Agusta a 109. |
di
Gianni Lannes
La
verità è prigioniera di un silenzio assordante. Due marzo 1994: serata di
stelle lucenti e di vento che accarezza le nuvole sommerse. «Volpe 132 a Elmas, mi sentite? Passo».
«Avanti Volpe 132, vi sentiamo forte e chiaro. Qual è la vostra posizione?».
«Sorvoliamo Capo Carbonara, fra qualche istante saremo sull’obiettivo a Capo
Ferrato». «Volpe 132, quale obiettivo?». «Volpe 132, mi sentite? Passo. Volpe
132, mi sentite? Qual è la vostra posizione?». Alle ore 19.15 l’elicottero - in missione perlustrativa - mantiene
l’ultimo contatto radio; alle 19.18 scompare dagli schermi radar. Per oltre 40
minuti c’è un silenzio ingiustificato della base operativa delle Fiamme Gialle
di Cagliari. L’Agusta A 109 decolla dalla base aerea di Elmas alle ore 18,44.
Dopo circa 25 minuti, il velivolo, nel rispetto del piano di volo, compie una
virata di avvistamento a 360 gradi contattando la centrale operativa e riferendo
di aver individuato una nave sospetta, possibile obiettivo. Le condizioni
meteomarine sono buone; il supporto via mare è fornito dalla motovedetta “Colombina”. Dopo
Serpentara la “G. 63” stranamente
cambia rotta per puntare su Capo Ferrato.
Gli uomini della motovedetta inizialmente dichiarano di aver perso l’elicottero
su Serpentara, salvo poi confermare quel che i tracciati testimoniano
inequivocabilmente. Quando sparisce dal radar l’elicottero è proprio sulla
motovedetta, così basso che ne leggono le insegne, ma poi ognuno prosegue per
conto suo. Fatto sta che l’elicottero scompare, non vengono mai recuperati i
corpi dei piloti - Gianfranco Deriu (41
anni) e Fabrizio Sedda (28 anni) -
né il relitto, a parte alcuni rottami sospetti. L’inchiesta della Procura della Repubblica di Cagliari -
archiviata e riaperta a più riprese - affidata al magistrato Guido Pani, è ancora in corso, ma
sembra impantanata in un vicolo cieco, nonostante le schiaccianti evidenze e i
depistaggi dei servizi segreti nostrani (alla voce ex Sismi). Le indagini del G.I Mauro Mura e del P.M. Guido Pani,
vertono sull’accusa di “disastro aviatorio” e di “omicidio colposo plurimo”. Le
perizie effettuate dai carabinieri del Ris subiscono però diversi rallentamenti
nel corso delle indagini, per accertare se sui rottami del velivolo ci fossero
tracce di esplosivo. «La risposta del Ris non è mai arrivata», dichiara Carmelo
Fenudi, l’avvocato delle parti civili Deriu e Sedda. «L’accertamento se ci
fosse stata traccia di esplosivo o di altro materiale che potesse far pensare
all’abbattimento dell’elicottero sarebbe stata importante per trasformare
l’accusa da omicidio colposo plurimo a duplice omicidio volontario, che prevede
l’ergastolo e l’imprescrittibilità del reato - puntualizza il legale - Da parte
del Ris sono arrivate solo due richieste di proroghe di 30 giorni: la prima
avvenuta il 19 maggio 2005 e la seconda il 18 agosto dello stesso anno. Appare
pertanto non giustificata una richiesta di archiviazione fondata sul fatto che,
ancora oggi, la consulenza tecnica non sia stata ancora espletata e depositata».
