di Gianni Lannes
Ben 30 mila italiani, anche bambini, trucidati due volte, grazie al decreto legge 30 aprile 2022, numero 36, precisamente l'articolo 43, inserito a forza nel piano di ripresa e resilienza, dopo l'ennesimo diktat del governo tedesco. Il provvedimento porta la firma del telecomandato governo Draghi nonche' di Mattarella. Senza contare il milione di deportati dall'Italia in Germania, di cui 650 mila militari italiani che non aderirono al nazifascismo. Dopo l'armadio della vergogna tricolore, ecco la norma emanata dal Quirinale, che salva i criminali tedeschi che hanno commesso in Italia crimini contro l'umanita'.
Di recente proprio l'esecutivo tedesco, contando sulla proverbiale inerzia all'italiana e sull'appoggio delle autorita' governative italidiote (non quelle giudiziarie) ha proposto una nuova causa dinanzi alla Corte Internazionale dell'Aja, il 29 aprile 2022, pur di non risarcire le vittime del Terzo Reich e i loro eredi, dopo alcuni pignoramenti (incluso il Goethe Institute in Italia). Esattamente il giorno dopo, proprio il governicchio Draghi (mai passato dalle urne elettorali) ha immediatamente inserito una norma assurda dentro un decretino legge relativo a tutt'altro, con cui ha istituito un cosiddetto “fondo ristoro”, finanziato con appena 55 milioni di euro, una somma irrisoria a paragone con l'immensita' di questo credito. Insomma, denaro non sufficiente a risarcire neppure tutte le vittime della strage delle Fosse Ardeatine. Per non parlare di tutte le altri stragi perpetrate dai militari tedeschi in Italia; mettendo oltretutto un termine brevissimo e gia' scaduto, per intentare causa, addirittura piu' breve perfino della conversione legislativa (60 giorni), comunque gia' scaduto. In ogni caso, comporterebbe l'eventuale erogazione di una miseria economica di qualche centinaio di euro a vittima. Che cosa rimane di un diritto, se non può essere fatto valere davanti a un giudice?
Mattarella, Draghi e tutto il cucuzzaro
sgovernativo per conto terzi (ossia straniero), sono andati
addirittura contro una sentenza della Corte costituzionale, la numero
238 del 23 ottobre 2014 (che fa legge), con la quale la Consulta ha
ribadito che i giudici italiani sono competenti a decidere delle
richieste di risarcimento danni avanzate dalle vittime del nazismo e
dai loro congiunti contro la Repubblica Federale Tedesca.
La sentenza della Consulta cancella dall’ordinamento italiano gli effetti della decisione della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012 che, pur configurando i crimini commessi dalla Germania nazista sul suolo italiano come crimini contro l’umanità, aveva ritenuto illegittime le azioni giudiziari intraprese dalle vittime di tali crimini contro la Repubblica Federale Tedesca, perché contrarie al principio internazionale di immunità degli Stati dalla giurisdizione civile.
La Corte Costituzionale italiana ha dunque
sancito che i giudici italiani sono competenti a decidere su tali
cause di risarcimento perché il “principio di immunità degli
Stati dalla giurisdizione civile non opera nel nostro ordinamento
qualora riguardi comportamenti dello Stato estero qualificabili
e qualificati come crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi,
in quanto tali, dei diritti della persona e della dignità umana
garantiti dalla nostra Costituzione”.
La Consulta, con la
sua eroica presa di posizione a tutela dei diritti umani, fa del
nostro Paese un fulgido esempio di civiltà giuridica e di Stato di
diritto nel senso più pieno ed alto. La riaffermata possibilità di
adire le vie giudiziarie per coloro che hanno patito gli effetti più
nefasti del secondo conflitto mondiale, oltre ad essere un importante
segnale di giustizia storica, segna il primato indiscusso dei valori
fondamentali della nostra Costituzione.
Questa decisione può
ha di fatto riaperto i contenziosi promossi da cittadini italiani
contro lo Stato Tedesco e la riaffermazione del primato dei diritti
umani sulla ragion di Stati.
Sono 30 mila, secondo gli ultimi conteggi, i morti delle stragi nell’Italia occupata dal 1943 al 1945: antifascisti, ebrei, partigiani catturati e uccisi, persone senza collocazione politica, persino fascisti senza ruoli nella repubblichina, morti insieme agli altri in massacri indiscriminati. Ci furono poche condanne dopo la guerra, poi tutto fu nascosto in un armadio, l’armadio della vergogna. Finita la guerra fredda e riunificata la Germania, nel 1994 i fascicoli sono stati ripresi per celebrare alcuni dibattimenti importanti. Quell’archivio, appunto, comprendeva anche eccidi di ebrei, sicché le stragi, la Shoah e l’armadio della vergogna si intersecano in molti modi.
Lo Stato tedesco non ha mai consegnato i colpevoli, neanche dopo le condanne definitive, neppure Heinrich Nordhorn, l’ultimo condannato in Italia per assassinio di ebrei, né Wilhelm Kusterer con due ergastoli per almeno 1.147 morti, che l’anno scorso ha avuto la medaglia d’onore dal sindaco di Engelsbrand, il suo comune. La Germania non ha mai risarcito le famiglie delle vittime, un debito di molti miliardi. Del resto non ha mai risarcito nemmeno per le deportazioni. E anche lì ci sono morti: quelli uccisi selettivamente nei Lager, quelli che si spensero di stenti durante l'internamento, quello che morirono dopo il ritorno in Italia.
Comunque la Germania ha agito davanti
alla Corte internazionale dell’Aia, costruendo a tavolino una
colpa italiana: «Superior stabat lupus, longeque inferior agnus…».
L’agnello della favola seppe almeno rispondere un po’ meglio,
invece la difesa italiana è stata deludente, e nel 2012 l’Italia
è stata condannata per aver osato pignorare qualche proprietà
statale tedesca. C’è voluta una sentenza della Corte
costituzionale, appunto la 238 del 2014, per ristabilire il diritto
ai risarcimenti e sbarrare la strada alla licenza di uccidere per
ragion di Stato, un principio che la decisione dell’Aja voleva
buono per la Seconda guerra mondiale e anche per oggi, per domani e
sempre.L'Italia non si e' difesa, o meglio ha giocat deliberataente a perdere la causa.
Dopo il 2014 in Italia ci sono state altre condanne civili dello Stato tedesco, per deportazioni e stragi, e hanno superato il vaglio della Cassazione. Da ultimo (Cass. sezioni unite civili, 3 maggio 2016, dep. 29 luglio 2016, n. 15812, e poi Cass. sezioni unite civili, 20 dicembre 2016, dep. 13 gennaio 2017, n. 762, dove si legge: «L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti iure imperii costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 238 del 2014, per i delicta imperii, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali (Cass. sezioni unite 15812/2016). (…) Allo Stato straniero non è accordata un’immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, in presenza di comportamenti di tale gravità da configurarsi quali crimini contro l’umanità che, in quanto lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, segnano il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità» (Cass. sezioni unite 14201/2008; Cass. sezioni unite 5044/2004; Cass. sezione prima 11163/2011).
Prima del 2014, forse dando per scontato che l’Aja avesse detto l’ultima parola, erano state avviate trattative per sole attività memoriali a spese dei tedeschi: le chiamano «riparatorie». Magia del linguaggio: cosa non si inventa, per togliere al risarcimento il corpo e lasciargli l’ombra. Così, in un apposito capitolo della sua finanza pubblica, il Deutsch-Italienischer Zukunftsfonds (Fondo per il futuro), Berlino ha messo un po’ di denaro per ricerche, film, lapidi, esposizioni. Fra le più importanti iniziative c’è l’Atlante delle stragi, un contenitore di episodi di sangue consultabile in rete, che presto sarà stampato. È un ampio repertorio, anche se robotico, condizionato dai tecnicismi e dagli incasellamenti della ricerca informatica.
