di Gianni Lannes
Confuso, smemorato o dall'estero telecomandato? Il presidente emerito della Corte costituzionale: un politicante ai vertici dello Stato e della magistratura, inerte per anni, all'improvviso s'è destato dal letargo. Incredibilmente, dopo decenni di silenzio, nella prima decade settembrina dell'anno 2023, al dottor Sottile è tornata d'un lampo la memoria (di comodo). Sensi di colpa?
«Al Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato che il generale Tricarico, consigliere militare di Palazzo Chigi, ha dichiarato alla stampa che il DC 9 Itavia precipitato nel mare di Ustica il 27 giugno 1980 cadde per una bomba; considerato invece che in una sentenza-ordinanza la magistratura italiana ha individuato le cause dell'abbattimento in una manovra d'attacco effettuata da uno o più aerei militari, si chiede di sapere: se il Presidente del Consiglio abbia notizie finora sconosciute che avvalorino la tesi del generale Tricarico e debbano pertanto fare riaprire le indagini; se il generale abbia espresso considerazioni personali al di fuori del suo incarico istituzionale e comunque come si collochino queste considerazioni nei confronti delle dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio nelle sue risposte davanti alla Commissione affari esteri del Senato in occasione del dibattito su Ustica; se non si ravvisi nelle dichiarazioni del generale Tricarico un palese misconoscimento delle conclusioni cui è pervenuto un organo costituzionale dello Stato quale è la magistratura; se e quali azioni il Presidente del Consiglio intenda intraprendere in merito».
A questa interrogazione (4/21782) indirizzata dalla senatrice Daria Bonfietti al primo ministro Amato il 16 gennaio 2001, come a numerosi altri atti parlamentari relativi alla “opportunità di rimuovere il segreto militare posto sull'accertamento delle cause della caduta del Dc9 Itavia nei pressi dell'isola di Ustica” (interpellanza 2/00942 del 18 settembre 1986, ancora senza risposta), oppure "alla presenza di velivoli militari inglesi e di una portaerei inglese attestata dai tracciati radar della Nato", Giuliano Amato non ha mai risposto. Perché? Più di qualcosa da nascondere? Nel Mar Tirreno: nebulose presenze belliche anglo-americane e non solo francesi, senza contare quelle israeliane.
Che carriera e quante promozioni per i servigi resi al sistema di dominio globale. Già sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri nei due passivi governi Craxi (relativamente alla strage di Ustica), ininterrottamente dal 1983 al 1987, in seguito primo ministro per due volte (dal 28 giugno 1992 al 28 aprile 1993 e dal 25 aprile 2000 all'11 giugno 2001, poi ministro dell'Interno dal 17 maggio 2006 all'8 maggio 2008). Proprio il 15 novembre del 2000 in Commissione affari esteri, l'allora presidente del consiglio Giuliano Amato, fece l'ennesima comparsata. Durante i lavori della predetta Commissione parlamentare, ben 23 anni fa, furono posti ma invano, diversi interrogativi al presidente del Consiglio, Giuliano Amato. Come ad esempio: «Signor Presidente, vorrei sapere se sono stati acquisiti, oltre ai tracciati radar della NATO, anche i tracciati delle torri di controllo della Repubblica di Malta. Come mai non è stata richiesta al governo di Malta la collaborazione che è lecito attendersi da un paese amico? Malta controlla tutto, è una base d’appoggio dell’aeronautica e del Governo libici. Con Malta abbiamo stipulato molti trattati, le diamo ogni anno centinaia di miliardi, é una zona franca sotto molti aspetti e non vorrei che fosse franca anche per l’accertamento della verità di fatti che ci riguardano direttamente. Sollecito un intervento del Governo e un chiarimento più profondo per dare un aiuto alla magistratura che ha concluso l’istruttoria con l’ordinanza, anche se resta aperto il dibattito presso la Corte d’assise».
Proprio, l'allora Presidente del Consiglio Amato sul piano della politica internazionale, dei rapporti internazionali, scrollandosi di responsabilità istituzionali, consigliò testualmente, addirittura improbabili rogatorie o addirittura di avanzare iniziative promosse dall’associazione dei familiari delle vittime.
