BIOGRAFIA

2.1.24

PRIMAVERA DELL'INVERNO!

 


 

di Gianni Lannes

18 gradi gradi e passa a Natale in Italia. Vi sembra naturale il caldodanno? Bombardare il cielo: giorno e notte, compresi i festivi, velivoli a bassa quota sorvolano mezzo mondo rilasciando nell'aria scie innaturali. Le autorità sono al corrente, per via degli accordi segreti siglati nel 2001 con lo zio Sam, ma tutti cadono dalle nuvole. Per caso spargono acqua di colonia sul vecchio continente, Italia inclusa? Poi si verificano puntualmente disastri ambientali e tutti accusano la Natura.

Se incombe il riscaldamento globale, perché fa così freddo? Ogni anno viene sempre dichiarato “l’anno più caldo di sempre”, eppure l’esperienza concreta di stagioni caratterizzate da freddo intenso sembra smentire questa affermazione. Si tratta di un intricato dilemma che suscita frequenti riflessioni sul riscaldamento globale, tanto che in molti ne mettono in dubbio l’esistenza. La chiave per comprendere questa complessa questione risiede nell’analisi dei meccanismi climatici del nostro pianeta, la cui complessità è attribuibile principalmente alle attività umane.

All’indomani delle alluvioni, gli amministratori tricolore, invece di parlare delle cause principali, hanno dato la colpa alle nutrie, agli istrici, alla sfortuna. Resistere a questi bias è difficile. Collegare l’alluvione alle attività belliche sperimentali, al centro commerciale vicino a casa, alle villette a schiera che gli stanno attorno, al nuovo parcheggio che è tanto comodo, al rumore di motoseghe e decespugliatori che ogni tanto entra dalla finestra, ai pennacchi di fumo che escono da comignoli e ciminiere richiede fatica cognitiva.

La conquista del tempo metereologico entro il 2025: obiettivo del Pentagono. Il cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, nasce nel dopoguerra. Gli esperimenti cominciano nel 1946, nei cieli di Schenectady, nello stato di New York, su iniziativa di scienziati stipendiati dalla General Electric. Uno di loro è Bernard Vonnegut, fratello maggiore di Kurt, futuro romanziere. Nelle prime inseminazioni si usa ghiaccio secco, cioè anidride carbonica allo stato solido, poi Bernard scopre che spargendo ioduro d’argento si ottengono risultati migliori.

I militari drizzano fulmineamente le antenne. Dopo la bomba atomica, forse si è scoperta un’arma ancora più potente: il controllo del clima. In accordo con la General Electric, l’esercito coopta gli scienziati nel cosiddetto progetto Cirrus. Nel nuovo contesto Bernard, pacifista, si trova sempre più a disagio, finché non dà le dimissioni. La storia è ricostruita nella sontuosa biografia di Ginger Strand, intitolata I fratelli Vonnegut. Fanta-scienza nella Casa della magia, da poco uscita in italiano per Treccani. Le ricerche dei militari statunitensi proseguono. Il cloud seeding è usato a fini bellici durante la guerra del Vietnam. L’operazione viene chiamata Popeye: dal marzo 1967 al luglio 1972 - si scoprirà con la pubblicazione dei celebri Pentagon papers - l’aviazione nordamericana cerca di prolungare le stagioni dei monsoni per sabotare le operazioni delle forze nord-vietnamite.

Come racconta Strand, tra il 1946 e il 1951 la stampa statunitense descrisse il cloud seeding come un deus ex machina che avrebbe abolito la siccità, trasformato i deserti in giardini, spento gli incendi e deviato gli uragani. Diminuito l’entusiasmo, si vide che i risultati, ammesso che ci fossero, erano molto inferiori alle aspettative. I mezzi d’informazione spensero i riflettori e la tecnica fu ridimensionata, ma non abbandonata. Vi si fa ricorso anche in Europa, più spesso negli Stati Uniti, con maggiore regolarità in Cina e negli Emirati Arabi Uniti, ma anche in Israele.

Spegnere gli incendi, rendere fertili i deserti, piegare alla nostra volontà gli uragani… Le cronache di questi anni dovrebbero, come si dice, parlare da sole: siamo più che mai in balia degli elementi.

