BIOGRAFIA

9.5.22

NUCLEARE ITALIA: IL BUCO NERO!

 

Trisaia - centro nucleare - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


di Gianni Lannes

Plutonio, scorie radioattive, fragole, ecomafie statali, organizzazioni criminali in Lucania, dinanzi al Mar Jonio, vicino al fiume Sinni. In loco, negli anni '60, al posto di un'area archeologica della Magna Grecia, e' sorto un cimitero nucleare per volonta' del governo tricolore, sdraiato davanti a Washington. Pochi sanno che in Basilicata, precisamente alla Trisaia di Rotondella tra Metaponto e la piana di Sibari nella limitrofa Calabria, nel centro nucleare dell'Enea, giacciono ben 84 elementi di combustibile irraggiato del ciclo uranio-torio, di cui 20 ritrattati, provenienti dalla centrale nucleare nordamericana Elk River, che, negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dal Minnesota all'allora Cnen, oggi Itrec. Perche' non tornano negli USA? Per quale ragione, qualche anno fa, invece, dalla Trisaia e' stato trasferito negli United States of America, un cospicuo quantitativo di plutonio prodotto segretamente in loco?

Negli ultimi due lustri alcune associazioni lucane, come Cova Contro, Mediterraneo No Triv, No Scorie Trisaia ed Isde Basilicata, hanno denunciato decine di anomalie e violazioni sul cosiddetto decomissioning affidato improvvidamente alla Società gestione impianti nucleari (So.Gi.N.), proprio nel sito lucano dell'impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile (Itrec) della Trisaia di Rotondella (Matera).

Tale sito risulta ufficialmente contaminato, almeno dagli anni Ottanta (come attestano gli atti processuali al Tribunale di Matera, istruiti dal giudice Nicola Maria Pace) a seguito di svariati incidenti, nella matrice acque sotterranee, per i seguenti parametri: trielina, cromo esavalente, cloroformio, manganese; altre contaminazioni nella matrice suoli si riscontrano sia all'interno, sia all'esterno del sito.

La Procura della Repubblica di Potenza al fine di evitare il continuo sversamento in mare di acque provenienti ha sequestrato in via cautelativa il sito di dismissione nucleare Itrec.

I carabinieri del Noe hanno effettuato in via d'urgenza il sequestro preventivo delle vasche di raccolta delle acque di falda e della condotta di scarico a mare dell'impianto Itrec/Sogin e dell'adiacente impianto «ex Magnox» che sorge in area Enea. I reati ipotizzati sarebbero: inquinamento ambientale, falsità ideologica, smaltimento e traffico illecito di rifiuti. Nell'indagine sarebbe stata accertata «una grave ed illecita attività di scarico a mare dell'acqua contaminata che non veniva in alcun modo trattata».

Secondo le indagini del Noe, tali scarichi, convogliati in un'apposita condotta, partivano dal sito e, dopo alcuni chilometri, si immettevano direttamente nel mar Jonio. Il sequestro preventivo, comunque, non interrompe le attività di «decommissionamento» del sito nucleare della Trisaia.

L'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata (Arpab), ha emesso una nota di chiarimenti sulla vicenda, riferendo che il Centro regionale per la radioattività Crr dell'Arpab svolge le attività di monitoraggio radiometrico sulle matrici ambientali all'esterno della zona dell'impianto Rotondella-Policoro-Nova Siri (Rete Locale per Itrec) e fornisce il supporto alle azioni di vigilanza dell'Ispra all'interno dell'impianto. In particolare, l'Arpab ha effettuato indagini in contraddittorio derivanti dalla comunicazione di sito potenzialmente contaminato, effettuata da Sogin/Enea nel giugno 2015 ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006. I tecnici dell'Agenzia, nei giorni 8 e 11 giugno 2015, avevano infatti eseguito verifiche in campo prelevando acque sotterranee da diversi piezometri ed avevano effettuato analisi sia di tipo radiologico che chimico-fisico, riscontrando superamenti di alcuni analiti, tra cui cromo VI, tricloroetilene e triclorometano, comunicati agli enti di competenza.

Nel mese di dicembre dell'anno 2019 è stato smantellato il monolite radioattivo presente nella fossa irreversibile 7.1, operazione svolta senza informare la popolazione locale come previsto dall'articolo 8 della direttiva Euratom n. 2014/87.

