BIOGRAFIA

4.7.20

USTICA: STRAGE DI STATI ALLEATI!


Relitto del Dc9 Itavia - foto Gianni Lannes
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di Gianni Lannes

 

Segreti, menzogne e depistaggi mondiali di militari, politicanti, magistrati, giornalisti, nonché di sedicenti esperti telecomandati (a partire dal criminale Cossiga e così via). Perché dopo 40 anni la strage del 27 giugno 1980 in cui persero la vita 81 persone (senza contare quelle eliminate negli anni a seguire) è ancora una verità indicibile? A conti fatti l'Italia nel 2020 non è più uno Stato a sovranità limitata, bensì azzerata.

 

 

Ecco la prima grande menzogna dello Stato Maggiore Aeronautica tricolore, che depistò anche le ricerche. Il Dc9 Itavia ammarò (e non si schiantò) nonostante i danni subiti, al largo di Ponza e Ventotene, non di Ustica (atto del primo depistaggio istituzionale), alle 21 circa. Ufficialmente il suo punto di scomparsa dagli schermi radar di Ciampino (dispositivi Selenia e Marconi), rilevabile fino ad una quota minima di 8 mila piedi, in prossimità del punto Condor, ovvero l’intersezione tra l’aerovia civile Ambra 13 e quella militare Delta Whiskey 12, era il seguente: 39°43’N – 12° 55’E. Racconta Daria Bonfietti, presidente dell'associazione vittime della strage di Ustica: «L'aereo è dato per disperso alle 5 della mattina. Non capivamo. Cosa vuol dire un aereo dato per disperso? E' caduto, è stato dirottato? Cosa è successo»?

Alle 9 del mattino seguente, subito dopo l’affondamento del velivolo, affiorano i primi cadaveri. Il tenente di vascello Sergio Bonifacio all’epoca ha dichiarato ai magistrati (militari e civili) che, partito con il Breguet Atlantic alle 3,10 del 28 giugno 1980 dalla base di Cagliari, scorge all’alba, subito dopo che un elicottero del soccorso aereo aveva segnalato una vasta macchia d’olio, la sagoma del Dc9 che ancora galleggiava a pelo d’acqua. Ecco in sintesi il primo resoconto ufficiale della Marina Militare, insabbiato in un cassetto per anni.

Quante furono effettivamente le salme recuperate? Quanti erano realmente i cadaveri raccolti a bordo della nave Andrea Doria: 39 o 42? E perché non furono effettuate le autopsie, specialmente dei carabinieri imbarcati (in forza al VII battaglione Laives), Giuseppe Cammarata e Giacomo Guerino? Il punto cruciale è che se avessero effettuato le autopsie e, non le osservazioni visive delle vittime, sarebbero emersi i casi di annegamento. In parole povere: questa prova - se accertata nell'immediatezza dei fatti - avrebbe inequivocabilmente documentato la sopravvivenza dei passeggeri. Altro che esplosione e disintegrazione in volo del Dc9 Itavia. Balle di Stato!

La parola d'ordine (non scritta) del governo Cossiga, messa in pratica dai vertici militari fedeli al patto atlantico ma non alla Costituzione repubblicana? Non dovevano esserci assolutamente sopravvissuti. Gli affari nucleari, petroliferi e bellici, prima di tutto, anzi soprattutto.

Nell’estate del 1990, un ex sottufficiale della Marina (Gildo Cosmai), ha raccontato sulle pagine del Gazzettino di Venezia, quella tremenda giornata, confermata anche da un radiotelegrafista (Giampiero Roccasalva) e dal giornale di bordo dell'Andrea Doria:


«In tanti abbiamo visto un ragazzo tirato fuori dall’acqua praticamente intatto. Non era gonfio d’acqua come gli altri, non era sfigurato dalla lunga permanenza in acqua. Aveva i jeans ed una camicia dalle maniche lunghe. Quella destra era arrotolata, quella sinistra era strappata ed era legata sopra il ginocchio destro, quasi come un laccio emostatico».

Proteo - nave militare abilitata ai soccorsi in mare - all’ancora nel porto di Napoli, a poca distanza dal punto di ammaraggio, non riceve alcun allarme. Non viene allertato neppure un elicottero SH-3D della Maristaeli di Catania, che ha appena trasportato sull’isola di Ustica il ministro della Marina Mercantile Nicola Signorello, per consentirgli di partecipare ad una festa.

Ancora più inquietante è il fatto documentato anche in sede giudiziaria (il tracciato radar di Marsala), che un elicottero militare dell’Us Navy recupera in mare un pilota che si era lanciato con il paracadute dopo la battaglia aerea, ma non presta alcun soccorso ai civili.

Ci sono poi altri due Atlantic Breguet, aerei dotati di sofisticate apparecchiature per la caccia ai sommergibili, in grado di scrutare addirittura sott’acqua nottetempo, che partiti da Cagliari-Elmas prima della tragedia del Dc9 per “esercitazioni a bassa quota”, vengono fatti rientrare alla base rispettivamente due ore e mezzo dopo il disastro, senza essere mai stati avvisati dell’accaduto. Decisamente singolare è il comportamento del secondo Atlantic Breguet: decollato da Cagliari alle 18,30, compie esercitazioni al largo della Sicilia orientale e rientra nel capoluogo sardo alle 0,30, di certo ignaro di sorvolare un tratto di mare sulla zona del disastro. Come ammesso dal ministro della difesa Zanone, quella sera l’Aeronautica militare aveva in volo ben 4 velivoli; due di essi erano i PD 808, adibiti alla guerra elettronica. Lo stesso generale dell’Ami, Franco Pisano, nella relazione al ministro della difesa in data 17 marzo 1989, scrive: «fase iniziale di incertezza» (si può leggere negli allegati non pubblici del rapporto).

In sostanza, i vertici militari fecero di tutto per ritardare i soccorsi, e la stessa Marina Militare si prodigò in tal senso. Inoltre, lo stato maggiore della difesa e quello della marina, eppure alcune esercitazioni ci furono eccome. Basta, infatti, leggere il notiziario della Rivista marittima, organo ufficiale della marina militare, per accorgersene. A pagina 119 del numero di agosto-settembre 1980, è scritto testualmente: «Nei giorni 26 e 27 giugno si è svolta nelle acque del poligono di Teulada un’esercitazione di tiri contro costa diurni e notturni con la partecipazione delle seguenti unità: caccia lanciamissili Ardito, Audace, Impavido; caccia Impetuoso e Indomito; caccia Guépratie e corvetta Drogou della marina  francese. hanno concorso all’esercitazione, come unità per lo sgombero del poligono di tiro, le fregate Bergamini e Centauro». Come molti sanno il poligono di Teulada è posizionato nella costa orientale della Sardegna, a un centinaio di miglia dal tratto di mare in cui vennero trovati i cadaveri dei passeggeri del Dc9 Itavia. Eppure nessuna di queste navi venne allertata e diretta sul luogo del disastro. Un militare della fregata Bergamini, che partecipò alla suddetta esercitazione di guerra in tempo di pace, ha dichiarato che venne impartito l’ordine di dirigersi verso il porto di La Spezia, dove la nave giunse la mattina del 28 giugno. Vale a dire, prima ancora che altre navi arrivassero nella zona della tragedia. Avvisate in tempo, la fregata Bergamini e le altre navi che avevano partecipato all’esercitazione non sarebbero giunte prima? Perché si preferì allertare il Doria che era in porto a Cagliari e che levò le ancore soltanto alle ore 1,30 del 28 giugno, ossia 4 ore e mezza dopo il disastro. Perché la fregata Alpino levò le ancore soltanto alle 2,30 e l’altra fregata Orsa avviò le macchine alle 6,45? Quella sera, dai dati ufficiali in mio possesso, l’incrociatore Vittorio Veneto, aveva gettato le ancora nei pressi dell’isola di Ustica, unitamente a numerose unità navali dell’alleanza atlantica, dopo aver preso parte ad un’esercitazione segreta della Nato. Anche questa unità navale italiana ricevette l'ordine di rientro immediato a La Spezia. Perché?