Giuliano Amato in quell'occasione, in veste di primo ministro, dichiarò: «Non ho scritto al primo ministro inglese, né ho parlato con lui dell’argomento - c’è un’interrogazione al riguardo della senatrice Bonfietti - perché ho ritenuto giusto lavorare nella direzione indicata dall’ordinanza del dottor Priore, senza mettere in dubbio quanto egli ha accertato, bensì avvalendomi delle risultanze dell’ordinanza di Priore per cercare di fare passi in avanti. Mi pare di capire che gli inglesi hanno sempre risposto in maniera negativa con riferimento alla presenza nell’area interessata di una nave portaerei britannica e al riguardo non sono emersi ulteriori dubbi. Per quanto riguarda l’eventuale presenza di aerei inglesi, sembra, da quanto accertato in sede istruttoria, che questi fossero su rotte non interferenti con quella percorsa dal DC9». Assolutamente falso.
Amato nel 1986 aveva detto in sede parlamentare, da sottosegretario alla presidenza del Consiglio: «Come dirò, per nessuno dei nastri rilevanti è stato mai opposto il segreto di Stato, così come su nessuna parte di questa vicenda c’è segreto di Stato. Questo è un altro equivoco nel quale si è caduti ripetutamente: se segreto esiste, è quello istruttorio, che copre, credo, anche ciò che abbiamo letto sul Corriere della sera, e che riguarda un’indagine giudiziaria in corso. Da parte del Governo non sono stati opposti segreti di Stato per questa vicenda, al di fuori di un segreto fatto valere fin dall’inizio non tanto per i nastri, quanto relativo alle caratteristiche tecniche intrinseche dei radar difesa aerea; ma non — ripeto— sulle risultanze del loro funzionamento (…) Per converso, la Commissione d’inchiesta precisa che il buco di cui si parla comincia quattro minuti dopo l’incidente. Non capisco come si fosse potuta diffondere l’idea che esso partisse da quattro minuti prima dell’incidente protraendosi fino a quattro minuti dopo. Infatti, il nastro che riguarda il momento dell’incidente di Marsala fu sequestrato dal dottor Santacroce ed è agli atti dell’istruttoria. In realtà, vi è stato un cambiamento dei nastri effettuato proprio nel momento indicato dalla commissione d’inchiesta, cioè quattro minuti dopo l’incidente; sostituzione fatta per gli scopi detti. La sostituzione del nastro desta interrogativi sospetti? Perché è stato tolto in quel momento? Sarà vero o sarà falso che il motivo era una esercitazione? Queste domande sono legittime. L’ unica spiegazione maliziosa della sostituzione potrebbe essere che qualcuno, togliendo a quel punto il nastro, volesse cancellare le tracce che ormai risultavano segnate. Mi è stato spiegato che ciò è tecnicamente impossibile perché quel nastro avrebbe potuto essere o smagnetizzato, azzerando tutte le tracce, o riutilizzato azzerando e riscrivendo qualcosa. Non era, quindi, suscettibile di manipolazione. Questo ci è stato riferito, per cui il nastro che è nelle mani dell’autorità giudiziaria copre il periodo dell’incidente ed è quello che racconta ciò che Marsala vide. Marsala non vide nulla, così come non vide nulla Licola. Le ragioni possono essere diverse: Licola dista circa 130 chilometri in linea d’aria dal luogo dell’incidente, cioè poco meno di Ciampino; Marsala è molto vicina, però, rispetto alla zona dell’incidente, si trova Monte Erice davanti ed è in grado di cogliere, in quella fascia di cielo, soltanto ciò che si muove al disopra dei 15 mila piedi. I casi sono due: che, in realtà, quelle tracce fossero non significative, oppure che Marsala non avesse visto nulla perché c’era un aereo sotto i 15 mila piedi. Esaminiamo le due ipotesi (…) I tre segnali ritenuti rilevanti dagli americani sono tre e solo tre, non sono preceduti e non sono seguiti da altri. Se lo fossero stati — si dice — la difesa aerea li avrebbe percepiti. Poteva trattarsi di un aereo che viaggiava al di sotto di 15 mila piedi? È abbastanza problematico e difficile verificare tale circostanza dato che bisogna tener conto del fatto che, se di aereo parliamo, parliamo di aereo che ha sparato un missile. Allora, bisogna considerare le caratteristiche dei missili. Di sicuro non si trattava di un missile a raggi infrarossi che viene guidato dal calore e che avrebbe, pertanto, colpito l’aereo da dietro in posizione pressoché orizzontale. Poteva trattarsi di un missile semi-attivo, e cioè del tipo di quelli che hanno un radar guidato dal radar dell’aereo che lo lancia che deve illuminare il bersaglio fino al punto in cui il missile arriva? In questo caso l’aereo avrebbe dovuto comparire a lungo, avvicinandosi al bersaglio, fino al momento in cui lo avesse colpito, e poi avrebbe dovuto schivarlo.