L'associazione Cova Contro chiede dal 2017 dati su tutta una serie di dinamiche e strutture presenti nel sito di Trisaia, senza ricevere mai risposte esaustive, al punto da essere stata costretta a denunciare i silenzi di So.Gi.N. anche all'autorità giudiziaria.

Le medesime associazioni hanno rilevato, nel gennaio 2018, la presenza di cromo esavalente a ridosso della soglia di legge fino ad oltre un chilometro di distanza dalla recinzione dell'impianto.

Risulta, inoltre, che siano state messe al corrente dagli enti locali che So.Gi.N. Abusa impunemente del segreto di Stato, negando anche le planimetrie relative alla condotta di scarico a mare, che attraversa terreni agricoli privati, e i dati relativi ai circuiti delle acque di drenaggio e antincendio dell'impianto Itrec.

La popolazione locale teme che l'asserito deposito temporaneo sia in realtà un alibi per nascondere stoccaggi a lungo termine di sostanze radioattive, ovvero letali per la salute.

In relazione al monolite smantellato, si rileva che nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 2009 (pagine 111 e 112) i monoliti interrati risultavano essere 4 e non uno soltanto.

Nei documenti secretati del Cnen, dell'Enea e dell'Eni, nonche' in un cablogramma di "WikiLeaks" è pubblicato un elenco di materiale nucleare di proprietà nordamericana custodito presso l'impianto Itrec.

Dai verbali delle conferenze dei servizi emerge che la locale azienda sanitaria non aveva e non avrebbe ancora oggi attivato alcuna convenzione con l'Istituto zooprofilattico di Foggia per le analisi sugli alimenti dell'area, nonostante vi ricadano aziende agricole biologiche e di pregio, inclusa un'oasi Plasmon.

Da uno studio statistico sulla mortalità svolto dall'Istituto superiore di sanità sui comuni ospitanti siti nucleari emergono criticità per la contrada Trisaia meritevoli di approfondimento.

Ecco alcune domande per Draghi e Cingolani. Quali sono le motivate ragioni scientifiche per cui So.Gi.N. non abbia informato le popolazioni locali circa i progetti di taglio del monolite radioattivo della fossa 7.1, e se i cittadini lucani abbiano contezza del suo contenuto, nonché dei risultati delle analisi radiochimiche dei liquidi persi dal monolite tra il 2014 ed il 201 e se siano a conoscenza di che cosa sia previsto per la fossa radioattiva 7.2, ufficialmente esclusa dai piani di bonifica?

Inoltre, se, per avere un conteggio definitivo sulle cavità ospitanti rifiuti o materiale radioattivo in Basilicata, e' stata svolta un'indagine sulle strutture o sorgenti interrate ad oggi non ufficialmente censite nel sito di Trisaia e se dunque esiste un elenco comprendente il serbatoio, le condotte interrate e le fosse con rifiuti (anche per sapere se la numerazione usata da So.Gi.N. -7.1, 7.2- sia da intendere in maniera seriale)?

Quanto materiale nucleare ospitato nel sito lucasno e' di proprietà straniera, a quale tipologia appartiene e con quale destinazione d'uso, e la sua presenza non rappresenti una violazione alle norme internazionali e delle leggi nazionali relative al transito e allo stoccaggio di materiale nucleare a potenziale uso bellico?

Quali sono i motivi per cui durante i lavori di costruzione dell'impianto per il condizionamento del prodotto finito (ICPF) di Trisaia la realizzazione delle palificazioni e' proseguita, benché So.Gi.N. avesse inoltrato l'avviso di contaminazione della falda da sostanze tossiche e cancerogene come il cromo esavalente e la trielina?

Per quale ragione non e' stato attivato, negli ultimi 5 anni, un piano di monitoraggio sugli alimenti specifico per la ricerca degli inquinanti censiti in falda? Perche' non si realizza un'indagine epidemiologica sulla mortalità a tutti i Comuni beneficiari delle compensazioni ambientali per il sito Itrec di Trisaia?

La Società gestione impianti nucleari – Sogin – è stata costituita il 1° novembre 1999 in ottemperanza al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, cosiddetto decreto Bersani, con il compito di controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi degli impianti nucleari italiani spenti, a seguito dei referendum abrogativi del 1987.

Dalla sua costituzione ad oggi la Sogin spa, con le risorse derivanti dagli oneri inseriti nelle bollette di energia elettrica a carico degli utenti, avrebbe dovuto smantellare le vecchie centrali da impianti nucleari italiani, mettendo in sicurezza i rifiuti prodotti durante la loro attività; invece, a distanza di circa un ventennio, si trova in una crisi gestionale, dalla quale emergono elementi poco rassicuranti anche per il futuro.

