di Gianni Lannes
Una volta lo Sperone d’Italia era un luogo immune
dal cancro mafioso. Oggi vanno in onda omicidi e lupare
bianche.
L’ultimo assassinio si è consumato martedì mattina, il
19 giugno scorso nell’entroterra di Vieste, in località Mandrione. La vittima Gianmarco
Pecorelli, aveva appena 21 anni. L'ennesima scia di sangue s’è aperta nella perla
garganica, il 26 gennaio 2015, con l’ammazzata di Angelo Notarangelo
(crivellato da colpi d’arma da fuoco), ritenuto dagli inquirenti il capoclan
locale; senza contare qualche anno prima il barbaro duplice omicidio in loco, di due fratelli imprenditori non piegatisi alla criminalità. Solo in loco, in tre anni e mezzo, le statistiche ufficiali hanno
registrato ben 9 omicidi, 4 agguati falliti ed una lupara bianca, nonché il recente ritrovamento da parte di un corpo speciale dei carabinieri (i cacciatori) dei resti umani di due uomini, a Tacco di Lupo e Paradiso Selvaggio.
A proposito, ma Salvini fa solo campagna elettorale? Adesso il ministro dell’Interno (eletto in Calabria) invece di impegnarsi attivamente starnazza un giorno sì e l’altro pure contro i migranti, invece di occuparsi ativamente delle organizzazioni criminali nostrane.
A proposito, ma Salvini fa solo campagna elettorale? Adesso il ministro dell’Interno (eletto in Calabria) invece di impegnarsi attivamente starnazza un giorno sì e l’altro pure contro i migranti, invece di occuparsi ativamente delle organizzazioni criminali nostrane.
Cos’ha trasformato la “Montagna del sole” dove al
massimo si registravano abigeati e speculazioni edilizie sui litorali con il
primo “buon esempio” dell’Eni e Pugnochiuso, in un inferno, cos’ha provocato quest’impennata
criminale che ha preso l’avvio a Peschici negli anni ’90, culminato con un
incendio doloso nel 2007 che rase al suolo vaste distese di pino d’Aleppo e
provocò vittime? Tenendo conto delle illuminanti analisi sociologiche di Sabino Acquaviva, dimenticato padre naturale del parco nazionale istituito nel 1991, è utile indagare sulle cause remote di tali fenomeni.
«il
territorio garganico si conferma fortemente instabile in ragione di una serie
di variabili che influenzano da tempo, l’evoluzione della criminalità mafiosa
nell’area. Nell’ordine, sirilevano la presenza di una pluralità di gruppi
criminali (basati essenzialmente su vincoli familiari e non legati tra loro), l’ascesa
delle giovani leve, desiderose di colmare i vuoti determinati dalla detenzione
di elementi al vertice della mafia garganica (in particolar modo appartenenti
al clan dei montanari) e, non ultima la vicinanza geografica ad altre realtà
mafiose come quella foggiana e cerignolana. A questa frammentazione che si
registra fra i clan del Gargano si aggiunge - prosegue l’analisi della DIA -
che altri gruppi criminali, in particolare quelli di Manfredonia, di Monte Sant’Angelo
e di Mattinata, potrebbero schierarsi in contrapposizione alle consorterie dell’area
garganica, ampliando lo scenario di conflittualità. E’ in tale contesto di
instabilità che è maturata la nuova faida di mafia (sfociata in omicidi,
agguati violenti e lupare bianche) intestino al tessuto criminale locale, i cui
equilibri strutturali - basati sulla commistione tra vecchie gerarchie, vincoli
di familiarità ed alleanze contingenti - sembrano venuti meno, a svantaggio soprattutto
della famiglia malavitosa dei Notarangelo. Sebbene le fibrillazioni più
evidenti si siano registrate a Vieste – teatro dei principali fatti di sangue –
l’intero promontorio garganico risulta interessato da un processo di
rinnovamento dell’ambiente criminale, spinto dalle nuove leve e dalle relative
mire espansionistiche. Gli interessi illeciti, infatti, che Vieste offre specie
nel settore dei stupefacenti ed in quello turistico (strutture ricettive,
ristoranti, guardianie e servizi vari) rendono la città un obiettivo strategico
anche per i sodalizi esterni (…) Per quanto attiene poi al mercato degli
stupefacenti che rimane uno dei principali motivi d’attrito tra i gruppi
criminali, la città di Vieste si conferma snodo attivo per i comuni limitrofi
di Vico del Gargano, Peschici e Rodi Garganico, mentre la relativa area
costiera risulta interessata dagli sbarchi, dall’Albania di ingenti quantitativi
di marijuana».
Ciò che tale rapporto della DIA non sfiora, sono le cruciali
affiliazioni alle n’drine calabresi della costa ionica, ma soprattutto le
responsabilità, anzi omertà istituzionali dello Stato italiano che ha
consegnato questo paradiso alla violenza efferata di manovalanza criminale. Allora, non Stato di Polizia ma democrazia.
Riferimenti: