BIOGRAFIA

25.11.18

NIENTE CALCI DI PUNIZIONE!


foto Gilan
 
di Gianni Lannes

C'è un altro Sud, vivo, positivo e propositivo dove da una famiglia particolare emergono i campioni dell'esistenza. Andrea, sette primavere, è un mancino ma calcia il pallone con entrambi i piedi. Francesco, quasi 10 anni è un difensore arcigno che scatta anche di testa. Antonio, un bimbo dai grandi occhi azzurri - appena sbocciato dall'asilo - scandisce con cura: «È bello giocare a pallone qui all’aria aperta». Ivan il portiere sembra un ragno, vola ovunque a tessere la sua tela per rendere la porta che difende impenetrabile. Più che competizione, è pura passione. 


Un luogo di aggregazione per tanti discoli strappati alla strada da un papà particolare, nella scuola calcio della parrocchia Lourdes di Orta Nova nell’antica Daunia. In questa isola felice è bandita qualsiasi violenza. Un miracolo nella stagione del disamore dove tutto ha un prezzo? Ecco una scuola di vita italiana che sottrae concretamente l’infanzia e l’adolescenza alla marginalità, valorizzando l'empatia dei talenti umani. Il campo di terra battuta, provvisto di porte e reti, non è molto grande ma è una meraviglia per i 40 tra bambini e ragazzi (dai 6 ai 14 anni) che lo frequentano due-tre giorni ogni settimana, con trasferte agonistiche nella Capitanata. In loco una volta c’era il famelico degrado del vuoto e i bimbi inseguivano il pallone in mezzo alle automobili scansando trattori; ora splende la bellezza e c’è più d’una squadra. Questo fazzoletto luminoso di polvere e fango dove spesso tira vento su impulso di un uomo lontano dai riflettori, è stato costruito da pargoli e adolescenti nel giro di alcune generazioni a partire dai primi anni ’90. Loro, i piccoli calciatori in erba, corrono, imprecano, si allenano e si divertono un mondo sotto la guida di Giuseppe Giuliani. L’allenatore che naviga sui 72 anni (un signore pensionato con un passato lavorativo all’Intendenza di Finanza e all’Agenzia delle Entrate, ha iniziato la sua attività sportiva per 20 anni alla parrocchia di San Ciro di Foggia) dedica tutto il suo tempo a chi si è appena affacciato all’esistenza. 

 
foto Gilan


Ci mettono l’anima per essere educati alla responsabilità. non tifosi ma sportivi partecipi in spirito d'amicizia e lealtà. «Qui al “Gruppo Sportivo Lourdes” la maestria nel gioco del calcio è relativa, conta soprattutto per i minori l’esperienza di vita dentro e fuori dalla partita di calcio. Il primo obiettivo è far germogliare il senso di responsabilità. Noi offriamo prima di tutto un comportamento di vita a questi ragazzi. Da qui è uscito Fabio Troccoli che abbiamo ceduto a 17 anni al Foggia di Zeman in serie A,e poi Curci al Manfredonia, in cambio di palloni e tenute da calcio. La parte più bella e significativa è che i piccoli calciatori sono felici. Oggi da me vengono i nipoti ad apprendere i rudimenti del calcio e per ricordare i loro genitori o nonni» racconta il vecchio mister.

 
foto Gilan

 
In questa dimenticata periferia meridionale della Capitanata, dove comunque è un pullulare di scuole calcio sorte su iniziativa privata e senza alcun sostegno pubblico o scopo di mero lucro, si è al cospetto prima di tutto d'una scuola di vita, una scommessa vinta da tempo in un territorio dove imperversa e spadroneggia la criminalità organizzata. Il motto è disarmante: nessuno escluso. Armonia e gratuità: quasi un miracolo in questa scuola calcio d’altri tempi, dove chi non ha i soldi per la retta mensile (10 euro) può giocare comunque con gli altri. Il primo dono: l’allenatore che regala un paio di scarpe da calcio ad ogni nuovo arrivato.

