BIOGRAFIA

10.6.20

ITALIA: DISCARICA NUCLEARE!



di Gianni Lannes

Nuovo coronavirus? Ecco la vera emergenza dimenticata, altro che distrazioni di massa e specchietti per le allodole. Piuttosto: plutonio 239 e 240 (cancerogeni e letali) che vantano un'emivita di 24.400 anni, ormai presenti nei mari dello Stivale. Inquinamento radioattivo a tappeto in mare e sulla terraferma, malattie, morte, rischi, pericoli e costi economici a danno dell'ignara popolazione tricolore. Ogni anno in Italia, si continuano a produrre e ad occultare dove capita oltre 500 metri cubi di rifiuti radioattivi (sanitari e industriali). A proposito: dov'è il deposito unico delle scorie nucleari tanto strombazzato nell'ultimo lustro e la Cnapi? Governo e Parlamento - alla prova dei fatti - risultano a dir poco latitanti in relazione al gravissimo attentato in corso alla salute pubblica.

 
Sogin spa gestisce il decommissioning delle quattro centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina, Garigliano e l'impianto Fn di Bosco Marengo, nonché gli ex impianti di ricerca Enea per il ciclo del combustibile Eurex di Saluggia, Opec e Ipu di Casaccia e Itrec di Rotondella in Basilicata. Non è tutto. Washington ha deciso di incrementare ancora il numero di bombe nucleari già presenti nel belpaese in violazone della Costituzione repubblicana italiana e del Trattato di non proliferazione.

In un'intervista rilasciata dal generale a riposo Chuck Wald della Us Air Force all'agenzia Bloomberg del 16 novembre 2019 lo stesso ha dichiarato che «Cinquanta testate nucleari sarebbero pronte a traslocare dalla base turca di Incirlik, in Anatolia, alla base Usaf di Aviano, in Friuli Venezia Giulia, in quanto gli Usa diffiderebbero sempre più della fedeltà alla Nato del presidente turco Erdogan».
Nonostante tale trasferimento di testate nucleari verso la base di Aviano sia stata smentita dal nostro Ministero della difesa, l'Italia continua comunque ad essere base avanzata delle forze nucleari Usa.

Ad Aviano, sede del 31esimo Fighter Wing, si troverebbero già una trentina di testate nucleari e un eventuale trasferimento di una cinquantina di altre testate dalla Turchia trasformerebbe la Base Usaf pordenonese nel più grande deposito europeo di armi nucleari.
Dalle stime effettuate risulterebbe che gli USA stiano sostituendo le attuali bombe nucleari B61 con il nuovo modello B61-12 che, a differenza delle precedenti, si dirigono verso l'obiettivo guidate da un sistema satellitare ed hanno la capacità di penetrare nel sottosuolo, esplodendo in profondità per distruggere i bunker dei centri di comando;
IL programma del Pentagono prevede la costruzione a partire dal 2021 di 500 B61-12, con un costo di circa 10 miliardi di dollari.

Attualmente non si sa quante B61-12 verranno schierate in Italia né in quali basi, probabilmente non solo ad Aviano e Ghedi e come risulta dallo stesso bando di progettazione pubblicato dal Ministero della difesa, i nuovi hangar di Ghedi, potranno ospitare 30 caccia F-35 (a capacità nucleare) con 60 bombe nucleari B61-12, il triplo delle attuali B-61.

Allo stesso tempo, gli Usa si preparano a schierare in Italia e in Europa missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 chilometri) con base a terra.
il 18 agosto 2019, inoltre, gli Usa hanno testato un nuovo missile da crociera e il 12 dicembre un nuovo missile balistico in grado di raggiungere l'obiettivo in pochi minuti; contemporaneamente rafforzano lo «scudo anti-missili» sull'Europa.
In questo contesto anche la Russia sembrerebbe cominciare a schierare missili ipersonici, in grado di raggiungere una velocità di 33.000 chilometri orari e di manovrare, e che possono forare qualsiasi «scudo».

L'Italia - sulla carta - è un Paese non-nucleare, ed è già grave che ospiti e sia preparata ad ospitare ulteriori armi nucleari, avendo anche ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare, ancor più grave sarebbe aumentarne il numero.

Sogin spa ha acquistato, negli ultimi anni, fusti in acciaio per lo stoccaggio di materiale radioattivo destinato ad alcuni dei siti. Certamente 1.200 fusti metallici in acciaio inox da 285 tonnellate per il sito di Casaccia risultano acquistati per una spesa di oltre 600.000,00 euro da Sider Piombino spa (ora Fucina Italia srl). 
 