DOCUMENTI
GIUDIZIARI
Insabbiamento e oblìo - Dopo appena 18 anni la magistratura è
venuta a capo di un bel niente. Sul fronte governativo, a tutt’oggi, due
interrogazioni parlamentari ben documentate, non hanno ricevuto alcuna
risposta: dalla quattordicesima legislatura alla quindicesima nessuna
spiegazione della scomparsa di due integerrimi servitori dello Stato tricolore,
a caccia di trafficanti bellici. Infine nella sedicesima è scattato l’oblio
totale. La prima richiesta di urgenti chiarimenti (atto parlamentare numero
4-08574) è stata indirizzata il 20 gennaio 2004 da Giovanni Russo Spena
(Rifondazione Comunista), ai ministri della Difesa e della Giustizia. «Il
maresciallo Gianfranco Deriu e il
brigadiere Fabrizio Sedda, morirono
precipitando in mare, per cause mai rivelate, a bordo dell’elicottero Agusta A
109 “Volpe 132”. L’inchiesta avviata dalla Procura della Repubblica di Cagliari
non è mai stata chiusa. Formalmente, quindi, è ancora in corso, ma in realtà
nulla si muove - scrive Russo Spena - Nel 2001 i familiari dei piloti, tramite
l’avvocato Carmelino Fenudi, chiesero al pm guido Pani una perizia sui
frammenti del velivolo ritrovati in mare. Esami necessari per capire se quel
metallo era stato devastato da un’esplosione interna, dallo scoppio di un
missile che poteva aver centrato “Volpe 132” oppure dall’impatto con la
superficie dell’acqua in seguito ad un guasto tecnico». L’avvocato Fenudi ormai
non ha più dubbi: «La perizia è indispensabile per avvicinarsi alla verità, per
capire se su quei pezzi ci sono tracce di esplosivo, ma anche un atto che, a
quanto ci risulta, non è mai stato effettuato». In mezzo un assordante silenzio
istituzionale, un muro di gomma impenetrabile di chi, ai vertici dello Stato
sa, ma tace; un’omertà totale da parte di chi detiene il potere nella
Repubblica italiana. Un chiaro caso di giustizia negata, come sostengono le
famiglie Deriu e Sedda. Anche il senatore Mauro Bulgarelli (Verdi) si è
occupato del caso. Infatti il 17 maggio 2004 ha presentato invano (l’iter è
tuttora in corso) - al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri della Difesa e dell’Interno -
un’interrogazione a risposta scritta (numero 4-10046). L’atto parla chiaro, ma
ha procurato non pochi imbarazzi addirittura a due governi di orientamenti
politici opposti; tant’è che a distanza di alcuni lustri, nessuna autorità -
tantomeno il Comando generale della Guardia di Finanza - si è preso la briga di
fornire delucidazioni. Aveva annotato Bulgarelli: «Un testimone ha rivelato che
nella rada di Feraxi, la sera del 2 marzo c’era una nave, la Lucina che avrebbe
preso rapidamente il largo dopo l’incidente. Si tratterebbe quindi del mercantile
che, 5 mesi dopo si trasformò nel teatro di un’orrenda mattanza e un processo
troppo sbrigativo e superficiale ha attribuito le responsabilità agli
integralisti islamici del Gia. Un ex gladiatore del Sid, Nino Arconte di Cabras, ha rivelato che su quella nave si sarebbe
dovuto imbarcare un ex agente segreto, un certo Tano Giacomina di Oristano che solo un contrattempo lo salvò.
Morirà poi misteriosamente a Capo Verde nel 1998». Bulgarelli al presidente
Berlusconi e ai ministri della Difesa Martino
e dell’Interno Pisanu aveva
domandato «se il Governo disponga di informazioni circa un’eventuale perizia
tesa a verificare se i nastri della comunicazione radio tra Deriu e Sedda ed
Elmas che si interrompono siano stati manipolati; ed inoltre di quali informazioni
il Governo disponga relativamente alla reale natura (equipaggio, carico, ruolo)
della nave che ha rapidamente preso il largo dopo la tragedia». Le indagini
sull’elicottero scomparso si orientano sull’incidente, ma una mezza dozzina di
testimoni si fanno avanti; e le loro dichiarazioni coincidono tutte. Un
agricoltore, Giovanni Utzeri,
sostiene di aver sentito volteggiare un elicottero intorno alle 19 sulla baia
di Feraxi, poi un forte boato, mentre Luigi
Marini, che sta pescando in quell’area e Antonio Cuccu che attraversa la costa, vedono l’elicottero
rovesciarsi ed avvertono una forte esplosione. Il tutto lontano da Serpentara,
a Capo Ferrato: nella zona dove navigava la “Colombina”. In seguito l’Istituto idrogeologico di Genova
individua il probabile punto di impatto nei pressi del luogo indicato dai
testimoni, dei quali peraltro non conosce le dichiarazioni. Nel febbraio 1996
l’inchiesta viene archiviata: senza il relitto tutto è più difficile. Ma i
coriacei familiari dei due piloti non si arrendono, insistono e si continua,
per modo di dire, a indagare. Nel novembre 1999 i sommozzatori della Marina
cercano ma non trovano niente. Il 17 giugno 2002 il pm chiede per la seconda
volta l’archiviazione; nel febbraio dello stesso anno la Procura militare aveva
gettato la spugna. Scrive Bulgarelli nell’atto parlamentare inevaso: «Stupisce
che dopo tanti anni non sia ancora stato recuperato alcun tracciato radar
dell’elicottero ed è incredibile che i radar della base militare di Capo San
Lorenzo fossero tutti in disattivati. Oltretutto non è stato accertato in via
definitiva se quella sera fossero in corso esercitazioni militari con lancio di
missili. Alcuni testimoni hanno visto “Volpe 132” sorvolare una nave
porta-container ferma per tre giorni in rada a Feraxi. Di quali informazioni il
Governo dispone relativamente alla reale natura (equipaggio, carico, ruolo)
della nave che rapidamente prese il largo dopo la tragedia?». Un fatto sembra
certo. La “Colombina” G. 63 (la motovedetta) gettò l’ancora al largo dell’isola
di Serpentara, a sud di Capo Ferrato. Questi erano gli ordini del tenente
colonnello Antonio Bolacchi e del
tenente Tonino Cossa. I due
elicotteristi, invece, proseguirono. Per quale ragione? Cosa cercavano? Allo
stato attuale dell’inchiesta non è possibile escludere che siano stati
abbattuti da un missile. «Da tempo abbiamo chiesto ai magistrati - rivela il
legale Carmelino Fenudi - una perizia per capire se il metallo sia stato
devastato da un’esplosione interna o da un missile. A tutt’oggi non è stata
ancora fatta un’analisi di laboratorio dei rottami ripescati. Il pm ha disposto
una consulenza a Torino, ma i risultati ancora non si sono visti». Peppino
Sedda, fratello di uno dei due elicotteristi, racconta e ci mostra una lettera anonima in cui si sostiene che «“Volpe 132” sarebbe stato abbattuto perché
i due militari si rifiutarono di interrompere la caccia a una nave che
trasportava armi». Altre anomalie: il 26 marzo ‘94 da un hangar della Wind
Air (una società di copertura dei servizi segreti) di Oristano viene rubato un
elicottero identico a quello precipitato. Poche settimane dopo, viene ritrovato
in un deposito a Quartu Sant’Elena parzialmente smontato. Ai familiari dei
finanzieri è venuto il sospetto che i pezzi mancanti potessero stati gettati in
mare per depistare le indagini, per sostituire i rottami veri. In
un’interrogazione parlamentare più recente, a risposta in commissione (numero
5-05297 dell’8 settembre 2011), presentata da Caterina Pes è scritto che «Si è anche supposto che si volesse
utilizzare parte della strumentazione dell’elicottero di Oristano per
intossicare le indagini su Volpe 132, facendo spostare le ricerche lontano da
Capo Ferrato dove tre testimoni hanno visto esplodere in cielo l’elicottero
della Finanza; dell’elicottero A-109 sparito dal capannone di Oristano, era
gestito dalla società Wind Air srl,
la cui identità è sempre stata ambigua così come ambigua è sempre stata
l'identità del rappresentante legale Costantino
Polo che, stando ai documenti camerali ufficiali ha tre date e tre luoghi
di nascita diversi, nonché residenze molto dubbie - l’onorevole sarda ipotizza
che - la Wind Air srl sia una società di
copertura dei servizi segreti; la novità emerge dall'analisi di alcuni
documenti dell’Agenzia del demanio, dai quali risulterebbe che tra gli immobili
del patrimonio indisponibile dello Stato vi sia un'unità in via della tribuna
di Campitelli al numero 23 il cui codice della scheda e il codice cespite
corrisponde con lo stabile dove aveva sede legale la società Wind Air srl; a
fianco a questo immobile vi è un altro immobile del quale vengono indicati il
valore catastale e l'amministrazione che lo gestisce (il Ministero dell’interno), dati che non vengono invece indicati per
l'unità di via della tribuna di Campitelli al numero 23, per il quale si
specifica solo l'uso governativo; ad avvolgere ulteriormente nel mistero la
società Wind Air srl vi è lo spostamento della sede a Nuoro, in un indirizzo
inesistente». A suo tempo erano già stati richiesti accertamenti giudiziari, ma
senza esito. Il primo ministro Monti Mario, delegato a rispondere, non
ha ancora fornito uno straccio di spiegazione.
Prove di guerra - Negli atti a seguito della richiesta di
archiviazione (17 giugno 2002) è contenuta una relazione datata 16 marzo 2000,
redatta dalla sezione della Polizia giudiziaria: a pagina 8 si afferma che «il
giorno della scomparsa dell’elicottero erano in corso esercitazioni militari
con lancio di missili». Effettivamente dalla lettura delle ordinanze dell’Ufficio Circondariale marittimo di Arbatax (n. 01/’94 e
n. 02/’94) relative ai mesi febbraio e marzo, era possibile evincere che il giorno
2 marzo 1994 era stata interdetta la navigazione dalle ore 8 alle ore 17,30, da
Capo Monte Santo a capo Ferrato, in quanto dovevano essere effettuate «esercitazioni
militari con lancio di missili e razzi». In questa relazione giudiziaria si
dà atto che le zone interdette alla navigazione, chiamate in codice “Alfa e
“Delta”, racchiudono le coordinate
riferite all’area marina in cui vennero rinvenuti i frammenti di Volpe 132. Inspiegabilmente,
il pm Guido Pani non ne ha tenuto debito conto. Inoltre, nella richiesta di
riapertura indagini (29 luglio 2003) sottoscritta dall’avvocato Fenudi si fa
riferimento ad una misteriosa nave notata dai testimoni oculari Giovanni e
Paolo Utzeri, Antonio e Giampiero Cuccu, Enrico Boi, Luigi Marini. Un altro
testimone della caduta dell’elicottero Volpe 132, il pastore Giuseppe
Zuncheddu, ha dichiarato agli inquirenti di avere ricevuto a Burcei, la visita
di un colonnello dei carabinieri che, a bordo di un elicottero, è atterrato in
prossimità del suo ovile e lo ha interrogato personalmente su cosa avesse visto
quel 2 marzo 1994. Zuncheddu era un testimone ancora sconosciuto alla Procura
ed è apparso strano che, senza avvertire la magistratura, un ufficiale
dell’Arma sia andato a casa di un pastore quando avrebbe potuto convocarlo in
caserma. Per ordine di chi? La testimonianza del pastore indica la rotta dell’elicottero. Secondo
quanto visto da Zuncheddu, infatti, il velivolo Volpe 132 ha sorvolato ad una
certa quota il massiccio dei Sette Fratelli e il canalone di Campuomu. Quindi
l’elicottero non si trovava in una zona d’ombra invisibile ai radar: infatti, a sud della costa non si ergono montagne.