Un’ipotesi veramente problematica è poi che potesse essersi trattato di un missile cosiddetto attivo (che però è a lunga distanza), sparato da sotto i 15 mila piedi, e perciò non visto da Marsala; in questo caso, tuttavia, l’aereo avrebbe dovuto essere quasi in verticale per avere nel suo angolo di tiro un aereo che stava 10 mila piedi sopra. D’altra parte, se l’aereo andava a velocità supersonica, poteva non «sfondare» quota 15 mila e non rendersi visibile? Espongo queste domande perché investono problemi aperti: francamente non ho risposta a queste domande. Mi trovo, da un lato, una relazione i cui elementi tecnici sembrano portare verso l’ipotesi del missile; dall’altro, mi trovo una delle tematiche rilevanti, quella dei radar, che è da alcuni intesa in un modo, da altri intesa in un altro (…) Venne identificato come colpevole un aereo libico, trovato una ventina di giorni dopo in pezzi in Calabria (la cosa è stata ripresa da La stampa). Gli elementi a disposizione del Governo portano ad escludere che si fosse trattato di quell’aereo. Il referto medico disse che il pilota era morto poche ore prima; inoltre, l’aereo risultava sprovvisto di armamento (non è che avesse uno o più missili in meno: non era proprio attrezzato per sparare missili); e così ci siamo persi un facile colpevole (…) Pare che a bordo dell’aereo vi fossero dei sub ed è possibile che avessero, collocate nel vano bagagli, delle bombole che, se fossero state pressurizzate in modo non adeguato, avrebbero anche potuto esplodere. Se però un’ipotesi del genere fosse di per sé accreditabile, rimarrebbe tuttavia il problema dell’esplosivo: da dove diavolo viene questo T4? Non certo da bombole di sub! Quindi l’ipotesi non quadra con un elemento a nostra disposizione (…) Il SISMI ha fatto soltanto tre, quattro accertamenti, ma non è stato sovrapposto a nessun altro organo, relativamente alle condizioni della difesa radar ed a ciò che i servizi collegati fossero in grado di dire o non dire sull’argomento; e nulla di rilevante sino a questo momento è emerso. Il Governo a questo punto ha ritenuto e ritiene che si debba procedere scegliendo una delle strade (la più sollecita) utili al recupero del relitto. Abbiamo fatto due cose. Innanzi tutto, abbiamo preso contatto con gli americani che sono pronti, sulla base di una richiesta da Governo a Governo, a mandare nella zona un sommergibile ad alta profondità, che fotografi il relitto; al limite, questo potrebbe anche risultare sufficiente, qualora le fotografie fossero adeguatamente chiare ed esplicite. Consideriamo comunque questo un fatto — come dire — possibile e preliminare (…) Ci avviamo quindi al recupero del relitto. A che cosa potrà servire? Forse a nulla, nel caso in cui le caratteristiche del relitto non siano significanti né in un senso, né nell’altro; forse potremo avere la conferma dell’una o dell’altra delle due ipotesi che ormai possono ritenersi accreditate, e cioè quella della bomba dentro o del missile da fuori. Sicuramente, un relitto che sta lì da sei anni non porta il nome e il mittente, né di una bomba né di un missile; e tuttavia trovare il relitto, e la speranza è di rinvenire in esso caratteristiche significanti, porrà fine ad una situazione d’incertezza nella quale chiunque può dire che è un’altra, l’ipotesi, rispetto ad un’ipotesi che possa essere accreditata come vera. Il recupero potrebbe permetterci di accertare, di là da ogni ragionevole dubbio, che s’è trattato o dell’una cosa o dell’altra. A quel punto, se a questo mondo ci sono reticenze sulla vicenda, saremo più forti per vincerle. Se qualcuno che sa, tace, e sta continuando a tacere, avremo più forza perché cessi di tacere. La questione si pone in questi termini».