L'influenza dell'allenatore a quest'età è decisiva. Un buon allenatore deve conoscere bene non solo i suoi ragazzi uno per uno, ma anche le dinamiche del gruppo, cercando di comprendere quando imporre la serietà e quando invece è il momento di scherzare con loro. Deve avere polso, richiamare, ma anche incoraggiare la solidarietà. 

foto Gilan
 
«Non  ci  sono  bambini  incapaci  a  questa  età:  tutti  devono  poter  giocare  perché  conta più questo del risultato. Se nessuno si sente tagliato fuori, partecipa meglio alla vita del gruppo. Facendo capire che la crescita di tutta la  squadra,  di  tutto  il  gruppo conta più  dei punti in classifica, mostra ai bambini come  la  solidarietà,  l'aiuto  reciproco,  il  volersi bene, valga molto di più Questa consapevolezza diventa fondamentale nel momento delle sconfitte: sono  momenti, questi, che si  prestano alla ricerca dei colpevoli. Se non esiste un clima di salda e sincera  amicizia, si  finisce per isolare e demonizzare il presunto o i presunti  responsabili  dell'insuccesso e talvolta è l’allenatore stesso che contribuisce purtroppo  a  questo  processo  sommario dimenticando quelle che sono le finalità ed i giusti principi  che  muovono la sua attività. In un clima sereno e divertente i bambini, assai motivati dal contesto positivo,  impareranno a rinunciare a qualcosa di sé stessi:  chi  l'arroganza, chi la timidezza, chi l'egocentrismo. Crescendo imparano anche  a  dialogare  su temi nuovi che siano altro dal calcio» racconta mister Giuliani.  

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Racconta una mamma da Milano: «Qui al nord non è più così, ho amici con figli che fanno calcio, ma gli insegnano già la competizione, li schedano se sono leader o meno.. i genitori li seguono ossessivamente, vivono la vita dei loro figli. Sono catapultati subito in quel sistema che li risucchia e li giudica fin da piccoli e li fa crescere insicuri, proprio perché vivono solo le aspettative dei grandi e non il gusto del gioco fine a sé stesso. Genitori e allenatori che problematizzano i caratteri dei bambini». 

foto Gilan
 
Giocare, correre dietro un pallone, vivere e confrontarsi liberamente con i propri  coetanei sono non solo attività preferite dai bambini, ma anche finalità ed  obiettivi sui quali dovrebbe reggersi qualsiasi scuola calcio, emarginando ed escludendo ogni forma di competizione violenta ed agonismo esasperato, deleteri per un felice e sano sviluppo del bambino, l’adulto di domani. La leva calcistica del  '68 di Francesco De Gregori dipinge un bambino gracile, ma  determinato, al quale si può consigliare: «Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/Non è mica da questi particolari/Che si giudica un giocatore/Un giocatore lo vedi dal coraggio/Dall'altruismo e dalla fantasia». Vincere? Meglio partecipare. Allora, più pedagogia e meno economia: i bambini sono presente e futuro della vita.


SCUOLA CALCIO


I grandi lavorano, i piccoli giocano. Del resto, giocare è una delle attività più importanti per lo sviluppo dei bambini. Il gioco è fondamentale perché è il modo in cui i bimbi conoscono il mondo e crescono. Non è qualcosa che riempie dei vuoti tra un'attività e l'altra, ma è l'attività per eccellenza che loro utilizzano per scoprire tutto ciò che li circonda. I bambini cominciano a giocare fin da subito, anche se noi non ce ne accorgiamo. Quando i neonati portano il piedino alla bocca, ad esempio, è una prima forma di divertimento. Fino ai 5-6 anni, poi, il gioco è fondamentale e anche le attività parasportive dovrebbero avere una base fortemente ludica. Tutto ciò che è pseudo-agonismo, cioè che si configura come un impegno per il bambino, dovrebbe cominciare alle elementari. La dimensione ludica, poi, continua anche alle medie, alle superiori e permane fino nell'età adulta, anche se il tempo a disposizione si riduce notevolmente. Più i bambini crescono, più i giochi diventano importanti e strutturati. All'inizio stanno vicini agli altri bambini, poi giocano insieme e, infine, cominciano a giocare in gruppo. I giochi di gruppo iniziano alle elementari perché è il momento in cui i piccoli hanno imparato a socializzare e a interiorizzare una serie di regole sociali che a tre anni non possono avere. Iniziano dunque a provare piacere a fare giochi sempre più articolati insieme agli altri bambini, ma per farlo devono essere in grado di pensare e rispettare le regole. Lasciare liberi i bambini di giocare a correre, prendersi e acchiapparsi, anche solo mezz'ora al giorno, ha l'importante funzione di tirare fuori la loro energia e sfogarsi.