Rapporti riservati - Ecco cosa attesta il Comando delle Fiamme
Gialle. «Il giorno 2 marzo c.m., da programmazione effettuata il giorno 23
febbraio 1994, di concerto con il Comandante del II Gruppo di Cagliari, Ten.
Col., Antonio Bolacchi, disponevo una missione di ricognizione costiera
notturna, con inizio alle ore 18,30 circa» - si legge nella relazione del
comandante della sezione aerea Guardia di Finanza, il tenente pilota Tonino
Cossa. Datata 18 marzo 1994 - La missione prevedeva un circuito chiuso lungo
costa, Elmas, Capo Carbonara, Capo Spartivento e rientro ad Elmas, finalizzato
al contrasto di traffici illeciti in generale. L’elicottero decollava alle ore
18,44 ed effettuava l’ultimo collegamento radio alle ore 19,15 con il G. 63
“Colombina”. Essendo risultati vani alcuni tentativi di collegamento della Sala
Operativa del II Gruppo di Cagliari e degli Enti Ats, scattavano i soccorsi. A
tutt’oggi non sono stati ritrovati i corpi dei piloti e nemmeno il relitto. Per
quanto attiene alle cause, non sono in grado di formulare ipotesi». Il 6 marzo, vale a dire, 12 giorni prima, il
maggiore Albanese Antonio, comandante l’equipaggio di volo dell’HH-3F del 15°
Stormo-85° Gruppo di Ciampino, indicando le coordinate di rinvenimento
«consegna al sottotenente Miranda Giuseppe e al Maresciallo Frusciante Antonio
della locale Sezione Aerea della Guardia di Finanza, nr 1 pezzo metallico con
struttura a nido d’ape verniciata esteriormente (nero/giallo/verde) con scritte
distinguibili in A: DRENAG, B: SFIAT, C: DRE. Nr 1 pezzo metallico non
definibile di colore grigio con struttura a nido d’ape recante nella parte
interna la dicitura ROLL * 1 più tre lettere parzialmente leggibili - Ed infine
- Nr 2 pezzi metallici non definibili con struttura a nido d’ape». Il 3 marzo
’94 il Comando della II regione Aerea nomina una commissione d’inchiesta
tecnico-formale presieduta dal tenente colonnello Moraccini Enrico in forza al poligono Interforze di Perdasdefogu
(coadiuvato dal tenente colonnello pilota Angeloni
M. Marco, dal capitano Ventura Paolo,
dal capitano Pischedda Virgilio, dal
capitano Meloni Paolo e dal maggiore
Cerri Gian Nicola). Le conclusioni
attestano che «i due piloti erano in
ottime condizioni psicofisiche e che l’elicottero non presentava deficienze di
sorta o carenze di tipo manutentivo - e che infine - Non è possibile formulare
ipotesi di sorta né ricostruire la successione degli eventi. Non è stato
possibile individuare fattori causali». Il 16 maggio 1994 il caso viene
archiviato dalla commissione militare. La conclusione in sostanza è: non
esistono riscontri obiettivi per ipotizzare cosa sia accaduto, ma si presume si
sia verificato un incidente. Il 9 giugno ’94 il sostituto procuratore Pani
chiede allo Stato Maggiore dell’Aeronautica militare, una copia di questo
documento. 13 giorni dopo riceve una nota firmata dal generale Luciano Battisti, con la quale viene
informato che «il documento è
classificato riservato e perciò non può essere trasmesso». Il magistrato
riceve anche una lettera dell’ufficio centrale della Presidenza del Consiglio,
nella quale si ribadisce che «la
relazione è coperta dal segreto di Stato». La procedura seguita è irrituale
perché calpesta la legge 801 del 1977. Il primo ministro risponde al nome di Carlo
Azeglio Ciampi, a capo di un governo composto da Dc, Psi, Psdi, Pli, Sin. Ind. Il
magistrato cagliaritano, così, ricorre all’articolo 256 del codice di procedura
penale e finalmente ottiene la Relazione. Per l’avvocato Fenudi «Preoccupa
altresì il lavoro svolto dalla commissione d’inchiesta che appare a dir poco