A pagina 61 del bilancio di sostenibilità 2016 di Sogin spa, riferito all'impianto Itrec di Trisaia, si legge: «... Per quanto riguarda le attività di messa in sicurezza dei rifiuti solidi SI.RI.S. sono stati caratterizzati e supercompattati, all'interno di contenitori “overpack” da 380 l, tutti i fusti contenenti i rifiuti solidi radioattivi non rilasciabili».

Un ingente quantitativo di tali fusti sarebbe stato acquistato (per il sito di Trisaia) da una società con sede a Bergamo, e una parte dei quali — da tempo inutilizzata — risulterebbe stoccata presso il sito di Bosco Marengo (AL), segnatamente nell'edificio BLD3.


Tra i compiti della Sogin c'è anche quello di garantire la sicurezza degli impianti e delle strutture, la salute dei lavoratori e della popolazione, la salvaguardia dell'ambiente. Per questo il sistema regolatorio riconosce a carico dei consumatori elettrici dei «costi obbligatori».

Questi, secondo la delibera Autorità di regolazione per energia reti e ambiente 606-2018, per l'anno 2018 sono pari a 66,5 milioni di euro, 7,5 milioni in più del 2017.

Il piano a vita intera presentato dall'attuale amministratore delegato a novembre 2017, rinvia al 2036 la fine del decommissioning, ritardandolo sino a 13 anni nei diversi siti, rispetto alle previsioni del 2013, e aumenta la stima dei costi complessivi di circa 800 milioni di euro, portandola a 7,25 miliardi, tutti prelevati dalla bolletta elettrica. Di questi 800 milioni di aumento 200 sono dovuti proprio a maggiori costi di mantenimento in sicurezza.

Dal 2001 al 2018 Sogin è costata ai consumatori elettrici 4 miliardi di euro, di cui 2 miliardi per il funzionamento della società e per il mantenimento in sicurezza, e solo 780 milioni per il condizionamento dei rifiuti pregressi e per lo smantellamento.

Per il sito Bosco Marengo (AL), dove aveva sede la «Fabbricazioni Nucleari», la conclusione dei lavori di smantellamento delle strutture, sino al raggiungimento del «brown field», è ancora rinviata. Nel 2008 era prevista per il 2009, nel 2010 per il 2012, nel 2013 per fine 2013, nel 2014 per il 2016 e così via. 
 
L'amministratore delegato a novembre 2016 dichiarò in Senato che i lavori sarebbero stati conclusi «al più entro il primo semestre 2017»; poi il 20 dicembre 2018 ha dichiarato sempre in Senato che il brown field sarebbe avvenuto a fine 2018. Ad oggi i lavori ancora continuano (si fa per dire): questo dimostra il totale stallo gestionale di Sogin.

Ad agosto 2014 nel corso di lavori nel sito è stata rinvenuta una quantità imprecisata di materiale industriale di scarto abusivamente interrato, come riporta il sito web del Movimento medicina democratica Onlus di Alessandria.
Dalla documentazione presentata da Sogin al tavolo della trasparenza, 26 novembre 2014, si evince che Sogin ha effettuato una campagna di indagini geofisiche accertando l'effettiva presenza diffusa di materiali interrati nel sottosuolo.

Dopo alcuni accertamenti preliminari, nel 2015 Sogin ha comunicato la non rilevanza radiologica e chimica dei materiali rinvenuti, mentre per altri approfondimenti c'è stato un rinvio. Dopo cinque anni non è ancora ufficialmente noto il livello di pericolo radiologico e chimico dell'area e delle aree confinanti, utilizzate, in buona parte, per scopi agroalimentari. Sulla vicenda la procura di Alessandria ha aperto un'inchiesta.

Nel corso del 2017, su campioni d'acqua prelevati da pozzi nelle campagne nei pressi del sito di Bosco Marengo, e recentemente sulle acque di falda, sono state eseguite analisi chimiche che hanno rilevato la presenza di inquinanti chimici, in particolare solventi clorurati, utilizzati per la preparazione del combustibile nucleare.

Il circolo di Legambiente del Vercellese ha segnalato alla Legambiente nazionale un probabile interramento di rifiuti radioattivi che sarebbe avvenuto nell'anno 2007 in occasione dei lavori di costruzione di un edificio industriale nel sito della azienda allora denominata «Sorin Site Management srl» attualmente denominata «Livanova Site Management srl».

L'interramento sarebbe avvenuto alle coordinate 45°12'57.7"N 8°01'50.8"E ovvero 45.216034, 8.030780. Tali rifiuti radioattivi potrebbero essere tuttora sepolti ad una minima profondità, ricoperti dalla pavimentazione in cemento, e potrebbero verosimilmente derivare dalla attività di gestione di un reattore nucleare sperimentale che Sorin ha utilizzato negli anni ’60-’70 e che successivamente è stato smantellato per fare posto al deposito nucleare «Avogadro».