I militari usano il clima come una super arma. È stata questa consapevolezza a ispirare l’Enmod, la convenzione dell'ONU sulla modifica dell’ambiente (ratificata dall'Italia nel 1980 con la legge 962, promulgata dal presidente della Repubblica Sandro Pertini), il cui nome esteso è convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile. È in vigore dal 1978 e vi aderiscono 78 paesi. Il complesso militar-industriale controlla gli eventi meteorologici. Insomma, le cosiddette “scie chimiche” non sono una fantasia o una mera teoria del complotto.

Come ogni aereo, anche quelli del cloud seeding inquinano e alterano il clima. Lo fanno a prescindere da quel che spruzzano nelle nubi, con le loro emissioni di rifiuti nell'aria. Ma le operazioni di cloud seeding si rivelano poca cosa di fronte alla vastità del fenomeno: ogni giorno si contano circa duecentomila voli. Il traffico aereo è responsabile del 3,5 per cento delle emissioni climalteranti a livello mondiale. Se queste fantasie puntano il dito sui dettagli sbagliati, la direzione in cui tendono il braccio è giusta, perché giusta è l’intuizione di partenza: nei cieli succede qualcosa di brutto. Se non ci accontentiamo di un banale debunking, se ci poniamo in ascolto, troviamo non solo nuclei di verità, ma messe in guardia da pericoli reali che incombono. Senz’altro incombe la geoingegneria solare, un insieme di proposte e tecnologie finalizzate a ridurre l’impatto dei raggi solari sul pianeta e mitigare il riscaldamento globale. La strategia più evocata è l’iniezione di aerosol stratosferico, che consiste nell’alterare l’atmosfera per ottenere un aumento dell’albedo - la parte di radiazione solare che si riflette in ogni direzione - e un global dimming (offuscamento globale). Si vuole imitare, utilizzando aeroplani, palloni aerostatici o razzi, quel che succede dopo grandi eruzioni vulcaniche, come quella del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883 o quella del Pinatubo, nelle Filippine, nel 1991. La stratosfera si riempie di anidride solforosa e poi di particelle di acido solforico, che riflettono la radiazione solare verso lo spazio esterno. Nell’atmosfera non si possono fare esperimenti controllati. È impossibile prevedere gli effetti collaterali sul clima, sugli oceani, sulla vita. L’anidride solforosa ha una lunga storia di conseguenze sull’ambiente, è noto da decenni che causa piogge acide.

L’idea che possiamo cavarcela con un espediente tecnologico e andare avanti con il nostro tran tran è un’illusione e un diversivo. È la trappola del “soluzionismo tecnologico”, come lo ha chiamato il sociologo Evgeny Morozov, che si parli di geoingegneria, dell’intelligenza artificiale generativa come “faro di speranza” che illumina un futuro “climate smart e sostenibile”, di auto elettriche o di paratie contro l’innalzamento dei mari. Tutto questo distoglie l’attenzione dalla lotta per soluzioni vere, strutturali, basate sulla comprensione delle cause e sulla consapevolezza che a metterci in pericolo è questo modo di produzione capitalistico che ha ridotto la vita a merce.

Fino a pochi anni fa si temeva che singole nazioni avviassero programmi geoingegneristici in modo unilaterale. Un simile scenario è al centro di uno dei romanzi più discussi degli ultimi anni, Il ministero per il futuro di Kim Stanley Robinson (Fanucci 2022). Nel libro, ad agire senza consenso internazionale è l’India. Oggi a quel timore se ne è aggiunto un altro: che possano farlo dei privati, si tratti del megalomane Bill Gates o dell’Elon Musk di turno.

Il rischio su cui bisogna riflettere è la completa assenza di regolamentazione: oggi chiunque potrebbe avviare un proprio programma di geoingegneria solare. E se invece che a una startup dai mezzi limitati l’idea fosse venuta a Elon Musk o Jeff Bezos, alla ExxonMobil o alla Chevron, a un oligarca russo, a un magnate cinese? Ecco perché nel 2022 scienziati ed esperti di politica internazionale di tutto il mondo hanno sottoscritto un appello per un accordo internazionale di non-utilizzo della geoingegneria solare. Se fai notare che il cloud seeding è stato davvero usato a scopi militari, che se i suoi esiti non fossero tanto incerti sarebbe usato ancora, che se il suo utilizzo bellico è vietato da un’apposita convenzione internazionale significa che è ritenuto un rischio plausibile, che la geoingegneria solare implica operazioni molto simili al cloud seeding ed è un pericolo reale, è facile che ti diano del complottista.

