di Gianni Lannes
Imprigionato per aver detto la verità. Un giornalista investigativo straordinario giace incarcerato dall'11 aprile 2019 nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh nel sudest di Londra. Non gli è permesso da quasi un lustro di vedere la luce del giorno. È rinchiuso in un'angusta cella ventitrè ore su ventiquattro, e la sua unica ora di passeggio si svolge tra quattro mura, sotto gli occhi delle guardie. Fuori dal mondo: il prigioniero non ha diritto a libri, a contatti telefonici e nemmeno a una radio.
Il 20 e 21 febbraio 2024, la Corte Suprema del Regno Unito deciderà se Julian Assange può ancora fare appello, oppure può essere estradato immediatamente negli Stati Uniti dove rischia 175 anni di carcere, secondo una vecchia legge statunitense contro lo spionaggio, per aver rivelato all'opinione pubblica mondiale - attraverso la sua organizzazione WikiLeaks - i crimini di guerra e contro l'umanità commessi impunemente dal governo degli Stati Uniti d'America durante i conflitti in Afghanistan e in Iraq (Stati sovrani aggrediti pretestuosamente). Assange è innocente, soprattutto è un eroe di questi tempi nefasti, poiché ha avuto il coraggio di rivelare indicibili verità, esercitando l'insopprimibile diritto di cronaca.
Scotland Yard ha già predisposto un aereo diretto in Virginia, in un tribunale ammaestrato su cui ha influenza la Central Intelligence Agency, che non a caso intendeva assassinare Julian, una persona soggetta a prassi tipiche della tortura. Infatti più volte - nel corso degli anni - in prigione è stato denudato, ammanettato e perquisito.
È
palese dall'attenta lettura delle sommarie carte processuali, la
trama istruita a tavolino da Stati uniti, Svezia, Gran Bretagna e in
parte Ecuador (nella cui minuscola ambasciata Julian aveva trovato
rifugio nel giugno 2012) contro colui che aveva osato indagare negli
arcani dei predetti Stati occidentali che spadroneggiano ovunque sul globo terrestre e
nei misfatti orrendi delle guerre scatenate proprio da Washington
(coadiuvata anche dall'Italia), in Iraq e Afghanistan, solo per citare due situazioni conclamate.
Il ricorso sistematico alle fake news di Colin Powell (generale e politico statunitense, capo dello stato maggiore congiunto delle forze armate statunitensi dal 1989 al 1993, è stato il 65º Segretario di Stato degli Stati Uniti sotto il presidente George W. Bush, e l'ideatore dell'omonima dottrina) per giustificare l'attacco all'Iraq è una sequenza indimenticabile: un ammonimento su qualsiasi moralità di poteri che non rispettano le stesse regole di facciate che formalmente si danno per gettare fumo negli occhi degli ignari esseri umani.
Ben 19 sindacati di giornalisti in Europa (e nello stesso Regno Unito) hanno aderito ad una lotta di libertà. Roma adesso ha conferito a Julian Assange la cittadinanza onoraria: un mirabile esempio che parla al mondo di democrazia e di civiltà.
Riferimenti:
Gianni Lannes, Il grande fratello. Strategie del dominio, Draco edizioni, Modena, 2012.
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