Il deputato e illustre giurista Stefano Rodotà, il 30 settembre 1986, mise a verbale: “Chiarirò perché sono insoddisfatto (…) sono avvenuti diversi fatti, di cui credo dobbiamo tenere conto, di cui sottolineerò l’importanza e che mi pare motivino, poi, l’insoddisfazione che ho già dichiarato. Se, ad esempio, io, seguendo l’onorevole Amato, utilizzo il lavoro utilmente fatto oggi, come in passato, da Andrea Purgatori del Corriere della sera, trovo anche altre domande, che sono poi quelle che l’opinione pubblica si è, non per malizia, ma sulla base di dati testuali abbastanza inquietanti, venuta ponendo. Ne ricordo due: qualcuno depistò le indagini? I nostri servizi segreti collaborarono ed in quale forma all’indagine giudiziaria? Il sottosegretario Amato ha citato i l nome di Marco Affatigato, facendolo di passata e molto rapidamente. Spiego invece perché questo riferimento è importante, e leggo da pagine 837 ed 838 della sentenza istruttoria relativa alla strage di Bologna: «L’ipotesi di un coinvolgimento di Affatigato nell’esplosione si rivelò ben presto destituita di fondamento. Ciò non di meno essa servì a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal sospetto di responsabilità militari nella distruzione dell’aereo civile. Soltanto qualche anno dopo fu possibile comprendere che l’operazione, con ogni probabilità, era stata condotta dal SISMI, organo materialmente competente per tale genere di faccenda, al fine di disorientare l’opinione pubblica e mascherare la delittuosa imprudenza dei reparti impegnati in una esercitazione militare». Questo riferimento testuale si comprende meglio nel contesto generale della sentenza istruttoria e del lavoro svolto dai giudici bolognesi, perché è bene ricordare che la vicenda dell’aereo di Ustica si compie un mese e tre giorni prima della strage alla stazione di Bologna. In entrambe le ipotesi, come hanno accertato i giudici bolognesi, compare il nome di Marco Affatigato in funzione di depistaggio, tanto nell’ipotesi di Bologna quanto in quella di Ustica. A questo punto non voglio trarre, seguendo il prudente modo di argomentare dell’onorevole Amato, conclusioni definitive; però ciò che avevamo il diritto di ottenere dal Governo non era un’ulteriore prudente ed intelligente interpretazione dei dati tecnici, bensì una risposta che rientrasse nelle competenze specifiche dell’esecutivo, ed in particolare della Presidenza del Consiglio. Le domande che vorrei rivolgere più puntualmente sono le seguenti: è stato svolto un lavoro di accertamento nella direzione indicata, e può la Presidenza del Consiglio escludere che l’ipotesi formulata dai giudici di Bologna sia rilevante, e cioè che sia stato tenuto da parte del SISMI un comportamento tendente a depistare le indagini che riguardavano l’incidente di Ustica? Come osserva un intelligente studioso dei problemi connessi ai servizi di sicurezza (mi riferisco a Giuseppe De Lutiis), ci troveremmo di fronte ad un fatto strano, e cioè che, mentre in passato si è cercato di nascondere una strage dietro qualcosa di diverso, questa volta si è voluto far passare per strage o attentato un episodio gravissimo, che comunque strage non sarebbe. Questa è la prima domanda alla quale non abbiamo avuto risposta. Tale domanda, ripeto, non è posta solo da noi, ma da un documento del peso di una sentenza istruttoria come quella di Bologna, ed è suscettibile di verifica. La verifica puntuale può però essere compiuta solo dal Governo. Seconda questione. L’onorevole Amato ha affermato che al momento del disastro erano in funzione tutti i radar militari, alcuni dipendenti dalla difesa aerea territoriale, altri dal centro di Ciampino. Vorrei rivolgere a questo punto una domanda che si riferisce all’eventuale accertamento effettuato nella direzione che indicherò. È presumibile (io ritengo certo, data la situazione) che fossero in funzione in quel momento altri due sistemi radar, e precisamente quello di controllo NATO di Birgi…”.
Risposta di Amato, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: “Quel radar non rilevò alcuna traccia”.