Guarda le scie bianche degli aerei. La condensazione del vapore acqueo - insegna la Fisica - si forma al di sopra degli ottomila metri d'altitudine. Guarda quante sono. Sempre più spesso si affiancano e si incrociano, formando una griglia vaporosa che copre gran parte del cielo, quasi da un orizzonte all’altro. Ne avete sempre viste così tante? Le scie chimiche diventano nuvole. Si formano a causa dei gas di scarico degli aerei. Sono aumentate di numero anche perché negli ultimi trent’anni, con il successo dei voli a basso costo, il traffico aereo è quadruplicato. Con esso sono aumentate le emissioni di gas serra e sostanze inquinanti e le conseguenze sul territorio: più traffico aereo significa costruzione di nuovi aeroporti, ingrandimento di quelli esistenti, creazione di poli logistici, operazioni immobiliari spinte dalla bolla turistica. Ogni giorno migliaia di velivoli spargono nell’atmosfera miscele di sostanze tossiche.

A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente”. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira - letteralmente: respira insieme, negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini - è proprio quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai? C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook, Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla. Tutto ciò sarebbe causa di stress.

Le peggiori narrazioni sono quelle che spoliticizzano i temi climatici ed ecologici. A promuoverle è un capitalismo che coglie l’opportunità della crisi climatica - crisi causata dai costi esterni della produzione: emissioni, scarti, rifiuti - per continuare a fare profitti, generando nuovi costi esterni ancora poco visibili, come l’impatto ambientale dell’estrazione di litio per le auto elettriche, e pericoli futuri, come gli effetti collaterali delle pseudosoluzioni geoingegneristiche. Il soluzionismo tecnologico riduce il riscaldamento globale a una questione di momentanea inefficienza tecnica che sarà superata con l’innovazione. Con il boom delle cosiddette intelligenze artificiali generative, questa narrazione è destinata ad avere sempre più presa, ma come scrive Joy Buolamwini, autrice del libro Unmasking Ai: “L’intelligenza artificiale non risolverà il problema del cambiamento climatico, perché le scelte politiche ed economiche sullo sfruttamento delle risorse del pianeta non sono questioni di carattere tecnico. Per quanto possa tentarci, non possiamo usare l’intelligenza artificiale per schivare il duro lavoro di organizzare la società, in modo che il tuo luogo di nascita, le risorse della tua comunità e le etichette che ti ritrovi addosso non determinino il tuo destino. Non possiamo usare l’intelligenza artificiale per evitare discussioni su chi ha potere e chi ne è privo. Dare in outsourcing morale alle macchine le decisioni difficili non risolverà i dilemmi sociali fondamentali”.

Il riduzionismo carbonico consiste nel parlare solo delle emissioni di CO2, rimuovendo dal quadro ogni altro processo: la distruzione di biodiversità, la cementificazione, la manomissione del territorio. In questo modo si può decidere di abbattere alberi e consumare suolo per costruire edifici di classe energetica A4, e dire di aver fatto una scelta green. L’individualismo verde è la narrazione più consolidata. Sostiene che per risolvere i problemi climatici e ambientali si debba puntare sullo stile di vita e le scelte coscienziose del singolo consumatore. In questo modo le responsabilità sono scaricate da monte a valle: dalle decisioni politiche in tema di produzione energetica e industriale alle piccole, sproporzionatamente meno influenti, scelte che chiunque di noi può fare nel quotidiano. Un esempio eclatante lo fornisce la produzione di plastica. In un’inchiesta pubblicata dal Guardian qualche anno fa Stephen Buranyi ha spiegato come addossare il problema al singolo consumatore sia stata una strategia promossa direttamente dall’industria dei polimeri, con grandi investimenti e lavoro di lobby, per evitare regolamentazioni del settore. Solo da poco tempo ci si è resi conto di quanto ingannevole sia l’idea che basti fare la raccolta differenziata e usare plastica riciclata o compostabile. Come ha titolato l’Atlantic, “la plastica compostabile è spazzatura”.

Un altro esempio riguarda la già citata auto elettrica. Nell’intersezione tra individualismo verde e soluzionismo tecnologico troviamo l’idea che basti cambiare il parco auto e voilà, potremo continuare come prima, incoraggiando gli spostamenti privati su gomma, senza investire su un trasporto pubblico, capillare e universale. Come per la plastica, i costi esterni di quest’illusione diventeranno visibili con il tempo.

L’eccezionalismo deresponsabilizzante è la narrazione più recente, tanto che molte persone non sanno ancora riconoscerla. Consiste nell’usare gli eventi estremi come scusa per non cambiare politiche. In Italia si è affermata dopo le alluvioni in Emilia-Romagna del maggio 2023. Il 17 maggio, durante un collegamento con La7, il presidente della regione Stefano Bonaccini ha dichiarato: “Quando in trentasei ore cade l’acqua di sei mesi, e cade dove quindici giorni fa era caduta una pioggia record che aveva fatto cadere quello che cade in quattro mesi, non c’è territorio che possa tenere, anche perché la pioggia cade su un terreno che non assorbe più nulla, va tutta nei fiumi e non può scaricare in mare perché è ingrossato dalle mareggiate: su questo non ci si può far nulla”. Altri amministratori hanno rilasciato numerose dichiarazioni su questa falsariga.

L’enfasi sulla straordinarietà dell’evento - che straordinario sarà sempre meno, perché il colpo di frusta climatico è parte del nuovo clima - rimuove il fatto che un territorio può reggere l’urto di un nubifragio meglio o peggio, in molti o pochi punti, dando a chi ci vive più o meno tempo di organizzarsi. Il territorio emiliano-romagnolo è destinato a cedere sempre più spesso, perché compromesso da scelte che ne hanno peggiorato l’assetto idrogeologico, e attraversato da fiumi costretti in alvei artificializzati da cui alla prima occasione fuoriescono, o che addirittura distruggono con furia. Esondando, non allagano solo campi, come sarebbe successo cinquant’anni fa: travolgono aree urbanizzate, uccidono persone, spargono in giro incalcolabili quantità di rifiuti e sostanze inquinanti. Dire che “non ci si può far nulla” serve a nascondere che, per prevenire il disastro, nulla si è fatto. Intanto si continua a cementificare, ponendo le basi per catastrofi future.

Nei primi giorni del maggio 2023, e di nuovo due settimane dopo, sull’Emilia orientale e sulla Romagna si abbattono forti nubifragi. La popolazione è colta di sorpresa: si viene da un lungo periodo di siccità. Fin dalle prime ore il territorio si rivela incapace di reggere l’urto. I fiumi e torrenti che scendono dall’Appennino - Idice, Lamone, Montone, Santerno, Savena, Senio, Sillaro e altri - si gonfiano e scavalcano gli argini, quando non li sfondano e spazzano via. L’Appennino stesso si sgretola: quasi trecento frane dissolvono crinali e pendii, isolano paesi e aggiungono altra melma alle ondate che travolgono la pianura tra Bologna e il mare. Strade e ferrovie, zone industriali, centri abitati, tutto soffoca nel fango. Tornato il sole, si contano diciassette morti, sessantamila persone evacuate e danni per miliardi di euro.

“Fango”? Non rende l’idea: a coprire la pianura è una fanghiglia tra il verdastro e l’arancione, tanto puzzolente da togliere il respiro, piena di escrementi e veleni. Appena oltre gli argini l’acqua ha trovato l’urbanizzazione selvaggia della terza regione più cementificata d’Italia, sia in assoluto – 200.320 ettari di suolo consumato – sia per incremento netto nel solo 2021, 658 ettari persi, dei quali 501,9 in aree a media pericolosità idraulica. A dispetto delle balle dei politicanti il territorio dell’Emilia-Romagna è molto fragile. Se l’Appennino è dissestato, la bassa è tutta pianura alluvionale. Un territorio sempre in bilico, in cui si dovrebbe costruire con prudenza e parsimonia. Invece i politicanti fanno l’esatto opposto. Nel 2017 la regione si è dotata di una legge contro il consumo di suolo, la cui entrata in vigore è stata più volte prorogata, criticata da esperti e addetti ai lavori perché favorisce il fenomeno che dovrebbe contrastare. Un ettaro di terreno libero può assorbire fino a 3.750 tonnellate d’acqua. Acqua che scende e ricarica le falde. Su una lastra di cemento o asfalto, invece, l’acqua rimbalza e accelera la corsa. Nella distesa di cemento armato e asfalto emiliano-romagnolo l’acqua ha fatto scoppiare le fogne, ha rovesciato cassonetti e attraversato discariche, ha razziato case, fabbriche, negozi, distributori, autorimesse e magazzini, trascinando con sé detersivi, cosmetici, fitofarmaci, pesticidi, fertilizzanti e tonnellate di plastica destinata a diventare microplastica, ha inondato allevamenti intensivi e trasportato nei dintorni corpi di animali annegati. “Consumo di suolo” significa urbanizzazione e sempre maggiore diffusione di materiali nocivi, anche in zone a rischio idraulico. Come è accaduto in Emilia-Romagna, presto o tardi l’acqua trova quei materiali, li trascina con sé e li sparge nel territorio.