Con il decreto ministeriale 7 maggio 2001 dell'allora Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato (Gazzetta Ufficiale n. 122 del 28 maggio 2001) e con il successivo decreto ministeriale 2 dicembre 2004 del Ministro delle attività produttive (Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2005), recanti «Indirizzi strategici ed operativi alla Sogin – Società gestione impianti nucleari S.p.a., ai sensi del Decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79», sono state previste sequenze legate a calendari dei lavori, che non sono state rispettate.

in particolare, il condizionamento dei «rifiuti pregressi», molti dei quali sono ancora custoditi nei contenitori originali, avrebbe dovuto essere completato nel 2010 e lo smantellamento entro il 2018, mentre non risulta invece neppure iniziato il trattamento dei rifiuti più pericolosi degli impianti di Saluggia (VC) e di Trisaia (MT). I pochi lavori effettivamente in corso procedono con estrema lentezza, frutto di una crisi gestionale che si è di recente aggravata.

Negli ultimi due anni sono stati eseguiti lavori per appena il 30 per cento di quanto programmato nel piano industriale originario, sbilanciando il rapporto tra costi di gestione, inclusi quelli per il personale, e valore delle attività svolte.

I due principali contratti in essere, affidati a Saipem, relativi a due complessi progetti per la solidificazione di rifiuti liquidi ad alta attività negli impianti di Saluggia e di Trisaia, sono stati risolti unilateralmente ad agosto 2017 con quella che appare una piuttosto singolare interpretazione dei termini contrattuali (lavori versus forniture), azzerando ogni previsione sulla effettiva messa in sicurezza di quei rifiuti e comportando una causa civile intentata da Saipem, con la richiesta di danni ed altri oneri per complessivi 112 milioni di euro, che sarebbero anch'essi a carico degli utenti di energia elettrica.

Quali iniziative il Governo Draghi intende intraprendere allo scopo di rivedere il progetto del deposito nazionale alla luce delle conclusioni del parere della commissione Via/Vas n. 2577 del 12 dicembre 2017 relativo al programma nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi e delle osservazioni e delle condizioni ivi contenute, di cui deve tenere conto il rapporto ambientale?

Sogin spa gestisce il decommissioning delle quattro centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina e Garigliano e l'impianto Fn di Bosco Marengo, nonché gli ex impianti di ricerca Enea per il ciclo del combustibile Eurex di Saluggia, Opec e Ipu di Casaccia e Itrec di Rotondella. Sogin spa ha acquistato, negli ultimi anni, fusti in acciaio per lo stoccaggio di materiale radioattivo destinato ad alcuni dei siti. Certamente 1.200 fusti metallici in acciaio inox da 285 tonnellate per il sito di Casaccia risultano acquistati per una spesa di oltre 600.000,00 euro da Sider Piombino spa (ora Fucina Italia srl). Al riguardo, si segnala quanto si legge all'indirizzo internet https://ricerca.gelocal.it/iltirreno «... Un settore il nucleare in cui Sider può vantare prodotti esclusivi, come i contenitori schermati, usati per il trasporto e lo stoccaggio di materiale radioattivo, brevetto sviluppato in collaborazione con Sogin, e una speciale pompa per il trasferimento dei liquidi radioattivi...».

A pagina 61 del bilancio di sostenibilità 2016 di Sogin spa, riferito all'impianto Itrec di Trisaia, si legge: «... Per quanto riguarda le attività di messa in sicurezza dei rifiuti solidi SI.RI.S. sono stati caratterizzati e supercompattati, all'interno di contenitori “overpack” da 380 l, tutti i fusti contenenti i rifiuti solidi radioattivi non rilasciabili».

Un ingente quantitativo di tali fusti sarebbe stato acquistato (per il sito di Trisaia) da una società con sede a Bergamo, e una parte dei quali — da tempo inutilizzata — risulterebbe stoccata presso il sito di Bosco Marengo (AL), segnatamente nell'edificio BLD3.