L’esito di tutto questo è così riassumibile: le famiglie a mani vuote, spiccioli per gli storici e gli enti locali. Secondo qualcuno bisogna ringraziare, e infatti alle presentazioni di queste cose i funzionari tedeschi sono stati accolti come benefattori, ripetendo «memoria», «riconciliazione», «Europa». Però, adesso che gli incontri non si fanno più nei circoli per specialisti, ma nei luoghi degli eccidi, in convegni dove lo storico e il funzionario tedesco si scambiano cortesie mentre un notabile locale dice qualcosa, e nel pubblico ci sono i parenti delle vittime, è diverso.
I conti svelano una realtà imbarazzante. Il Fondo per il futuro costa alla Germania quattro milioni (stanziati, per ora hanno speso di meno). E poi – si è saputo da un’iniziativa di parlamentari tedeschi – più della metà di quanto è stato speso o impegnato è destinata a restare a Schöneweide, per qualcosa che le vittime di stragi e deportazioni vedranno in fotografia. Colmo di paradosso, dal Fondo si trarrà un vantaggio economico a Berlino, e per saperlo bisogna leggere i resoconti del Bundestag, perché l’Italia è distratta.
Ma poniamo che il Fondo spenda tutti i quattro milioni per attività memoriali. Se i morti sono 30 mila, a ogni vittima corrispondono ochi spiccioli. Vale così poco, il colonnello Cordero di Montezemolo massacrato alle Ardeatine. E sempre alle Ardeatine, vale così Michele Di Veroli, il più piccolo, un ebreo di quindici anni, alla stregua di don Alcide Lazzeri che a Civitella non abbandonò i fedeli. E lo stesso per Genny Bibolotti Marsili, che a Sant’Anna di Stazzema scagliò uno zoccolo contro un soldato e morì salvando suo figlio. E cosi' per i 10 giovani partigiani italiani assassinati a Bussi sul Tirino.
Eppure, la Germania con le iniziative memoriali fa «un gesto di generosità». Lo scrive la Commissione storica italo-tedesca, quella annunciata a novembre 2008 dai ministri degli esteri Frattini e Steinmeier, a un vertice bilaterale governativo svolto a Trieste. Una vicenda dalla tempistica interessante. Era già cominciata la crisi economica, la Lehman Brothers era appena fallita, e proprio nel 2008, prima a maggio con le sezioni unite civili (6 maggio 2008, dep. 29 maggio 2008, n. 14199), e poi a ottobre con la prima sezione penale (21 ottobre 2008, dep. 13 gennaio 2009, n. 1072), la Cassazione aveva consolidato il suo orientamento: lo Stato tedesco deve risarcire i cittadini italiani. A novembre, appunto, Berlusconi incontrò Angela Merkel, e al vertice fu significativa la presenza di capitani d’industria dei due paesi.
Per qualcuno la decisione della Consulta sembra proprio indigesta. Gli studiosi promotori del convegno sono seri, nei documenti di convocazione ci si ripromette «the necessary confidentiality», si respira un’aria distesa, si vuole uno spirito «forward-looking and conciliatory». La posta in gioco è di miliardi, non sono mene da azzeccagarbugli, e per questo si muove il prestigioso Istituto Max Planck. A finanziare è anche la Fondazione Fritz Thyssen, intitolata a un nazista. Thyssen, ecco un nome caloroso, mica freddo come gli elenchi di morti. La ThyssenKrupp, sette operai bruciati a Torino nel 2007, le fonderie di Terni. A proposito, chi si rivede: fra i capitani d’industria presenti al vertice di Trieste del 2008, c’era proprio il presidente della ThyssenKrupp (lo notò anche Il Sole 24 Ore).
Fa piacere ricordare che fra i giudici del collegio, nella sentenza del 2014 della Corte costituzionale, c’era lo stesso Sergio Mattarella. E va sottolineato che adesso c’è un ulteriore ridimensionamento dell’immunità giurisdizionale degli Stati: è nel JASTA, Justice Against Sponsor of Terrorism Act, recentemente approvato negli Usa. Chi non digerisce la Consulta dovrà anche rodere l’osso di una decisione del Congresso.
Il riparazionismo è una memoria senza
giustizia. Il risarcimento è sostituito da una narrazione
spettacolare, cioè da una ripetizione del trauma con altri mezzi,
mentre il reo-debitore protegge con manovre furbe il suo
inadempimento. Occorre sempre ricordare e mai dimenticare, risarcire e fare giustizia.