superficiale. Non ha mai interrogato i componenti del guardacoste, escludendo a
priori ogni tipo di responsabilità, si limita ad osservare che solo il
rinvenimento del velivolo può offrire elementi certi sulla dinamica del fatto,
senza peraltro fornire alcun elemento, neanche indicativo, sul probabile luogo
ove verosimilmente già scomparso. Peraltro la descrizione è palesemente
contraddittoria come emerge dalle considerazioni svolte dal Costa - Inoltre -
Le ricerche sono state approssimative e condotte con mezzi inadeguati allo
scopo». La versione ufficiale non convince i parenti di Deriu e Sedda. In poco
tempo hanno infatti verificato incongruenze, dubbi, scovato testimoni ignorati
e perfino incomprensibili buchi neri. Affidano così a un esperto di fiducia uno
studio tecnico sul caso. E la relazione dell’esperto, che tra l’altro aveva
partecipato ai lavori di recupero del Dc 9 abbattuto a largo di Ustica il 27
giugno 1980, diventa il supporto di un’offensiva giudiziaria che induce la
Procura di Cagliari a riaprire l’indagine.
Silenzio generale - Potrebbe essere utile chiarire il dato
relativo alla presenza o meno nell’area di mare prospiciente Capo Ferrato della
imbarcazione porta container che diversi testimoni affermano di aver visto
senza ombra di dubbio nei giorni antecedenti ed il giorno o stesso della
scomparsa dell’elicottero. Come mai l’imbarcazione non sia stata vista dal
tenente colonnello Moraccini e dal maresciallo Congiu Dario, i quali avrebbero
sorvolato la zona i giorni precedenti ed il Maresciallo Congiu anche la mattina
del due marzo. Quest’ultimo, a quanto risulta dal suo interrogatorio oltre che
dai documenti acquisiti del piano di volo, avrebbe svolto la perlustrazione
della mattina insieme al colonnello Bolacchi. Come mai la Guardia di Finanza
che avrebbe dovuto avere un contatto più diretto con l’elicottero scomparso ed
una immediata percezione della stranezza del comportamento dovuta al prolungato
silenzio radio e che, fra l’altro, a disposizione altri velivoli presso la
sezione in grado di decollare, perché aveva deciso di non attivare subito le
ricerche facendo decollare altro elicottero? Come mai a questa domanda, rivolta
a suo tempo dal Sedda Peppino, fratello di Fabrizio, al colonnello Bolacchi,
gli è stato risposto che non voleva perdere altro elicottero? A pagina 165 e
166 delle trascrizioni (delle comunicazioni radio, ndr) si fa riferimento a due
elicotteri dell’esercito che sarebbero stati in volo al momento della tragedia.
Di questi due elicotteri non si sa nulla né il servizio svolto, né se abbiano
effettuato ricerche, né le loro comunicazioni con gli Enti di riferimento.
Navi fantasma - Rituali domande atte ad esplorare mondi
sommersi, dimensioni parallele, microcosmi sotterranei. «Era la Lucina che faceva
rotta verso Cagliari o una delle sue gemelle? Esistono scafi identici alla
Lucina come la Pepito. Quanti sono, chi li costruisce, chi li possiede?
Soprattutto, cosa ci faceva quel mercantile nel punto in cui l’elicottero della
Finanza esplose disintegrandosi»? Il quesito, compiutamente inevaso, era stato
posto ai colleghi cagliaritani dal Procuratore della Repubblica di Trapani, Gianfranco Garofalo ed al contempo dal
sostituto Massimo Palmeri: «si chiede se nell’ambito dell’inchiesta
avente ad oggetto la scomparsa dell’elicottero del G.df denominato “Volpe 132”,
siano stati acquisiti atti ufficiali da cui risulti con assoluta certezza la
presenza della motonave “Lucina” (o di imbarcazioni simili a questa) nella baia
di Feraxi all’epoca del succitato incidente di volo (e se sia stata espletata
consulenza tecnica per accertare le cause e la dinamica del ripetuto sinistro».
