di Gianni Lannes
Naturale zero: radioattivo o imbottito di pesticidi. Le importazioni europee di grano duro dall'estero sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi tre mesi. Infatti secondo i dati della Commissione UE, dal 1° luglio al 1° ottobre 2023, sono arrivate in Europa 735.000 tonnellate di grano duro di cui 611.000 arrivate in Italia (pari all'83 per cento).
Ufficialmente il frumento che arriva in Europa - mediante triangolazioni - transita in prevalenza dalla Turchia per 327.000 tonnellate (44,5 per cento), e proviene dalla Russia per 231.000 tonnellate (31,4 per cento), dal Canada per 85.000 tonnellate (11,6 per cento), dal Kazakhstan per 70.000 tonnellate (9,5 per cento) e dagli Stati Uniti per 15.000 tonnellate (2,2 per cento).
Si può dunque affermare che il 76 per cento di grano importato dal 1° luglio al 1 ottobre 2023 sia prevalentemente grano importato, e che oltre l'80 per cento di questo grano straniero finisca nel piatto degli italiani con pasta, pane e altri derivati, diventando per i produttori, miracolosamente "made in Italy".
Tale incancrenita situazione che perdura da decenni, genera due motivi di preoccupazione sanitaria. Il primo riguarda la sicurezza alimentare dei consumatori. Quel grano proviene da Paesi terzi in cui, a seguito dell'incidente verificatosi il 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl, si sono disperse nell'atmosfera considerevoli quantità di elementi nocivi per la salute.
La Turchia e la Russia rientrano nell'elenco di cui all'articolo 1, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2020/1158 della Commissione del 5 agosto 2020 relativo alle condizioni d'importazione di prodotti alimentari originari dei Paesi terzi a seguito dell'incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl.
Il principio di precauzione previsto dall'attuale legislazione alimentare (regolamento (CE) n. 178/2002) può essere invocato quando è necessario un intervento urgente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana.
Appare legittimo, in tale circostanza, invocare l'applicazione del principio di precauzione, applicando una regolamentazione più restrittiva e protettiva motivata dalla clausola di salvaguardia di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, già adottata per gli Ogm.
Il secondo motivo riguarda la nostra economia, poiché, in assenza di un sistema di tracciabilità del prodotto nazionale, questi volumi di grano importati a basso prezzo, costringono gli agricoltori italiani a vendere sottocosto, ad abbandonare ulteriormente i terreni e mettono a rischio anche la pasta made in Italy, con risvolti negativi per i consumatori italiani.
A destare preoccupazione, inoltre, è anche lo stoccaggio del grano importato che spesso avviene attraverso fondi pubblici riservati a favore del grano italiano. Molti di questi importatori (sovente grossi produttori di pasta) beneficiano di risorse pubbliche per realizzare centri di stoccaggio che, nell'ambito degli aiuti nazionali sul made in Italy, dovrebbero immagazzinare grano italiano e differenziarlo. In realtà i silos vengono utilizzati per stoccare grano straniero.
Anche molte cooperative, dopo aver ricevuto finanziamenti pubblici per agevolare lo stoccaggio del grano italiano dei propri soci, fittano i silos a commercianti e importatori per stoccare grano straniero.
Quali urgenti iniziative il primo ministro pro tempore Giorgia Meloni intende assumere per invocare tempestivamente il principio di precauzione, tutelare concretamente la salute dei consumatori e difendere effettivamente la competitività dei cerealicoltori italiani?
se sia il caso di prevedere una griglia di qualità tossicologica, nell'ambito della Commissione unica nazionale del grano duro, per armonizzare le quotazioni nazionali rispetto al mercato internazionale;
se sia il caso di adottare iniziative normative volte a porre dei limiti stringenti nell'uso delle risorse pubbliche a favore dello stoccaggio di grano italiano e a porre dei divieti ad utilizzare tali strutture a favore dello stoccaggio di grano straniero.
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