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Insensatezza: troppo lavoro, troppe informazioni, troppa fatica, troppi
dialoghi surreali, troppe ore perse per cose inutili.
Troppo impegno per bisogni inautentici. Troppa stupidità che diviene senso comune. Il tempo vitale è ora, non domani.
Se per anni la stanchezza cronica è stata un assurdo inno all’efficienza, oggi è lo status quo di una generazione che ha finalmente capito che oltre la fatica non c’è null’altro, se non lo sfruttamento disumano. Non c’è niente di niente, se non il nulla assoluto.
Non ci sarà un premio e forse nemmeno una condizione migliore a cui aspirare.
Siamo tutti vittime di una grande menzogna collettiva: quella di tenere duro sempre e
comunque, anche quando sembra senza senso, anche quando siamo stremati. Come possiamo rivoluzionare il mondo o almeno il nostro microcosmo se siamo esausti?
La stanchezza è stata a lungo una dipendenza di massa, socialmente
incoraggiata in cambio di ricompense che l'economia non era da tempo più in
grado di promettere a nessuno. Ed è anche il risultato dell’aver infilato la
nostra vita privata negli interstizi fra una giornata lavorativa e l’altra, ai
margini del tempo vitale.
Cosa rimarrà alla fine di tutta questa gigantesca perdita di tempo? Come è stato possibile, ad un certo punto, che le nostre intere esistenze siano
state fagocitate dal lavoro, dalla frenesia, dalla lotta cieca allo sviluppo senza progresso? Una tendenza distruttiva che ha anche devastato l’unico pianeta abitabile dove sopravviviamo.
Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, di inorridirsi,
di commuoversi, di innamorarsi, di vivere con se stessi. Le scuse per non
fermarsi a chiederci se questo correre ci fa più felici sono migliaia e, se non
ci sono, siamo bravissimi a inventarle.
Non credo abbia nemmeno senso questa corsa a cui ci è stato chiesto di tornare
dopo lo stop forzato della falsa pandemia covidiota. Come se non fosse successo nulla; come se,
in quello squarcio di stupidità generale, non avessimo intravisto una verità limpida: che la vita è
altro dal profitto, dalla conquista, dalla competizione, dall'egoismo. La vita è anche
prendersi cura: degli altri, di se stessi, del luogo in cui viviamo. Non è vero
che “funziona così e basta”, c’è sempre un’alternativa e se non c’è, occorre crearla.
Lo penso quando cammino nella magia del bosco, mi inerpico su una montagna o mi immergo in mare e so che quella condizione è solo
momentanea, perché poi “devo” tornare al lavoro, tornare al chiuso a produrre. Ma “devo” cosa?
Io sono qui di passaggio, come tutti gli altri. Morirò come tutti e che io sappia non ho una seconda possibilità. Ma siamo tutti ancora in tempo: basta staccare la spina e immergersi nella Natura.
Gilan