La domanda diffusa e crescente di una diversa qualità della vita individuale e  collettiva, ha fatto sì che il momento ludico diventasse uno dei momenti   aggregativi della nostra società. Oltre al carattere di espressione fisica e psichica, il gioco ha così acquisito quello di crescita culturale e civile. Non solo svago, cura e  difesa  della salute ma anche cura del movimento e del  corpo; non  solo mezzo per  raggiungere risultati nelle competizioni ma anche opportunità di vivere insieme agli altri. Né può essere dimenticata la funzione educativa del gioco all’interno delle strutture scolastiche ed associative in  genere: le scuole o le associazioni  difatti dovrebbero educare fisicamente i giovani a far nascere lo sportivo  del  domani, uno sportivo che non confonda la competizione con l’aggressività, il tifo con la violenza, la cultura del corpo con l’esibizione fine a se stessa. Educare allo  sport significa anche e soprattutto educare al vivere civile: troppo spesso   leggiamo di incidenti durante manifestazioni sportive, troppo spesso l’agonismo     esasperato e l’individualismo esibizionista prendono il posto di quello che è il vero gusto della competizione ed il piacere di una pratica individuale e collettiva. Il  calcio  ad  esempio  è  una di quelle discipline  maggiormente “inquinate” da  esasperazioni, scandali, processi, violenze e simili aspetti negativi, talvolta, giungono a contaminare anche quei centri dove i  bambini si avviano alla pratica di tale sport, dove giocando e correndo dietro una palla sognano di  diventar grandi campioni. La scuola calcio è rappresentata come un'occasione ed un luogo di gioco, entro il quale i bambini possono veder soddisfatta l'esigenza ludica di cui sono portatori. La scuola calcio è descritta come dotata di una valenza educativa, in quanto strumento di socializzazione e di  trasmissione dei valori di solidarietà e   di   rispetto che accompagnano la partecipazione guidata alla vita del gruppo ed alla pratica sportiva. Spesso le persone che operano con i bambini si sentono in primis educatori, e poi allenatori. 

Ci sono tanti casi di ragazzini problematici ("timidi",  "taciturni",  "isolati") che attraverso  la  socializzazione indotta dalla partecipazione alla scuola del calcio hanno mostrato "sorprendenti" cambiamenti. Limite dell’offerta ludico motoria dei centri  di  avviamento al gioco-calcio è il fatto che nel sistema organizzativo, così come negli  atteggiamenti delle famiglie dei ragazzi, essa non trova consenso pieno, ma è   antagonizzata da una declinazione della scuola calcio come momento di   costruzione del futuro calciatore professionale. Calcio ed educazione: è un binomio possibile? Il calcio come educazione è possibile: il calcio come metafora dell'educazione. L'attività sportiva costituisce in sé, nella pratica, nel susseguirsi di allenamenti e partite, nel proporsi di sconfitte e vittorie, una palestra che può rafforzare i messaggi educativi, ma lo stesso ambiente nel quale lo sport si svolge può essere un alleato prezioso per il genitore. Il gioco del calcio, dunque, quale ingrediente ben dosato in un'accurata educazione dei figli, intendendo con tale termine, lo sforzo che i genitori devono fare - è loro compito gravoso - per  sviluppare la personalità del figlio guidandolo ad essere persona matura e completa nella pienezza delle qualità  umane indispensabili. Tra esse si ricordano lealtà, onestà, fedeltà, giustizia, generosità, solidarietà, poiché si diventa "capaci" di tali qualità attraverso la ripetizione di atti virtuosi, ogni occasione per  esercitare le virtù non fa che rafforzare l'abitudine a comportarsi correttamente  nelle varie situazioni. Fare sport per i bambini deve essere piacevole e divertente,  deve essere un’occasione per sviluppare competenze e capacità, per socializzare e trovare nuovi amici. L’allenatore può e deve essere al tempo stesso educatore, istruttore e confidente, specie nel periodo dell'adolescenza. Per i bambini il calcio a questa età deve essere soprattutto divertimento. L'allenatore deve essere capace di tirare fuori da loro quanto di buono hanno innanzitutto come  persone e poi come atleti. Ogni bimbo viene al mondo pieno di promesse, talenti e prodigi. Ogni bambino, verrà influenzato dagli ambienti che lo circondano - alcuni buoni, altri meno - affidandosi al cuore e all'anima per trovare la sua strada nel mondo e diventare un essere umano.

Dal quotidiano L'Attacco, 24 novembre 2018:

L'Attacco, 24 novembre 2018
 L'Attacco, 24 novembre 2018
 L'Attacco, 24 novembre 2018