E ancora: «In caso di risposta
affermativa, vorrà cortesemente la S.V. trasmettere a questa procura della
repubblica copia della relativa documentazione, nonché e comunque, dei seguenti
ulteriori atti del proc. Pen. 367/44, non allegati alla vs. citata nota del
26/1999 e ritenuti dagli scriventi utili ai fini delle indagini in corso al
fatto delittuoso di cui in oggetto: 1) verbali delle dichiarazioni rese da
Utzeri Giovanni prima di quelle in data 22/1/1998; 2) verbale (i) delle
dichiarazioni rese da Cuccu Antonio; 3) missive anonime; 4) ritrazioni
fotografiche della M/n “Lucina” da cui sia possibile rilevare il numerosi
alberi di tale imbarcazione e se questa recava la scritta del nome su entrambe
le fiancate, oppure una sola. Laddove viceversa, da parte di codesto Ufficio
non siano stati espletati gli atti d’indagine indicati nella prima parte della
presente nota, si chiede, ai sensi che la S.V. proceda ad acquisire e a
trasmettere, anche in copia, a questa A.G. - se esistente - la documentazione
attestante la presenza della M/n “Lucina” (o di natanti similari) nella baia di
Feraxi nello stesso periodo in cui avvenne la scomparsa in volo dell’elicottero
“Volpe 132”». Avevano scoperto qualcosa che non dovevano vedere i marinai
sgozzati della Lucina, il mercantile - di proprietà della compagnia di
navigazione “Sagittario sas” di Monte Procida - noleggiato dalla Sem (Società
esercizi mulini) di Cagliari? La nave trasportava ufficialmente un carico di
2.600 tonnellate di semola destinata all’Enial, l’ente dello Stato algerino che
gestisce il monopolio dell’importazione di cereali. Dopo la strage gli
inquirenti accertarono la presenza sulla nave di sole 2.000 tonnellate di
merce. Ne mancavano 600 tonnellate. Cosa si riferiva questo ammanco. Forse ad
un carico più o meno clandestino di armamenti? Perché la Lucina ha attraccato
in un porto non attrezzato come Jenjen e perché vi è rimasta per più di un
mese? Perché né il comandante né l’armatore hanno avvertito l’ambasciata
italiana ad Algeri o il viceconsolato lì vicino? C’entra qualcosa Alexander Zhukov, arrestato nel 2001
dalla Direzione investigativa antimafia, con l’accusa di “traffico internazionale
di armi”? L’imprenditore russo era il presidente della Sintez United Kingdom di Kiev che utilizzava i conti bancari della Global Tecnologies International,
sodale del clan mafioso Solznetsvkaia.
Un fatto è certo: secondo l’inchiesta del pm di Torino, Paolo Tamponi, dalle casse della GTI i profitti stellari del
traffico di armi sarebbero confluiti in quelle della Trade Concept Limited, una
finanziaria con sede a Jersey nelle Channel Island. Zhukov dalla sua villa in
Costa Smeralda dirigeva indisturbato i suoi affari bellici. Allora, c’è un
legame con la nave “Jadran Express”
sequestrata nel marzo ’94 nel canale d’Otranto e poi misteriosamente
dimenticata a Taranto con 133 containers imbottiti di armi fino al ‘99 quando
il carico bellico venne trasferito in Sardegna, nei bunker dell’isola di Santo
Stefano, dove stazionavano i sommergibili classe “Los Angeles” a propulsione ed
armamento nucleare Usa? Quel carico di armi, l’anno scorso è stato ceduto dal
governo Berlusconi ai “ribelli libici” per destituire Gheddafi. Ergo: si sbatte il muso dentro una storia che la Procura
di Cagliari non ha saputo finora leggere
fino in fondo.