All’epoca, l’ammiraglio Giovanni Torrisi, già iscritto alla P2, era a capo dello stato maggiore della difesa, già capo di stato maggiore della marina militare tricolore. Lo stesso Torrisi, sedeva nel consiglio di amministrazione di una fantomatica società di prospezioni subacquee, costituita a Roma, che nel luglio del 1980 operò indisturbatamente sui fondali dove si era inabissato il Dc9 Itavia. Su tutto questo ed altro ancora, i magistrati italiani, hanno sorvolato come se niente fosse, incluso Priore, che ha fatto un sacco di confusione e denota amnesie nei suoi resoconti finali.







La responsabilità di Washington. Questo è il primo documento ufficiale del governo degli Stati Uniti d'America che ha sempre sostenuto di non essersene mai occupato. La firma è dell'allora sottosegretario di Stato, Warren Christopher, che già alle ore 23 del 27 giugno 1980 è allertato per sollecitare l'invio di tutti i dettagli sul cosiddetto incidente. Agli atti giudiziari esistono migliaia di pagine sotto forma di telex top secret, grondanti di omissis. Si tratta di atti trasmessi dall'ambasciata statunitense di Roma al dipartimento di Stato a Washington e viceversa, che datano dal 1980 all'anno 2000. Un fermento ingiustificato dato che il governo a stelle e strisce si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda. Rivela il magistrato Erminio Amelio, che unitamente al procuratore aggiunto Maria Monteleone, della procura di Roma aveva invano riaperto l'inchiesta: «Alla richiesta di rogatoria fatta dai giudici hanno risposto: se volete vi mandiamo la rassegna stampa».

La sera del 27 giugno 1980 un Phantom era in volo da Verona a Sigonella, ma il caccia United States of America non è mai arrivato a destinazione. E i due piloti, Reinhold e Davitt sono “scomparsi” (resi inoperativi). Sempre quella stessa notte ben 3 pattugliatori nordamericani P3C Orion erano decollati da Sigonella, per setacciare la Sila, alla ricerca di un aereo precipitato. C'entra qualcosa la carlinga del Phantom ripescata casualmente al largo di Gaeta nel 2000 da un peschereccio? Ma chi erano i piloti salvati da un elicottero decollato quella sera di 40 anni fa dalla portaerei Saratoga, in prossimità del punto di ammaraggio del Dc9 Itavia? E perché i magistrati inquirenti, da Guarino a Santacroce, da Bucarelli a Priore, non l'hanno mai accertato? Addirittura il magistrato Santacroce (figlio di un giudice militare) è stato premiato in seguito con il posto di primo presidente della Cassazione.

Perché le autorità yankee hanno messo in piedi in tutta fretta una commissione d'inchiesta all'ambasciata di via Veneto? E per quale ragione hanno secretato una marea di documenti? Quale nazione alleata copre e protegge tuttora la White House? Forse Tel Aviv? Daria Bonfietti, che nella deliberata strage ha perso il fratello Alberto, in un'intervista video (realizzata a Bologna nel museo della memoria), mi ha detto:


«Credo che la magistratura in poche parole abbia concluso il suo compito. Dalla magistratura altro non ci si può aspettare. Credo che il problema si sposti, come dico già da tempo e si debba spostare, a livello politico».

Ancora oggi, nonostante i proclami governativi e parlamentari, numerosi documenti - relativi alla strage - risultano ancora classificati e dunque inaccessibili ai comuni mortali. Ai giornalisti liberi e indipendenti spetta il compito di raccontare i fatti, di ricostruire circostanze ed eventi; in particolare quelli che non ha ancora narrato nessuno, come in questo caso.


Riferimenti: