«Bisogna
mettere fine alla confusione dei ruoli tra governo e magistratura perché l’incertezza
che si è creata sul caso dell’Ilva di Taranto mette a rischio l’intero sistema
industriale italiano». Ultima parola del ministro dell’Industria, pardon
dell’Ambiente. Corrado Clini lancia
l’allarme, preoccupato sia delle ricadute sul piano della credibilità e
affidabilità del sistema Paese nei confronti degli investitori, soprattutto
esteri, sia del fatto che fermare l'impianto a caldo dell'acciaieria
richiederebbe troppo tempo e vorrebbe dire di fatto la chiusura definitiva dell’Ilva.
E l’addio a migliaia di posti di lavoro.
«La finalità dell’azione del Governo verso la magistratura, con il
possibile ricorso alla Consulta che stiamo valutando - scandisce il ministro -
è stabilire i ruoli rispettivi, non di aprire un conflitto». Il fatto è, dichiara
Clini, che il lavoro del gip, pur «scrupoloso e coraggioso» rischia però «di
confliggere con l’esercizio ordinario perché non siamo in presenza di un'amministrazione
inadempiente». Il conflitto di attribuzione, insomma, sarebbe l'ultima ratio,
in caso non si riesca a trovare una soluzione di equilibrio, che tenga insieme
la tutela della salute con quella dei posti di lavoro. Il governo conta molto
sulla missione del 17 agosto, quando Clini,
Severino e Passera (l’ex
banchiere amico dei Riva) saranno a Taranto e incontreranno i dirigenti dell’azienda
e gli amministratori locali. Ma soprattutto, sottolinea Clini «speriamo in un
incontro almeno con il Procuratore capo, perché se riusciamo a trovare un punto
di equilibrio abbiamo risolto i problemi». Peraltro, ha osservato sempre Clini,
a Taranto c’è un conflitto interno alla magistratura, visto che il Tar aveva
valutato troppo severe le indicazioni dell’autorizzazione integrata ambientale
(la nuova, ha garantito, arriverà entro il 30 settembre), mentre il gip le ha
considerate inadeguate. In più, le valutazioni di Todisco, insiste Clini, si
basano su rischi della salute validi per gli anni passati, ma «impossibili» da correlare
con i rischi attuali. Per questo il ministro chiede un aggiornamento dei dati,
annunciando che al monitoraggio dell'inquinamento a Taranto collaborerà anche l’Organizzazione
mondiale della sanità.
Il classico
governo democristiano - assecondato sotto banco dal Pci - mise in atto una campagna “informativa” per inculcare nelle
teste anche dei più recalcitranti che quella fabbrica era una speranza di
redenzione lavorativa per la popolazione; insomma un’opportunità di miglioramento
delle condizioni di vita. Subito dopo l’avviamento del primo altoforno nel
1964, iniziarono a sorgere le prime criticità ambientali. L’associazionismo ambientalista locale, nel
1974, muove i primi passi convocando manifestazioni pubbliche nelle vie del
centro cittadino e momenti di sensibilizzazione e riflessione soprattutto nel
quartiere Tamburi, il più colpito dall’attività industriale. Durante una
manifestazione del 31 gennaio, furono esposti in Piazza della Vittoria panni
simbolicamente anneriti dall’inquinamento. I primi studi sull’inquinamento
atmosferico indicavano che nella zona occidentale della città esisteva un
processo di danno ambientale.
L’Italsider
(a gestione statale) annunciò investimenti per 50 miliardi di lire utili al perfezionamento
e potenziamento di impianti di depurazione e abbattimento dei fumi; ed inoltre
sbandierò la collaborazione con una società statunitense, la Ecological Science
Corporation, per la revisione del processo produttivo. Per i lavori si propagandavano
ulteriori investimenti in eco-compatibilità per 75 miliardi di lire.
Nel 1981 a
seguito delle innumerevoli segnalazioni sugli impianti che abbracciavano tutto
il polo industriale jonico la magistratura inizia le prime indagini. L’allora
pretore di Taranto Franco Sebastio
(attuale procuratore capo) indaga per “getto di polveri e inquinamento da gas,
fumi e vapori”, i vertici dell’Italsider. Il processo si svolge nel 1982, vede
la partecipazione di numerosi testimoni provenienti dai quartieri più a rischio
d’inquinamento industriale (Tamburi, Città Vecchia, Paolo VI) e, almeno in una
prima fase, la costituzione di parte civile non solo di associazioni
ambientaliste ma anche del Comune. Ma un colpo di scena cambia le fasi finali
del processo condizionando la sentenza: il sindaco dell’epoca, Giuseppe Cannata, annuncia la revoca
della costituzione di parte civile del Comune per motivi di opportunità
politica. La stessa farsa che poi la città vedrà con la giunta Di Bello e Florido nell’anno 2004 in un analogo procedimento giudiziario.
Risultato? Il processo si concluse con la condanna “esemplare” del direttore
dello stabilimento Italsider a 15 giorni di arresto con l’accusa di getto di
polveri ma non di inquinamento da fumi, gas e vapori. Nel 1995 l’Oms individua Taranto come “area a grave rischio ambientale”. Tre
anni dopo un decreto del presidente della repubblica indica Taranto come “area
a grave rischio ambientale”. L’area interessata, oltre al comune di Taranto,
comprende altri 4 comuni della provincia jonica (Crispiano, Massafra, Montemesola, Statte) per un totale di 564 km
quadrati e 263.614 abitanti. Tuttavia, più recentemente la Regione Puglia ha
consentito alla società Appia Energy (Marcegaglia e& soci) di aprire
illegalmente un inceneritore di rifiuti a Massafra
nel bel mezzo di un agrumeto, a poca distanza dal centro abitato; attualmente addirittura
in fase di potenziamento, grazie alla solita autorizzazione facile di Svendola
Puglia.
Nel 1995
L’Iri di Stato dell’eterodiretto Romano
Prodi invece di bonificare concede in cambio di spiccioli il siderurgico al
Gruppo Riva. Nel 1997 la Regione Puglia sigla con Ilva il Primo Atto d’intesa
che non prevede né limiti di tempo più stringenti in fatto di risanamento né il
ricorso a sanzioni in caso di inadempienze. Nel 2000 saltano fuori le prime
relazioni allarmanti del Presidio Multizonale di Prevenzione PMP.
L’amministrazione comunale, con un’ordinanza sindacale (6 febbraio 2001)
ordinò, entro 15 giorni (poi passati a 90) dalla notifica dell’ordinanza, di
realizzare interventi migliorativi relativamente ai forni delle batterie 3 e 6,
di ridurre la produzione di coke con il fermo delle batterie 3 e 6 o
alternativamente di procedere alla sostituzione delle stesse.
Nel 2002 arrivò la condanna di primo grado per
il gruppo Riva con il procedimento iniziato nel 1999 ed inizierà l’era
delle intese Accordo di Programma: al primo Atto di intesa, ne seguiranno altri
3. Solo dopo la sottoscrizione del 3° Atto d'intesa (2004), Comune e Provincia
( Di Bello- Florido) ritireranno la costituzione di parte civile nel processo
che aveva visto la condanna in primo grado dei vertici dello stabilimento per
le polveri del parco minerali che ricadevano sul quartiere Tamburi (come nel
1982) . Il 14 giugno del 2007 Ippazio Stefàno diventa sindaco di Taranto. Viene
riorganizzata l’Arpa (Agenzia Regionale Per l’Ambiente) che iniziava una
campagna di rilevamento dei dati dell'inquinamento prodotto dall’Ilva.
Emergeranno dati preoccupanti soprattutto per quanto riguarda le emissioni di
diossine e di idrocarburi policiclici aromatici. A maggio, PeaceLink, Uil
Taranto e il Comitato contro il rigassificatore, presentarono un dossier
allarmante sull'inquinamento, soprattutto a causa del mercurio scaricato
nell’aria e nel mare. A giugno l’Ilva querelerà i relatori del dossier sull’inquinamento
per “procurato allarme ambientale”. Dal
2008 al 9 luglio 2010 la cittadinanza si sveglia grazie alla presenza di
innumerevoli associazioni ecologiste (alcune però eterodirette dai
partiti).
Nel 2008
Altamarea, che raggruppava 18 fra associazioni e movimenti ambientalisti,
organizzò la più grande manifestazione contro l’inquinamento a Taranto portando
in piazza oltre 20 mila persone. Medesima iniziativa nel 2009. Il 20 novembre
2008 veniva presentata la nuova legge regionale di iniziativa popolare sulle
emissioni di diossina, approvata poi il 16 dicembre. La normativa imponeva, a
tutti gli impianti che producevano diossine, di rispettare i limiti alle
emissioni di 0,4 nanogrammi per metro cubo, all’ora in linea con quelli
indicati dal Protocollo di Aarhus. Dopo l’approvazione della “legge
antidiossina” l’Ilva minaccia un ricorso contro la legge per
incostituzionalità. Così la giunta Vendola approva un’altra legge di
interpretazione svuotando la normativa di efficacia.
Il 23
giugno 2010 incalzato dalla mobilitazione popolare il Sindaco Stefàno per placare gli animi, è
costretto ad emanare due ordinanze contingibili e urgenti che vietano a tutti i
cittadini di usufruire delle aree verdi del quartiere Tamburi perché
contaminate da sostanze cancerogene e pericolose per la salute dell’uomo. Sempre
nel 2010 il commissario Ue all’ambiente Stavros
Dimas, in risposta ad un'interrogazione dell’allora eurodeputato Luigi De
Magistris, affermava che “per l’Ilva
nessuna autorizzazione è rilasciata in conformità alla direttiva Ippc”. Ad
aprile scoppia il caso benzo(a)pirene uno dei cancerogeni genotossici più
pericolosi che minacciava la salute della città. L’associazione PeaceLink
pubblica i dati dell’inquinante: per 3 anni consecutivi si attesta il superato
i limiti di legge. Associazioni e comitati pro-ambiente chiedono la chiusura
dell’area a caldo dell’Ilva di Taranto. La Regione Puglia risponde con una
legge definita “anti-benzo(a)pirene”, fortemente criticata perché priva di
prescrizioni serie. Arrivano anche i numeri dell’Ispra. I dati allarmarono
tutti tranne le istituzioni tarantine e romane: benzene: valore soglia 1.000,
Ilva rispondeva con un quasi 16.000; biossido di carbonio: valore soglia
100.000, Ilva 10.731.887; arsenico e composti: valore soglia 20, per l’Ilva è
177; diossine + furani: valore soglia 0,1, Ilva quasi 100; PM10: valore soglia
prevede 50, Ilva 3.378 . Intanto ad agosto veniva votato il decreto legislativo
155/2010 con il quale il Governo permetteva all’Ilva di continuare ad inquinare
“a norma” la città di Taranto con il benzo(a)pirene.
Nel
novembre 2010 il governatore Vendola
si concede alla pagine patinate della rivista IL PONTE, edita dal clan Riva. E il presidente le spara grosse. Le
ultime vicende parlano di elevate quantità anche di benzo(a)pirene. Non è tutto.
Tra i veleni spicca, il mercurio:
secondo le autocertificazioni (ampiamente sottostimate) dell’Ilva, si tratta di
due tonnellate scaricate nell’aria e in mare.
Nel 2011 i
tarantini scopriranno che le cozze sono inquinate da diossine e pcb. Si passerà
alla distruzione delle stesse e alla perdita di centinaia di posti di lavoro.
Per diossina erano già stati abbattuti migliaia di capi di bestiame ed una
ordinanza della Regione Puglia era stata emanata per vietare il pascolo entro
un raggio di 20 chilometri dal polo industriale. Ad agosto l’allora ministro
dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, firmò il decreto per il rilascio
dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) allo stabilimento Ilva. Critiche
da parte delle associazioni ambientaliste dato che Regione Puglia e Comune di
Taranto non avevano presentato nessuna prescrizione. Arriviamo così ai nostri
giorni con l’intervento della magistratura tarantina e con una super-perizia
che ha portato la stessa a sequestrare gli impianti dell’area a caldo dopo la
chiusura dell’incidente probatorio avvenuto il 30 marzo 2012. Il 26 luglio con
un nuovo accordo di programma vengono stanziati per la bonifica di Taranto l’inezia
di 336 milioni di euro (denaro
pubblico). In parte questi fondi andranno non per la bonifica ma per altre
opere. Intanto Ilva impugna il provvedimento del GIP Patrizia Todisco davanti al Tribunale del Riesame. Il riesame
modifica in parte il provvedimento del GIP ma la stessa Todisco con una nuova
ordinanza impone il fermo della produzione. Monti Mario, primo ministro abusivo
ed anticostituzionale, è costretto a far arrivare per giorno 17 agosto le sue
pedine a Taranto per cambiare le sorti dello stabilimento a favore del profitto
padronale Riva.
Analisi,
studi e ricerche scientifiche concordano da tempo: Taranto è la città più inquinata d’Europa con un elevato tasso di
mortalità per tumore, cancro, e neoplasie in età pediatrica. Ma che
importa: contano solo il potere e i soldi sulla pelle dei sudditi.
IL PONTE
Ho letto l'intervista di Vendola. E' vero, le spara proprio grosse. Che buffone!
RispondiEliminaPiù recentemente l'ecologista Nichi Vendola, già assoldato dalla Marcegaglia e da don Verzé (dal quale ha ricevuto insieme a Berlusconi il premio cedro d'oro), ha asserito pubblicamente che "a Taranto non c'è emergenza ambientale". Nichi non parla: narra. Svendola Puglia è da anni che rifugge un contraddittorio pubblico con giornalisti non ammaestrati! Di cosa ha paura?
RispondiElimina