foto Gilan (2019) © |
di
Gianni Lannes
Qual è il senso della vita? Almeno l'arte
e la bellezza naturale sono il nutrimento dell'anima, quando prevale il senso dell'io e scema il pensiero del noi. Dunque, attenzione
all'ossessione delle cose che sopravvivono agli umani. È difficile
sciogliere il nodo segreto che stringe la pulsione di morte
all'assoluta volontà di vita. La morte - esorcizzata ed occultata dalla modernità nell'immaginario collettivo - non è il nemico che
dall'esterno insidia l'esistenza umana, ma qualcosa che essa stessa
produce per contrasto, allorché cancella il proprio limite
costitutivo. Si vive, anzi sopravvive, come se mai si dovesse morire, senza apprezzare il presente, accumulando beni materiali, e perdendo anche di vista la bellezza vera dell'amore e dell'amicizia, smarrendo il senso di comunità.
Nella
stagione del disamore dilagante, l'edonismo consumistico ha preso il
posto delle passioni politiche, in un possessivo culto che trasforma determinati oggetti di consumo
in reliquie. Ad esempo: la diffusione illimitata degli smartphone ormai
protesi assillante della personalità umana. Comunque, questa
moltiplicazione compulsiva degli oggetti, anziché riempire il vuoto
di senso che scava e disorienta l'esistenza, lo ha ampliato a
dismisura. Infatti, le malinconie contemporanee nascono
dall'incapacità di conferire senso all'esperienza. Priva di
desiderio, chiusa in se stessa, la vita è inchiodata alla propria
insensatezza apparente (imposta dal sistema economico), mentre il corpo diventa un peso morto da trascinare, occultato in viso da una maschera ad uso della scena pubblica. La
persona, sottratta al rapporto simbolico con l'alterità, resta
schiacciata sui propri confini egoistici, abbarbicandosi ad essi come all'unica
salvezza possibile. Si tratta di una sindrome che ha il proprio
fulcro nella richiesta ossessiva di protezione sociale. Il muro, il filo
spinato, la barriera, insomma la chiusura all'altro diventano
l'emblema tragico ed escludente del nostro tempo infelice dell'Occidente, arido di passioni collettive, dove ormai latita il senso di comunità.
È
l'ennesimo passaggio di paradigma dalla ricerca illimitata di
godimento individuale, all'assunzione del confine come nuovo oggetto di
investimento emotivo nell'ambito sociale (e politico). I due stati
emotivi sono l'esito rovesciato l'uno dell'altro. A congiungerli è
la pulsione di morte, situata al fondo stesso della vita. Una società non si evolve se non coltiva l'accoglienza e la condivisione in favore del bene comune, piuttosto che la gretta chiusura e l'interesse di pochi.
L'illusione
che tutto sia governabile - nella vita individuale e collettiva -
conduce gli esseri umani alla catastrofe. Solo se essi impareranno a
convivere con l'ingovernabile, anzi con l'indecifrabile, a dialogare
con l'estraneo che li abita, saranno in grado di governare realmente
se stessi.