Riferimenti:
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/04/30/22G00049/sg
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2022;36
https://www.senato.it/attualita/archivio-notizie?nid=31268#
https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-762-del-13-01-2017
http://www.anrp.it/cassazione-gli-schiavi-hitler-germania-italia-devono-risarcire/
http://www.marinacastellaneta.it/blog/wp-content/uploads/2019/09/cassazione.pdf
https://www.jolau.com/wp-content/uploads/2018/10/Sentenza-Ferrini-5044-04-2.pdf
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/06/niente-risarcimenti-alle-vittime.html
https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2022/05/quella-strage-nazista-in-italia.html
Post scriptum
La sentenza della Cassazione del 2008 era stata considerata un ‘precedente storico’ sancendo per la prima volta il diritto per le vittime delle stragi naziste ad essere risarcite nell’ambito di un procedimento penale. Prima di allora c’erano state solo delle sentenze nelle cause civili per risarcimento danni chiesto dai cosiddetti ‘schiavi di Hitler‘. Nessun altro Paese al mondo aveva mai intentato cause di risarcimento nei confronti della Germania in ottemperanza alla clausola dell’immunità giurisdizionale. Ed il contenzioso tra Roma e Berlino ha portato all’iscrizione di un’ipoteca giudiziaria su Villa Vigoni, centro culturale italo-tedesco in provincia di Como.
Nell’ottobre del 2014, la Corte costituzionale, con sentenza 238/14, dichiarava l’illegittimità costituzionale della L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3, nonchè norme di adeguamento dell’ordinamento interno e dichiarava l’illegittimità costituzionale della L. 17 agosto 1957, n. 848, art. 1 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.
Da ultimo, Cass. sezioni unite civili, 3 maggio 2016, dep. 29 luglio 2016, n. 15812. Da ultimissimo, fresca di deposito, Cass. sezioni unite civili, 20 dicembre 2016, dep. 13 gennaio 2017, n. 762, dove si legge: «L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti iure imperii costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 238 del 2014, per i delicta imperii, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali (Cass. sezioni unite 15812/2016). (…) Allo Stato straniero non è accordata un’immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, in presenza di comportamenti di tale gravità da configurarsi quali crimini contro l’umanità che, in quanto lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, segnano il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità» (Cass. sezioni unite 14201/2008; Cass. sezioni unite 5044/2004; Cass. sezione prima 11163/2011).
Nel 2008 la prima sezione penale della
Corte di Cassazione aveva stabilito che la Germania doveva risarcire
i danni civili provocati alle vittime della strage nazifascista di
Civitella, Cornia e San Pancrazio del 29 giugno del '44. La sentenza
respinse così il ricorso della Repubblica federale di Germania che
chiedeva l'immunita' sulla base della Convenzione di Vienna del '61 e
del Trattato nazionale di pace stipulato con l'Italia. La decisione
(che riguarda le 203 vittime della strage del 44) sembrerebbe aprire
la strada a circa 10.000 cause di vittime del nazismo. La Cassazione
in particolare ha confermato una precedente decisione della Corte
militare d'Appello di Roma rendendo definitivo l'ergastolo nei
confronti di Josef Milde dell'esercito tedesco e confermando la
condanna della Germania al pagamento dei danni, in solido con Milde,
per nove parenti delle vittime. Allineandosi alle richieste della
Procura militare, la Corte ha respinto la tesi della Germania che
sosteneva il difetto di giurisdizione del nostro paese. Secondo
piazza Cavour i crimini contro l'umanita', come quello avvenuto con
la strage nazifascista del '44, non sono coperti da immunita'. Si
tratta di una sentenza che non ha precedenti giacché stabilisce il
principio per cui un paese puo' essere chiamato in giudizio, in sede
penale, per la responsabilita' civile.
La Cassazione, con la sentenza del 25 giugno 2019, dep. 3 settembre 2019, n. 21995, si è pronunciata di nuovo in tema di esecuzione forzata su beni di uno Stato estero.
