foto Gilan
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di
Gianni Lannes
Una
landa di malati e morti viventi. Insomma, vedi Taranto e te ne vai
all'altro mondo. Nel belpaese della fantapolitica eterodiretta
dall'estero va pure in onda il recesso dal contratto. Il ministro per
lo Sviluppo Economico ha fatto sapere che «il governo non
consentirà la chiusura dell’Ilva. Non esistono presupposti
giuridici».
Invece
di avviare la riconversione ecologica che assicurerebbe lavoro per i
prossimi 20 anni con ricadute occupazionali nel turismo sostenibile
dalla Natura, invece di bonificare il territorio pesantemente
inquinato per volontà dello Stato italiano annientando la salute di
migliaia di persone pur di assicurare il profitto privato a
pochissimi miracolati, invece di chiudere a Taranto l'acciaieria che
detiene il record europeo nella produzione delle micidiali diossine
cancerogene unitamente a tanti altri veleni, così come i ras del
movimento 5 stelle per anni avevano promesso in campagna elettorale
ai cittadini creduloni, i telecomandati politicanti grulpiddini,
consentono ad una multinazionale straniera di fare i comodi suoi con
gli operai e la popolazione della regione Puglia.
ArcelorMittal ha fatto notare che anche gli altri due altoforni in funzione dovrebbero adottare "ragionevolmente e prudenzialmente" le precauzioni tecniche previste per l'altoforno 2. In tal modo l'azienda ammette implicitamente che anche gli altri due altoforni non adottano le tecnologie per garantire la sicurezza per i lavoratori.
La messa a norma di tutti gli impianti e l'adozione per gli altoforni delle migliori tecnologie disponibili doveva terminare nel luglio 2014, secondo il cronoprogramma dell'Autorizzazione Integrata Ambientale ILVA. I lavori, cominciati pro forma nel 2012, hanno segnato continuamente il passo in una sceneggiata che ha rasentato il grottesco. Se non fosse avvenuta l'adozione delle migliori tecnologie disponibili, la prima legge Salva Ilva del dicembre 2012 prevedeva il fermo degli impianti, che attualmente sono sotto sequestro penale in virtù dei provvedimenti della magistratura che sta processando i vertici dell'ILVA. Con sfrontata determinazione i vari governi hanno cambiato quella legge con proroghe e deroghe che hanno rendo poi necessaria l'adozione dell'immunità penale in quanto gli attuali impianti sono in funzione a rischio e pericolo di chi li fa funzionare. Permangono numerose carenze ed emerge la mancanza di requisiti minimi importanti quali i certificati di prevenzione incendi degli altoforni, delle cokerie e degli altri impianti ad alto rischio.
In queste condizioni è stato ridotto lo stabilimento siderurgico più grande d'Europa con una politica di proroghe e deroghe che è servita solo a tirare a campare e a spostare sul governo successivo la "patata bollente". Abbiamo assistito a uno scaricabarile continuo che non ha fatto onore allo Stato Italiano che è infatti stato condannato dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) per non aver protetto i cittadini di Taranto.
ILVA vanta impianti a dir poco pericolosi e fuori norma che richiederebbero investimenti mai fatti e che - date le ingenti perdite economiche - non verranno mai realizzati. Più di tutto: il siderurgico è assolutamente incompatibile con il territorio. Volevano proseguire con uno scudo penale in questo andazzo, ma ormai la sceneggiata è arrivata al suo termine ed emerge tutta la vergogna di uno Stato che - governo telecomandato dopo esecutivo eterodiretto - non ha protetto la popolazione di Taranto, forse perché troppo a sud.
ArcelorMittal aveva fatto pressioni durante l'estate e Di Maio (allora ministro al MISE) dopo le proteste della multinazionale, era intervenuto ad agosto sull'art. 2 del d.l. del 2015, ampliando lo spettro delle condotte che non potevano far sorgere responsabilità penale per gli affittuari e gli acquirenti (ossia ArcelorMittal).
Tuttavia in sede di conversione del suddetto decreto, una volta cambiato il governo, si è tolta la modifica di agosto, sopprimendo l'articolo che ampliava lo scudo penale.
Guarda caso il passaggio dal "grande scudo penale" al "piccolo scudo penale" entra in vigore proprio domani 5 novembre, ecco il perché della decisione di ArcelorMittal di lasciare l'ILVA. Ma a ben vedere vi sarebbe stata una più che probabile sentenza della Corte Costituzionale, nuovamente interpellata dal GIP, e una più che prevedibile richiesta di spegnimento dell'altoforno numero 2 da parte della magistratura che aveva dato l'ultimatum definitivo per dicembre, a fronte del quale i lavori previsti di messa a norma risultano attualmente non eseguiti.