Replica di Rodotà: “...ed uno posto sulla nave francese Clemenceau che si trovava in zona. Il Presidente del Consiglio si è preoccupato di svolgere accertamenti nelle direzioni istituzionali, e cioè nei confronti del ministro della difesa dell’epoca e dell’allora capo di stato maggiore dell’aeronautica, poi capo di stato maggiore della difesa, Bartolucci? Quali sono, da parte dei due responsabili istituzionali, le versioni relative agli accertamenti compiuti in quella fase? Ciò è molto rilevante, più che non l’interpretazione dei dati tecnici. Dalla rilevazione dell’insieme dei dati possono dedursi elementi atti a valutare il passo suggerito dall’onorevole Amato, e cioè il recupero del relitto. Ma vi è un’altra domanda che formulo. C’è stata una singolare resistenza dell’amministrazione militare a consentire al giudice Santacroce, allora investito dell’indagine, di interrogare l’operatore del centro radar di Licola. Per due volte, adducendo motivi puramente burocratici, è stata rifiutata la possibilità di questo interrogatorio, che è avvenuto solo in un momento successivo, molto lontano nel tempo. In più si attende una risposta del Governo proprio in merito al nome di questo operatore, che non si comprende perché venga tenuto segreto dal giugno 1985, data in cui è stata presentata dal senatore Eliseo Milani un’interrogazione in materia. C’è dunque un insieme di quesiti ai quali risposta non è stata data, e sono quesiti non secondari, come ben si vede. Così come mi sorprende in qualche misura, perché la notizia era stata data con grande rilievo il 7 settembre da parecchi giornali, il silenzio rispetto alla dichiarazione, che sembrava di fonte ufficiale, della Presidenza del Consiglio della volontà di costituire lì una commissione d’inchiesta…i dati sono già davanti a noi e sono molti. Sono quelli che ho ricordato, e soltanto nella sede propria, quella di una commissione presso la Presidenza del Consiglio (non sono certamente i servizi segreti che possono essere chiamati ad indagare su se stessi), solo in quella sede sarebbe stato possibile dare una risposta a queste domande. Perché mi sembrano importanti queste domande? L’onorevole Amato mi consente di capovolgere l’ordine di ragionamento che ha poi alla fine del suo intervento sottoposto all’Assemblea. Io non trascuro affatto l’importanza e la sottolineatura dell’ulteriore acquisizione di dati tecnici, che può venire o dalla fotografia a grande profondità o addirittura dal recupero del relitto, per stabilire quale sia stata la meccanica dell’incidente. Però io ho un timore, e lo dico con molta franchezza in questo momento. Noi abbiamo assistito in tutta questa storia a continui tentativi di rinviare proprio l’accertamento di quelle che erano le responsabilità a livello politico-amministrativo. Può darsi che non ce ne siano, ma è certo che il tentativo, nonostante le ripetute sollecitazioni, non è stato fatto; il tentativo è stato, sempre, quello di affidare a più o meno probabili indagini di carattere tecnico la prosecuzione dell’inchiesta, per farne, come ha detto oggi l’onorevole Amato, una sorta di grimaldello per vincere le reticenze, semmai queste vi siano. Ricordo l’iniziativa, che non voglio definire con termini particolarmente pesanti ma che posso definire stravagante, di quei magistrati che proponevano, addirittura, un viaggio a Seul per andare ad acquisire dati relativi all’abbattimento del Jumbo coreano; dati sicuramente accessibili, senza bisogno di viaggi così costosi e non coperti da preventive garanzie parlamentari sulle spese della giustizia. L’analisi ulteriore dei vari elementi che sono già tecnicamente disponibili tende ad incentivare la propensione verso l’ipotesi dell’impatto dall’esterno che ci ha ricordato l’onorevole Amato come suggerita dalla commissione (perché anche dal reperto radar il fatto che i frammenti si orientino in una sola direzione e non assumano la forma di rosa è ritenuto elemento che giustifica l’interpretazione dell’impatto dall’esterno piuttosto che un’altra); tuttavia non vorrei che l’accento posto in questo momento sull’opportunità di accertamenti assai onerosi per l’erario, oltre che, forse, lunghi nel tempo, impedisse che essi siano sostituiti da un accertamento di responsabilità specifica in questa vicenda. Ma non ritengo, come è ovvio, le due cose alternative, e mi permetto di sottolineare l’attenzione sul primo punto. E ciò per due ordini di ragioni, che mi accingo ad esporre. In primo luogo, non sono affatto convinto che il giorno in cui si dovesse accertare che l’incidente è derivato da un’esplosione esterna all’aereo le reticenze sarebbero vinte più facilmente. A quel punto, infatti, accertato quello che è un dato di verità, sarebbe forte la propensione di dire che cosa si voglia, perché sarebbe stata ricostruita la dinamica dell’incidente e quindi ad essa bisognerebbe fermarsi, individuando le responsabilità e chiudendo così il problema nel modo più giusto per le vittime, senza procedere in altre direzioni. Vedo dunque un rischio, oltre che nel ritardo, anche nell’incentivazione di procedimenti di copertura, perché, quale che sia il risultato dell’accertamento in sede tecnica, noi dobbiamo fare chiarezza a livello politico ed amministrativo. Troppo gravi sono infatti i sospetti che incombono su questa vicenda e quindi, nello stesso spirito con cui il sottosegretario Amato ci è venuto a parlare (ed è questo il motivo della mia insoddisfazione) devo continuare a verificare una reticenza (proprio quella che l’onorevole Amato vuole, in qualche misura, combattere) a livello governativo. Alle domande che con molta semplicità ho ricordato, e che già sono presenti nell’opinione pubblica da molto tempo, potevano essere date risposte. Anche l’intervallo fra l’infelice risposta al Presidente Cossiga ed oggi poteva essere utilizzato meglio dal Governo”.