La Sogin è la società dello Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani nonché della gestione dei rifiuti radioattivi. I rifiuti radioattivi in Italia derivano principalmente dal programma nucleare pregresso e sono stoccati nei depositi temporanei delle centrali nucleari di Trino, Latina e Garigliano e Caorso, negli impianti ex Enea Eurex di Saluggia, Itrec della Trisaia, Opec di Casaccia, nel deposito Avogadro di Saluggia e nelle installazioni del Centro comune di ricerca di Ispra di Varese della Commissione europea. Tutti in carico alla Sogin.

Le attività di decommissioning sono finanziate tramite costi aggiuntivi scaricati sulla bolletta elettrica, comportando, dunque, un aggravio economico in capo agli utenti.

A fine novembre 2018, la Sogin ha inviato all'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, (Arera) e al Ministero vigilante, il Mise; il programma quadriennale 2019-2022, che nuovamente riduce in modo significativo le attività previste dalla precedente programmazione presentata da Sogin a novembre 2017.

Il nuovo programma non solo non incrementa in alcun modo le attività di decommissioning di Sogin, ma di fatto ne riduce ulteriormente i volumi in tutti i siti, rispetto a quanto previsto dal piano del novembre 2017, prevedendo di conseguenza ulteriori ritardi nella conclusione dei lavori dei numerosi raggruppamenti di attività omogenee in ciascun sito (task). Il volume di decommissioning previsto per il quadriennio 2018-2021 in alcuni siti ha raggiunto una diminuzione di circa il 30 per cento.

Dai report inviati, a novembre 2018, dalla Sogin ad Arera e al Mise si riscontra che: su 91 task attive – per ciascuna task Sogin compila una scheda con un set di informazioni richieste da Arera, che viene aggiornata di anno in anno sino alla conclusione dei lavori della task – ben 36 hanno accumulato un ulteriore ritardo rispetto al piano del 2017; per 23 task l'ulteriore ritardo è maggiore o uguale a 1 anno; per 7 task l'ulteriore ritardo è maggiore o uguale a 2 anni. Tali ritardi si aggiungono a quelli già riscontrati dall'Autorità nei precedenti piani elaborati da Sogin.

Inoltre, tutto questo potrebbe comportare ulteriori slittamenti della data di fine attività prevista per importanti progetti: sino a 7 anni a Caorso e Trisaia, 8 anni a Trino, 8,5 anni a Saluggia, mentre non sono ancora valutabili i ritardi complessivi del progetto Cemex a Saluggia e del progetto ICPF a Trisaia.

È del tutto evidente che la continua riduzione dei volumi delle attività indica una grave e irrisolta crisi gestionale, confermata dall'analisi dei vari consuntivi di fine anno, dai quali emerge una serie di tante piccole attività, spesso affidate in house a Nucleco, e di anticipi di forniture, che al momento dell'effettivo utilizzo, anche diversi anni dopo, spesso risultano obsolete o non più conformi alla normativa vigente. Inoltre, il tutto è concentrato nell'ultima parte di ciascun anno, in sostituzione di attività di più ampio spettro, programmate in quanto prioritarie ed urgenti, ma continuamente rinviate o interrotte, come per esempio il progetto Cemex.

Il piano di decommissioning che la Sogin avrebbe dovuto rispettare è stato disatteso: le operazioni di smantellamento sarebbero dovute terminare nel 2025, con un costo pari 6,48 miliardi di euro. In seguito all'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione, la fine dei lavori è stata fissata per il 2036, con un aumento dei costi di quasi un miliardo di euro.

Sempre nel corso del 2017, l'azienda invece di accelerare ha rinviato di ben 13 anni la previsione della conclusione dei lavori a Trisaia, di ben 12 quelli di Trino Vercellese, di 11 quelli di Saluggia. Rispetto al piano industriale del 2013, il brown field dei siti è slittato di 11 anni, dal 2025 al 2036.


Tra il 2001 e il 2019, Sogin è costata 4,17 miliardi di euro (prelevati dalla bolletta elettrica), di cui appena 820 milioni di euro spesi per l'effettivo smantellamento dei vecchi impianti, e il resto per il funzionamento della società (2,11 miliardi) e per il trattamento all'estero del combustibile (1,24 miliardi). Sui lavori continuano ad accumularsi gravi ritardi: la loro conclusione, originariamente prevista per il 2019, nel 2013 venne rinviata al 2025, e nel 2017 posticipata al 2036; i costi complessivi, dagli iniziali 3,8 miliardi di euro, sono cresciuti a 7,3 miliardi previsti dal piano industriale del 2017, ma già nel biennio 2018-2019 sono stati effettivamente eseguiti lavori di smantellamento per meno della metà di quanto previsto dal quel piano, con ulteriori ritardi e inevitabili aumenti dei costi.