Il mosaico - Una lunga serie di elementi porta a
ipotizzare che la scomparsa di Volpe 132 e la conseguente morte di Deriu e di Sedda
sia aggrovigliata molto più di un giallo. In sintesi finale. Due mesi e mezzo
dopo l’«incidente», esattamente il 16 maggio 1994, la commissione
tecnico-formale archivia il caso. E la conclusione è che non esistono riscontri
obiettivi per ipotizzare cosa sia accaduto, ma si presume che si sia verificato
un incidente. Nel ‘96 i familiari di Deriu e di Sedda scoprono uno dei
testimoni della tragica sera. E’ Giovanni Utzeri, un giardiniere di Feraxi che
parlò subito con i carabinieri e la finanza, raccontando di aver sentito, la
sera del 2 marzo 1994, l’elicottero sorvolare la rada di Feraxi, proprio sopra
una misteriosa nave mercantile, alla fonda da tre giorni. Poi, il terribile
boato e la nave che si allontanava nella notte a luci spente. La sua testimonianza
era stata compressa in un verbale di appena 18 striminzite righe e non era
stata presa in considerazione dalla commissione tecnico-formale. Spuntano poi
altri due testimoni: l’assessore comunale di San Vito, Antonio Cuccu ed il
pensionato di Villacidro, Luigi Marini. I loro racconti confermano quanto
condensato a verbale da Utzeri. Poi altri due testi. Uno riferisce dell’esplosione, l’altro dice di
aver letto il nome della nave misteriosa: è il mercantile Lucina, teatro di
un’orrenda mattanza in Algeria, quattro mesi più tardi. C’è un antico detto:
«Il mare, alla fine, restituisce tutto». E infatti sulla spiaggia di Feraxi e
sugli scogli di Capo Ferrato sbarcano pezzi di metallo, vale a dire la prova
inconfutabile della tragedia. Si intuisce una strategia, un oscuro disegno: far
scorrere il tempo, lasciando che gli anni seppelliscano un ricordo e facciano
dimenticare la ferita dolorosa di una giustizia negata. E’ come se una mano
invisibile avesse cancellato quasi ogni traccia del velivolo. Non è azzardato
parlare di sottrazione di prova. Nella zona di Capo Ferrato molti vedono e
quindi sanno. Ma solo una manciata di
uomini ha avuto il coraggio di parlare. Per anni però vengono dimenticati,
rimossi. Qualcuno di loro viene addirittura strumentalmente e velenosamente
ridicolizzato. Guarda caso proprio quel Giovanni Utzeri che, nell’immediatezza
dei fatti, fece spostare il campo delle ricerche, indicando proprio il tratto
di mare dove sono stati trovati alcuni pezzi di Volpe 132. Poi un quarto uomo
ha confermato le prime tre testimonianze e, successivamente, un quinto ha
rivelato che la misteriosa nave alla fonda nella rada di Feraxi, la sera del 2
marzo, era la Lucina. Cioè il mercantile che, quattro mesi dopo, si trasformò
nel teatro di una mattanza nel porto algerino di Djendjen: i sette uomini
dell’equipaggio vennero tutti sgozzati e un processo-farsa ha attribuito le
responsabilità agli integralisti islamici del Gia. La motonave Lucina era
partita il 10 giugno ’94 - ufficialmente
- con un carico di 1.950 tonnellate di semola cous-cous. Quell’anno era al suo
quinto viaggio per l’Algeria. Dal 1982 veniva periodicamente utilizzata dalla Sem Molini Sardi, di proprietà di Massimo Cellino e della sorella Lucina.
Al momento della partenza massimo e Lucina erano agli arresti domiciliari,
accusati di peculato e truffa aggravata ai danni dell’Aima e della Cee.
Racconta Patrizio Schmidlin, l’allora ambasciatore d’Italia ad Algeri: «Sono
salito a brodo del Lucina, ma ho visto un solo corpo che presentava segni di corde
alle gambe e alle mani. Chi ha compiuto la strage, conosceva bene la nave. Non
c’erano segni di lotta ma le cabine sono state comunque ben perquisite,
cercavano qualcosa». La morte di due uomini, servitori dello Stato, esige
risposte esaurienti. Per ricordarsi di ricordare: un pò di domande
imbarazzanti. 1) Quale era la vera missione di “Volpe 132”? 2) Perché la
Commissione militare parla di «azione combinata» con la motovedetta Colombina,
mentre i piani di navigazione agli atti smentiscono questa dichiarazione? 3) Le
comunicazioni radio tra Volpe 132 ed Elmas si interrompono alle 19,16. Per
oltre quaranta minuti c’è un silenzio impossibile: è muto “Volpe 132”, ma tace,
incredibilmente, anche la base operativa. E’ stata fatta una perizia per
verificare se quei nastri sono stati manipolati? 4) Perché i militari chiedono
il segreto di Stato e perché la presidenza del Consiglio lo concede? 5) Perché
vengono forzati gli armadietti di Deriu e di Sedda quando risultano ancora
ufficialmente dispersi? 6) Perché la testimonianza del giardiniere Giovanni
Utzeri viene depurata e poi non tenuta in considerazione dalla commissione
d’inchiesta militare? 7) Come è possibile che l’elicottero sia svanito e un
Atlantic Breguet prima e i caccia Lerici dopo non abbiano trovato nulla? 8) Chi
ha ispirato il collaboratore di giustizia che ha turbato le indagini? 9) Cosa
ci faceva la nave Lucina a Feraxi e perché ha preso frettolosamente il largo
dopo la tragedia? 10) E’ credibile che i radar della base militare di Capo San
Lorenzo fossero tutti in black-out? 11) Chi erano i sub che, alle prime luci
dell’alba, uscirono dal mare a Feraxi? I familiari di Sedda e Deriu avevano
indirizzato un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Romano Prodi. In
passato, si erano già rivolti senza
esito all’allora presidente della Repubblica Scalfaro e ai presidenti dei due
rami del Parlamento, Violante e Mancino; poi ai loro successori fino ai giorni
nostri. Ancora una volta, il caso sbarca in Parlamento senza ottenere
risposta. L’8 settembre 2011, l’onorevole Caterina Pes pone una serie di
quesiti imbarazzanti ai ministri della difesa e dell’interno: «… in data 7
aprile 2011 la procura di Cagliari chiede per la terza volta l'archiviazione
dell'inchiesta dal momento che le ipotesi di reato per le quale si procede sono
prescritte; il pubblico ministero scrive che è impossibile ipotizzare reati più
gravi perché la perizia disposta nel 2005 sui frammenti dell'elicottero non è
stata fatta dai RIS … se non ritengano opportuno fare chiarezza sulla vicenda; come
si concili il fatto che la vicenda sia coperta da segreto militare con versione
ufficiale relativa all’incidente che afferma è che si è trattato di incidente».