Il colpo di scena va in onda l'11 luglio 1990, quando l'ex sottosegretario socialista alla presidenza del Consiglio, Giuliano Amato - in sede di audizione in Commissione Stragi - dichiara di aver appreso dal giudice istruttore Vittorio Bucarelli - verso la fine di settembre del 1986, dell'esistenza di alcune fotografie del DC9 scattate dagli americani. Prima, quindi, dell'ufficiale recupero del relitto dell'aereo, delegato dal governo Craxi alla francese Ifremer. legata allo Sdece, ovvero ai servizi segreti d'Oltralpe.
Altre menzogne a ruota libera. Il 30 settembre del 1986, Giuliano Amato, nel corso del dibattito alla Camera sul caso Ustica ebbe infatti a dichiarare: «Cominciai il mio lavoro su incarico del presidente Craxi, cercando da un lato di acquisire i documenti esistenti nell'ambito dell'Esecutivo, che poi si esaurivano nella relazione della Commissione Luzzatti, di cui ebbi gli atti dal Ministero dei trasporti, del marzo 1982. Inoltre sollecitai i Servizi e la Difesa a fornirmi gli elementi di cui fossero in possesso. Ricevetti degli appunti sui quali cominciai a lavorare con Martini, persona della quale mi sono sempre fidato in questa come in altre materie (…) Mi feci dare tutti gli atti precedenti di governo relativi al relitto e poi presi contatto con il giudice Bucarelli che era da tempo sulla medesima pista di ricerca del relitto. Nel marzo 1986 Luzzatti scrisse una lettera al Ministro dei trasporti ricordando che la Commissione era sopravvissuta, che non stava facendo niente e che, senza il recupero del relitto, era inutile che continuasse ad esistere. Valutai allora quale strada convenisse seguire per questo benedetto recupero (…) Sentii l'ammiraglio Martini che mi prospettò l'ipotesi (che all'inizio non mi fu chiaro se onerosa o gratuita) di far fare un'ispezione fotografica con un mini sommergibile di profondità dagli americani. La presentò come un'ipotesi che poteva addirittura rendere inutile il recupero, qualora le fotografie fossero di tale chiarezza da consentire di avere gli elementi che si stavano cercando. Ovvero comunque poteva servire a facilitare il recupero, indicando la localizzazione chiara dei pezzi e quindi riducendo i tempi di lavoro di chi poi dovesse recuperarli (…) Come terza pista sentii il giudice Bucarelli. Anche in questo caso si tratta di cose interessanti, specie per uno che fa il mio doppio mestiere, per capire cosa si va a cacciare nei comportamenti dello Stato. Il giudice mi spiegò il senso che stava dietro tutta la corrispondenza tra lui e il Ministero delle finanze (…) Questo brav'uomo, consapevole del fatto che gli serviva il relitto di Ustica, ma che ciò costava da alcuni miliardi in su, qualche preoccupazione l'aveva (…) A quel punto, dunque, lasciammo cadere l'idea dell'ispezione fotografica, lasciammo cadere il disegno di legge ed io tenni, non ricordo per la verità, se una o due riunioni riservate nel mio ufficio con il capo dell'ufficio istruzione, dottor Cudillo, conil giudice Bucarelli, con il dottor Niutta, che era il responsabile della Direzione generale del Ministero di grazia e giustizia, e con il Ragioniere generale dello Stato, in modo che fosse chiaro - erano presenti tutti i protagonisti necessari - che lo Stato si sarebbe accollato l'onere del recupero. Bucarelli fu tranquillizzato e quindi potè procedere. Questa decisione venne presa l'ultima settimana di settembre e quando mi recai alla Camera, il 30 settembre, lo riferii all'Assemblea (...) io ebbi notizia di fotografie da parte di Bucarelli, che mi disse che ne aveva avute e che erano di fonte americana [precedenti quindi all'intervento dell'Ifremer, nda]. Ma io non le ho mai ricevute e siccome erano atti acquisiti ad una istruttoria in corso... Egli mi disse di avere già avuto fotografie e quindi questo ora, a ripensarci, rende legittima la domanda: ma come, se l'avevano già fatte perchè