Tali rifiuti radioattivi potrebbero causare un probabile danno sotto il profilo sanitario o ambientale, disperdendo la radioattività nel terreno e mettendo in pericolo anche l'importante falda acquifera sottostante che, tra l'altro, alimenta i pozzi del più esteso acquedotto del Piemonte, l'acquedotto del Monferrato, i cui pozzi sono collocati a circa mille metri a valle, nel senso di scorrimento della falda, rispetto al luogo del presunto interramento dei rifiuti radioattivi.
A tal proposito, si evidenzia che la Legambiente ha inviato, in data 28 novembre 2017 una segnalazione dettagliata su questa vicenda al comandante dei carabinieri per la tutela dell'ambiente.


Nel sito di Saluggia (Vercelli) sono custoditi 230 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi ed acidi, prodotti a partire degli anni ‘70, durante l'esercizio dell'impianto Eurex. Secondo l'inventario nazionale quei rifiuti contengono il 75 per cento del totale della radioattività di tutti i rifiuti sul territorio italiano. Dopo l'alluvione del 2000, l'allora presidente dell'Enea inviò al Governo una lettera, recentemente ripresa dagli organi di stampa, nella quale venivano sintetizzati i risultati di uno studio fatto condurre dallo stesso presidente, da cui emerge che lo sversamento di una parte sostanziale di tali rifiuti Causerebbe gravissime contaminazioni in Vaste regioni adiacenti ai fiumi Dora e Po e alle falde freatiche adiacenti.
 
L'elevato rischio radiologico rappresentato da quei rifiuti è noto sin dall'avviamento dell'impianto Eurex a Saluggia; già nel 1977 l'autorizzazione all'esercizio prescrisse l'obbligo di solidificazione dei rifiuti liquidi «entro 5 anni»; nel 2000, un decreto del Ministero dell'industria fissò al 31 dicembre 2005 i termini per il completamento delle attività di solidificazione dei rifiuti liquidi; nel 2005, un nuovo decreto prorogò al 31 dicembre 2010 i termini per il completamento, ad opera di Sogin, delle attività di solidificazione di tutti i rifiuti liquidi; infine nel 2010, un nuovo decreto del Ministro dello sviluppo economico autorizzò la realizzazione dell'impianto Cemex per la cementazione di quei rifiuti liquidi, prorogando il termine del 31 dicembre 2010 e prescrivendo il loro completamento entro 4 anni dall'approvazione del progetto esecutivo.

Nel 2012, dopo 3 annullamenti in autotutela e riedizione della gara, Sogin assegnò l'appalto al raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla Sapiem, Maltauro per le opere civili e dalla francese Areva, come consulente nucleare.
Il 24 giugno 2015, Ispra approvò il progetto esecutivo dell'impianto Cemex; pertanto, il termine per il suo completamento prescritto dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 23 dicembre 2010, è il 23 giugno 2019.
Successivamente, l'attuale amministratore delegato di Sogin ad agosto 2017, con l'unanime consenso del consiglio di amministrazione, ha risolto il contratto con Saipem, dopo un lungo e anomalo contenzioso, le cui ragioni sono ben sintetizzate negli atti di due audizioni in Commissione industria del Senato, a novembre 2017. Pertanto, Saipem non ha potuto procedere secondo i programmi a seguito della risoluzione del contratto e ha citato Sogin in sede civile, con richiesta di risarcimento per oltre 70 milioni di euro. Tenendo conto che il capitale sociale di Sogin è pari a 15 milioni di euro, l'eventuale soccombenza comporterebbe l'intervento dell'azionista Mef, con evidente danno alla collettività, che si aggiungerebbe al consistente incremento dei costi del decommissioning, a carico dei consumatori elettrici.

A fronte di tutto questo Sogin, ad aprile 2018, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico istanza di rinvio della prescrizione, prevista dal decreto ministeriale 23 dicembre 2010; il Ministero a giugno 2018 ha presentato all'Isin di esprimere il proprio parere sull'ipotesi di ulteriore rinvio della prescrizione; l'Isin ha risposto ricordando che nel 2010, l'Ispra aveva indicato che la cementazione dei rifiuti radioattivi liquidi era fondamentale per ridurre in termini sostanziali il livello di rischi e che la richiesta esulava dalla competenza Isin. Ancora più grave è il fatto che a più di mezzo secolo dalla loro produzione e dopo il parere dell'Ispra non solo ancora nulla è stato risolto, ma il rischio di incidente è aumentato notevolmente.


Riferimenti:

Gianni Lannes, ITALIA USA E GETTA, Arianna editrice, Bologna, 2014.