Si intuisce una strategia, un oscuro disegno
- argomenta da tempo il giornalista Piero Mannironi - far scorrere il tempo,
lasciando che gli anni seppelliscano un ricordo e facciano dimenticare la
ferita dolorosa di una giustizia negata». Il buco nero ha inghiottito e
digerito un’altra strage nell’indifferenza generale.
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - E’ un sottile filo rosso, continuamente
oscurato. Somalia chiama Sardegna: una
voce, un segnale, una traccia, un eco, un bip. Mauro Bulgarelli, ex componente
della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio dei due giornalisti,
taglia corto: «A suo tempo avevamo chiesto alla Procura della Repubblica di
Cagliari tutti gli atti sul caso di “Volpe 132”. L’istanza della nostra
commissione è stata deliberata il 6 luglio 2004, ma soltanto dopo le mie
reiterate insistenze il 18 ottobre, fu effettivamente inoltrata alla
magistratura cagliaritana». Tuttavia, i fascicoli non sono stati
approfonditamente vagliati e risultano coperti da segreto di Stato per 20 anni;
alla stregua, tra l’altro, degli esami testimoniali (13 settembre 2005) di
Gianni De Michelis, Giampaolo Pillitteri, Francesco Forte e Fabio Fabbri. Il
Presidente Carlo Taormina mi aveva detto: «Il 6 luglio 2004 abbiamo deliberato
la richiesta di acquisizione alla Procura della Repubblica di Cagliari di tutti
gli atti ma senza nessuna precisione d’obiettivo, perché prima che si possa
stabilire una strategia bisogna leggere quello che c’è scritto per comprendere
il livello d’attinenza». Bulgarelli puntualizza: «Sono abbastanza perplesso: la
documentazione non è mai stata esaminata». Un altro membro di quella
Commissione, Elettra Deiana, conferma di «non aver mai avuto la possibilità di
leggere tale documentazione».
Fabrizio Sedda - Gianfranco Deriu |
Ricordo quella vicenda. Sì, tano mi disse che doveva imbarcare sul Lucina, ma un contrattempo glielo impedì. L'equipaggio del Lucina fu sgozzato a Djen Djen in Algeria nel luglio '94. Lui ne restò colpito e preoccupato. In quel periodo stavamo subendo tutti degli attentati e non voleva credere che quello fosse stato dedicato a lui da chi non lo conosceva, ma sapeva che doveva essere a bordo. Purtroppo sopravisse solo poco meno di 4 anni a quella strage. Il 13 Maggio 1998, mentre lo attendevo ad Ajaccio per raggiungere gli Stati Uniti, dove volevamo chiedere Asilo, fu ucciso nell'arcipelago del Cabo Verde, in Atlantico, durante una sosta a Fogu. Dichiarato omicidio colposo non ci fu alcuna inchiesta sulla sua morte e nemmeno fu identificato chi si sarebbe reso colpevole di omicio, sia pure colposo. La successiva riapertura dell'inchiesta, invocata dal padre nel 2001, fu archiviata per intervento del Direttore del Sismi, gen. Pollari, che dichiarò al GIP che Nino Arconte "era solo un fantasioso millantatore". Non disse, però, che l'inchiesta che mi promossero contro a Roma, su richiesta del senatore Andreotti, per l'ipotesi di falso fu archiviata a Maggio 2004 per infondatezza e che Nino Arconte era stato identificato come Parte Offesa dal GIP che l'aveva archiviata. Il Ministro della Difesa dell'epoca, Antonio Martino, dichiarò il falso, sempre allo scopo di screditare Antonino Arconte e fu sbugiardato solo da un giornale Americano, nessuno dei media Italiani diede la notizia che il Ministro mentiva spudoratamente. Questo paese è ormai finito sotto il controllo di bande mafiose che fanno quel che gli pare!
RispondiEliminaSi tende a dimenticare o si omette volutamente. In effetti, anche la Cassazione ha stabilito che il senatore a vita Giulio Andreotti è un mafioso prescritto!
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