il trenta per cento solo di probabilità [riferendosi alle difficoltà tecniche nello scendere a 3.400-3.500 metri in fondo al Tirreno e localizzare il relitto del DC9 manifestate dalle autorità militari statunitensi e riportate nella nota del SISMI del 30 settembre 1986, nda]. Questo avvenne intorno alla fine di settembre 1986, quando discutemmo dell'opportunità di rivolgerci agli americani. Quindi doveva essere intorno alla fine di settembre, cioè prima che tagliasse la testa al toro il fatto che questi chiedevano dieci milioni di dollari. Sì, quindi quadra il fatto che erano americane. Lui me lo disse che aveva già foto americane».
Il 17 luglio 1990, sulla scorta delle dichiarazioni rese in Commissione stragi da Giuliano Amato, il giudice istruttore Vittorio Bucarelli propone al presidente del Tribunale di Roma, Carlo Minniti, istanza di astensione dalla prosecuzione delle indagini sulla sciagura aerea del 27 giugno 1980, in quanto costretto dall'iniziativa che si proponeva di assumere nei confronti dell'ex sottosegretario a Palazzo Chigi, contro il quale avrebbe presentato querela per diffamazione. Il magistrato negò, infatti, di aver mai avuto o visto fotografie americane del relitto del DC9 precedenti le fasi del regolare recupero espletate dall'Ifremer. Il 23 luglio, il presidente del Tribunale di Roma accoglie l'istanza di astensione presentata dal giudice Bucarelli e nomina, come nuovo titolare dell'inchiesta, il giudice istruttore Rosario Priore. Il primo agosto 1990, il procuratore capo di Roma, Ugo Giudiceandrea, nomina come rappresentanti dell'accusa il procuratore aggiunto Michele Coiro e i sostituti Giovanni Salvi e Vincenzo Roselli, in sostituzione di Giorgio Santacroce, destinato alla Procura Generale presso la Corte d'appello.
Il 7 agosto 1990, Giuliano Amato, ascoltato da Fausto Cardella, sostituto procuratore di Perugia (Procura competente sulle questioni che riguardano i magistrati di Roma), in merito alle sue dichiarazioni rese in Commissione, ha confermato confusamente, il fatto di aver saputo dal giudice istruttore Vittorio Bucarelli dell'esistenza di fotografie americane del relitto del DC9: «La domanda [rivoltagli durante la sua deposizione, l'11 luglio 1990, da uno dei deputati membri della Commissione, nda] mi fece tornare in mente che durante uno dei colloqui che io ebbi con Bucarelli, a cavallo tra... era la seconda metà di settembre, ora non ricordo esattamente, in quale occasione, ricordo però eh, eh, molto informalmente davanti alle prime perplessità del SISMI sulla Ifremer... perplessità che poi il SISMI fece venir meno e poi riemersero successivamente eh... e quindi questo, ora non ricordo esattamente se accadeva entro la fine di settembre o i primi di ottobre, devo dire la verità, del 1986. Comunque, questo non sono in grado di ricordarlo, ho provato anche a vedere se ripescavo le mie vecchie agende, ma devo averle buttate. Bucarelli, eravamo in piedi nella mia stanza, questo lo ricordo bene, insomma vicini alla finestra, e lui mi disse che alla fine e... di polarizzare così Á i sospetti su qualcuno, non era così opportuno che a lui e... ecco e, lui mi disse: Gli americani... di fotografie me ne hanno fatte avere - una frase di questo genere, non la ricordo esattamente. So che ricordo una frase di questo tipo. Poi Bucarelli - ha aggiunto a verbale Amato - ha smentito molto drasticamente questa circostanza. Io mi sono astenuto da qualunque commento, anche perchè io non volevo che lui avesse la sensazione che io gli stessi... e... così... e... e collocasse in una posizione antitetica a lui cosa che non... non intendevo in alcun modo fare». Alla domanda del pubblico ministero perugino se il giudice Bucarelli accennò espressamente agli americani, Amato ha risposto: «Sì, questo lo confermo, dagli americani. Ecco, di fonte americana, dagli americani. Poi può essere chiunque».