La controversia riguarda la realizzazione del credito di un ente greco, a seguito della strage di Distomo del 1944. Il titolo esecutivo, una sentenza greca resa esecutiva in Italia, è lo stesso fatto valere nella vertenza su Villa Vigoni, un immobile in Lombardia, decisa da Cass. 26 ottobre 2017, dep. 8 giugno 2018, n. 14885. Stavolta non c’è un’esecuzione immobiliare ma un pignoramento presso terzi: i crediti che la Deutsche Bahn vanta nei confronti di Rete ferroviaria italiana e di Trenitalia.
La nuova pronuncia, al di là degli aspetti procedurali contingenti, si segnala, oltre che per l’attenzione al rapporto fra giurisdizione e titolo esecutivo, anche per alcune affermazioni a tutela di tutti i soggetti creditori degli Stati, che è bene sottolineare.
Anzitutto, nel percorso motivazionale c’è un’osservazione che sembra riguardare solo il passato, e invece ha un senso più ampio. Il suo presupposto è la decisione della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, che aveva sancito l’immunità statuale nella sua massima estensione. La Cassazione dice: «La sentenza della Corte internazionale di giustizia non vincola direttamente, siccome resa in una controversia tra soggetti di diritto internazionale quali due Stati sovrani (quali la Repubblica federale tedesca e la Repubblica italiana, con intervento volontario di un terzo, la Repubblica ellenica), né i soggetti, né gli organi, tra cui quelli giurisdizionali, di cittadinanza di uno di quelli, essendo gli uni e gli altri assoggettati soltanto alle norme di diritto interno o nazionale: tant’è vero che è stata necessaria una legge di recepimento».
Dopo il provvedimento de L’Aia datato 2012 e prima della legge, per un anno, i giudici italiani potessero già considerare la decisione della Corte internazionale come un punto di vista, per quanto autorevole, senza effetti vincolanti. E ciò, anche tenendo conto del fatto che a L’Aia ai creditori non era stata data la possibilità di comparire, sicché un effetto vincolante avrebbe reso operativo nei loro confronti l’esito di un processo in cui non avevano potuto difendersi. Va detto che in quel periodo, da febbraio 2012 a gennaio 2013, in Italia nessuna pronuncia prese questa direzione. Resta, per il presente, l’orientamento di fondo: quell’ingresso delle decisioni de L’Aia nel diritto interno non deriva da altre norme, evidentemente neppure dall’art. 10 della Costituzione.
Con la sentenza n. 238 del 2014 della Corte costituzionale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale proprio dell’art. 3 della legge del 2013 n. 5, e dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957 n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite), «nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona». Ora, dunque, quando si tratta di crimini di guerra e contro l’umanità, la giurisdizione nei confronti di uno Stato estero è certa, e su questo, in via generale, la pronuncia di quest’estate non sembrerebbe contenere rilevanti novità.
A protezione dei titolari di questi crediti, la Cassazione ha collocato un ulteriore, robusto argomento: «L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti iure imperii costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività o applicabilità in Italia è comunque preclusa nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 238 del 2014, per i delicta imperii, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, siccome lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali (in tali espressi termini: Cass. Ss.Uu. 29 luglio 2016, n. 15812; Cass. Ss.Uu. 28 ottobre 2015, n. 21946). Ne consegue che i giudici italiani, sia quelli investiti del giudizio di cognizione che quelli incaricati dell’esecuzione dei titoli giudiziali legittimamente formati in base alle regole di rito, hanno il dovere istituzionale, in ineludibile ossequio all’assetto normativo determinato dalla sentenza n. 238 del 2014 della Consulta, di negare ogni esenzione da quella giurisdizione sulla responsabilità altrove riconosciuta che fosse invocata davanti a loro, tanto nella sede propria del giudizio di cognizione o di delibazione della sentenza straniera, quanto nella sede […] dell’esecuzione forzata fondata su questa». Molto chiaro: gli effetti della sentenza del 2014 non riguardano solo il processo di cognizione, ma anche quello di esecuzione».
Il diritto al giudice e a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti inviolabili è sicuramente tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni sistema democratico del nostro tempo.
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