Conselice, in provincia di Ravenna, è la cittadina simbolo della catastrofe: resta invasa dai liquami per due settimane, il tanfo che la attanaglia si sente a chilometri di distanza. Quando si riesce a far defluire la melma nell’Adriatico e le vie tornano asciutte, dei probabili effetti su ambiente e salute non si parla più. Il tema scompare dal discorso pubblico.

Le cause di questo e analoghi disastri sono note. Il riscaldamento globale indotto dai giochi di guerra di Washington per conquistare il clima entro il 2025, provoca un’alternanza tra lunghi periodi di siccità e nubifragi. Allo stesso tempo, esondazioni e distruzioni sono l’esito di politiche che da più di mezzo secolo deturpano il territorio. A partire dai suoi corsi d’acqua, deviati, resi più artificiali, privati delle loro curve, sinuosità e naturali zone d’espansione per lasciare spazio al cemento, spesso anche “tombati”, come il Ravone a Bologna, che nel maggio scorso si è gonfiato ed è tornato in superficie prendendosi via Saffi, una delle principali arterie cittadine.

I boschi ripariali, che manterrebbero gli argini coesi e assorbirebbero l’acqua straripante, sono distrutti con ruspe e motoseghe. L’erba alta è vista come un esempio di degrado. Ma il suolo, esposto al sole battente, si surriscalda, si secca e muore.

Fa scalpore che a essere messa in ginocchio sia stata una delle cosiddette locomotive d’Italia, regione virtuosa che ogni giorno si vanta delle sue eccellenze. Sebbene il presidente Stefano Bonaccini ripeta che “non è il momento delle polemiche”, voci autorevoli denunciano lo stato del territorio da ogni punto di vista: geologico, urbanistico, geografico, naturalistico, giuridico, storico. Voci che arrivano dall’Istituto superiore per la ricerca ambientale, dal Consiglio nazionale delle ricerche, dai comitati scientifici delle associazioni ambientaliste storiche. Il Cnr di Bologna lancia un “appello sulla crisi eco-climatica globale”. In poco tempo raccoglie oltre un migliaio di firme. Ma gli amministratori locali non prestano ascolto a queste voci. Non solo non ammettono responsabilità, ma mettono in circolazione narrazioni diversive incentrate su capri espiatori. Il sindaco di Ravenna De Pascale ha benedetto l’installazione di un rigassificatore da un miliardo di euro nel mare dinanzi alla città e “difende a spada tratta”, come scrive il movimento civico Ravenna in comune, “ogni nuovo via libera alla cementificazione che la sua giunta sparge come il riso ai matrimoni”. Il comune di Ravenna ha il record regionale di consumo di suolo: nel 2021 ne sono spariti 69 ettari, per un totale di più di settemila.

È più facile far finta di niente: questo fenomeno prende il nome di dissonanza cognitiva. La guerra climatica in atto è oscurata dal negazionismo vigente ad ogni livello, ordine e grado. Se nelle fantasie di complotto classiche i poteri occulti cospirano per farci credere a un cambiamento climatico naturale, o comunque non causato da attività umane, in quelle affermatesi di recente si ammette che qualcosa di enorme sta succedendo, che il clima è cambiato, e si punta il dito su cause legate all’attività umana.


Riferimenti:

Gianni Lannes, Scie di guerra, Edizioni Mondo Nuovo, Pescara, 2023.

https://www.edizionimondonuovo.com/catalogo/scie-di-guerra/ 

https://www.snpambiente.it/wp-content/uploads/2022/07/IT_Sintesi_Rapporto_consumo_di_suolo_2022.pdf


1 commento:

  1. A disastro planetario compiuto forse, ma forse, e non e' detto, qualcosa verra' fuori, in merito allo schifo che da anni si sta verificando sulle nostre teste, ma tanto il 90% del gregge non frega una beneamata cippa o non crede piu' semplicemente.

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