesta militare? 7) Come è possibile che l’elicottero sia svanito e un Atlantic Breguet prima e i caccia Lerici dopo non abbiano trovato nulla? 8) Chi ha ispirato il collaboratore di giustizia che ha turbato le indagini? 9) Cosa ci faceva la nave Lucina a Feraxi e perché ha preso frettolosamente il largo dopo la tragedia? 10) E’ credibile che i radar della base militare di Capo San Lorenzo fossero tutti in black-out? 11) Chi erano i sub che, alle prime luci dell’alba, uscirono dal mare a Feraxi? I familiari di Sedda e Deriu avevano indirizzato un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Romano Prodi. In passato, si erano già rivolti  senza esito all’allora presidente della Repubblica Scalfaro e ai presidenti dei due rami del Parlamento, Violante e Mancino; poi ai loro successori fino ai giorni nostri. Ancora una volta, il caso sbarca in Parlamento senza ottenere risposta. L’8 settembre 2011, l’onorevole Caterina Pes pone una serie di quesiti imbarazzanti ai ministri della difesa e dell’interno: «… in data 7 aprile 2011 la procura di Cagliari chiede per la terza volta l'archiviazione dell'inchiesta dal momento che le ipotesi di reato per le quale si procede sono prescritte; il pubblico ministero scrive che è impossibile ipotizzare reati più gravi perché la perizia disposta nel 2005 sui frammenti dell'elicottero non è stata fatta dai RIS … se non ritengano opportuno fare chiarezza sulla vicenda; come si concili il fatto che la vicenda sia coperta da segreto militare con versione ufficiale relativa all’incidente che afferma è che si è trattato di incidente».  Si intuisce una strategia, un oscuro disegno - argomenta da tempo il giornalista Piero Mannironi - far scorrere il tempo, lasciando che gli anni seppelliscano un ricordo e facciano dimenticare la ferita dolorosa di una giustizia negata». Il buco nero ha inghiottito e digerito un’altra strage nell’indifferenza generale.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - E’ un sottile filo rosso, continuamente oscurato.  Somalia chiama Sardegna: una voce, un segnale, una traccia, un eco, un bip. Mauro Bulgarelli, ex componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio dei due giornalisti, taglia corto: «A suo tempo avevamo chiesto alla Procura della Repubblica di Cagliari tutti gli atti sul caso di “Volpe 132”. L’istanza della nostra commissione è stata deliberata il 6 luglio 2004, ma soltanto dopo le mie reiterate insistenze il 18 ottobre, fu effettivamente inoltrata alla magistratura cagliaritana». Tuttavia, i fascicoli non sono stati approfonditamente vagliati e risultano coperti da segreto di Stato per 20 anni; alla stregua, tra l’altro, degli esami testimoniali (13 settembre 2005) di Gianni De Michelis, Giampaolo Pillitteri, Francesco Forte e Fabio Fabbri. Il Presidente Carlo Taormina mi aveva detto: «Il 6 luglio 2004 abbiamo deliberato la richiesta di acquisizione alla Procura della Repubblica di Cagliari di tutti gli atti ma senza nessuna precisione d’obiettivo, perché prima che si possa stabilire una strategia bisogna leggere quello che c’è scritto per comprendere il livello d’attinenza». Bulgarelli puntualizza: «Sono abbastanza perplesso: la documentazione non è mai stata esaminata». Un altro membro di quella Commissione, Elettra Deiana, conferma di «non aver mai avuto la possibilità di leggere tale documentazione».  

Fabrizio Sedda - Gianfranco Deriu

2 commenti:

  1. Ricordo quella vicenda. Sì, tano mi disse che doveva imbarcare sul Lucina, ma un contrattempo glielo impedì. L'equipaggio del Lucina fu sgozzato a Djen Djen in Algeria nel luglio '94. Lui ne restò colpito e preoccupato. In quel periodo stavamo subendo tutti degli attentati e non voleva credere che quello fosse stato dedicato a lui da chi non lo conosceva, ma sapeva che doveva essere a bordo. Purtroppo sopravisse solo poco meno di 4 anni a quella strage. Il 13 Maggio 1998, mentre lo attendevo ad Ajaccio per raggiungere gli Stati Uniti, dove volevamo chiedere Asilo, fu ucciso nell'arcipelago del Cabo Verde, in Atlantico, durante una sosta a Fogu. Dichiarato omicidio colposo non ci fu alcuna inchiesta sulla sua morte e nemmeno fu identificato chi si sarebbe reso colpevole di omicio, sia pure colposo. La successiva riapertura dell'inchiesta, invocata dal padre nel 2001, fu archiviata per intervento del Direttore del Sismi, gen. Pollari, che dichiarò al GIP che Nino Arconte "era solo un fantasioso millantatore". Non disse, però, che l'inchiesta che mi promossero contro a Roma, su richiesta del senatore Andreotti, per l'ipotesi di falso fu archiviata a Maggio 2004 per infondatezza e che Nino Arconte era stato identificato come Parte Offesa dal GIP che l'aveva archiviata. Il Ministro della Difesa dell'epoca, Antonio Martino, dichiarò il falso, sempre allo scopo di screditare Antonino Arconte e fu sbugiardato solo da un giornale Americano, nessuno dei media Italiani diede la notizia che il Ministro mentiva spudoratamente. Questo paese è ormai finito sotto il controllo di bande mafiose che fanno quel che gli pare!

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  2. Si tende a dimenticare o si omette volutamente. In effetti, anche la Cassazione ha stabilito che il senatore a vita Giulio Andreotti è un mafioso prescritto!

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