Ecco, comunque, la versione veritiera del giudice Vittorio Bucarelli: «Ritengo opportuno parlare dei miei rapporti con l'onorevole Amato, in modo che tutti potranno averne piena conoscenza. Perchè il giudice Bucarelli andava alla Presidenza del Consiglio a conferire con l'onorevole Amato? Il giudice Bucarelli, in presenza del presidente Niutta, del consigliere istruttore Cudillo e il ragioniere generale del Ministero di grazia e giustizia si recò due o tre volte alla presidenza del Consiglio per cercare di chiarire questa vicenda con l'onorevole Amato (peraltro su suo invito), il quale voleva che si facesse un quadro della situazione in relazione all'attività di recupero del relitto. Ecco il motivo della mia presenza in un palazzo che non è consono alle mie funzioni. In quella occasione spiegai - credo chiaramente, peraltro con l'ausilio tecnico del ragioniere generale - all'onorevole Amato questa problematica dei finanziamenti. Alla fine troverete che vi è una lettera nella quale si legge che il giudice è autonomo in questa decisione, non è sottoposto a limiti se non quelli previsti dalle norme di contabilità e agisce sotto la sua personale responsabilità. In occasione di questo discorso con l'onorevole Amato sorse il problema delle foto che si diceva sarebbe stato possibile scattare da un sottomarino (credo americano) al relitto. Vorrei aprire una parentesi: questa circostanza è stata dimostrata anche da alcuni atti, quale disegno dell'onorevole Amato teso ad attuare questa ricerca. Nel dossier che feci sequestrare presso i Servizi c'era un documento riguardante l'incarico di contattare, ove fosse possibile, altre persone. Quindi, nell'intenzione dell'onorevole Amato c'era questa volontà. Si discusse anche di questa cosa qui: è proprio la questione delle fotografie che ha ingenerato quella incresciosa vicenda che purtroppo mi sono trovato a dover affrontare in quei termini drammatici, vorrei dire senza enfatizzare il tutto. Non c'è un procedimento giudiziario in corso: c'è una mia istanza di punizione, una querela, in parole povere, che però non ha avuto seguito perchè il giudice di Perugia è ancora in attesa dell'autorizzazione o del diniego di autorizzazione da parte della Giunta. Questo fu determinato da questa situazione incresciosa nella quale mi trovai a dover discutere di certe cose. Evidentemente, per confusione del momento o per non so quale motivo, venne fuori e mi si attribuì la conoscenza, se non addirittura il possesso di queste foto. È tutto collegato logicamente, quindi, alla partenza, dalla mia presenza presso la Presidenza del Consiglio fino al discorso fotografie, causa ed origine di questo increscioso episodio [...]. La realtà processuale è agli atti del procedimento».
Nell'archivio del Parlamento giace ancora inevasa l'interpellanza 2/00916 del 30 giugno 1986 (Giuliano Amato, sottosegretario di Stato), sottoscritta dagli onorevoli Rodotà, Bassanini, Ferrara e Codrignani (Sinistra indipendente):
«SULL'INOPPORTUNITA' DI MANTENERE IL SEGRETO DI STATO SUI DOCUMENTI RELATIVI ALL'INCHIESTA SULLA SCIAGURA DEL 'DC- 9' DELL''ITAVIA', AVVENUTA IL 27 GIUGNO 1980 PRESSO USTICA (PALERMO)....».
Riferimenti:
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/264799.pdf
http://leg13.camera.it/_dati/leg13/lavori/doc/xxiii/064v01t03_RS/00000028.pdf
https://www.radioradicale.it/scheda/36452/caso-ustica-riunione-della-commissione-stragi
https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno54.htm#mar
https://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=3/00633&ramo=C&leg=11
https://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=4/12675&ramo=C&leg=11
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