Il 12 dicembre 2019 il Governo Conte ha rinnovato il consiglio di amministrazione di Sogin e, invece della netta discontinuità o del commissariamento, invocati da più parti, ha optato per una scelta di continuità gestionale, nominando amministratore delegato un dirigente di lunghissimo corso, che negli ultimi 3 anni è stato il responsabile dello smantellamento dei 4 siti ex Enea, dove nel triennio si sono consumati i fatti più controversi, dalla risoluzione dei contratti con Saipem a Saluggia e Trisaia, con conseguente causa per oltre 100 milioni di euro ancora in corso e rinvio sine die della messa in sicurezza dei più pericolosi rifiuti nucleari italiani, al mancato raggiungimento del brown field a Bosco Marengo, continuamente annunciato durante il triennio ed infine rinviato di altri 3 anni.

Il 23 gennaio 2020 il consiglio di amministrazione ha approvato la «nuova» struttura organizzativa di Sogin che conferma, nel loro ruolo di dirigenti apicali alcuni dei principali protagonisti dei pessimi risultati sopra descritti.

Nel frattempo, dopo il grave incidente del 25 settembre 2019, quando un operaio rimase folgorato nel sito di Caorso, con seri danni fisici, il 1° febbraio l'Isin ha pubblicato la notizia di un nuovo incidente sempre a Caorso, riguardante la caduta da un'altezza ragguardevole di un fusto contenente resine radioattive, per fortuna senza danni fisici all'operatore del muletto e senza conseguenze radiologiche per la popolazione e l'ambiente; tuttavia, come pubblicato dal giornale la Libertà, le operazioni di spostamento degli oltre 6.000 fusti contenenti da oltre 35 anni le resine radioattive prodotte durante l'esercizio della centrale, destinati alla slovacca Javyis, che da contratto dovevano iniziare nel 2015 ed erano invece cominciate da pochi giorni, sono state sospese, in attesa, che Sogin metta a punto un nuovo sistema di sicurezza da sottoporre all'approvazione di Isin.

Il 12 dicembre 2021, un pirata informatico noto come "zerox296", non nuovo a simili azioni clamorose, ha sottratto al sistema informatico della Società di gestione impianti nucleari (SOGIN), partecipata interamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, che ha il compito di smantellare le centrali nucleari dismesse e realizzare l'impianto unico per stoccare in sicurezza le scorie radioattive italiane, 800 gigabyte di file dal contenuto vario, relativi al periodo 2004-2020, per poi metterli all'asta su due forum, uno dei quali russo, al prezzo (considerato basso) di 250.000 dollari in Monero, una criptovaluta circolante dal 2014 il cui valore supera, oggi, i 215 euro. A giudicare dai due campioni di informazioni pubblicati dal pirata a mo' di "assaggio", nel bottino non mancano i dati sensibili, comprese la mappa che localizza l'impianto ITREC di Trisaia di Rotondella (Matera), gestito da SOGIN, e la copertina dell'aggiornamento 2020 del piano di sicurezza dell'ex centrale nucleare di Caorso (Piacenza). Oggi, ufficialmente non è dato sapere chi possa avere attualmente a disposizione quella mole gigantesca di dati, tale da configurare l'accaduto (tecnicamente un'esfiltrazione) come il più grande furto di dati mai commesso in Italia.

Preoccupa, inoltre, l'evidenza di una certa imprudenza, se non proprio sciatteria, nella tenuta dei dati trafugati (comprese password in chiaro), rivelatrice della mancanza dei requisiti minimi di sicurezza. Considerati la delicatezza dei compiti di SOGIN, che peraltro collabora con altre aziende strategiche italiane come Leonardo e Saipem, il possibile utilizzo dei dati rubati per scopi poco chiari e non necessariamente amichevoli, la loro presenza sui server in una nazione che oggi non gode più del credito né dell'affidabilità riconosciutale in passato, anzi sembra considerare gli impianti nucleari particolarmente appetibili dal punto di vista militare.

Riferimenti:

Gianni Lannes, Il grande fratello. Strategie del dominio, Draco edizioni, Modena, 2012. 

Gianni Lannes, Italia Usa e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=trisaia

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=sogin 

https://sulatestagiannilannes.blogspot.com/search?q=nucleare

Nessun commento:

Posta un commento

Gradita firma degli utenti.