Gan Sasso - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati) |
di Gianni Lannes
Da bere per decenni acqua da laboratorio nucleare. Incidenti
noti ed ignoti all’opinione pubblica a partire dal 2002, soprattutto all’ignara
popolazione autoctona che ha ingoiato oro blu inquinato e contaminato. Ora,
dopo ben cinque esposti documentati dei cittadini, è intervenuta la Procura
della Repubblica di Teramo.
Il Gip ha disposto il sequestro di alcune aree dell'Istituto
di fisica nucleare, in ragione dello “stato di generale abbandono, se non di
degrado, di alcuni tratti delle gallerie dei laboratori" - dove - “viene
raccolta la maggior parte delle portate poi destinate all’uso idropotabile”. Un
acquedotto che disseta ben 700 mila ignari abruzzesi.
Gravi “rischi di contaminazione” delle falde acquifere,
dovuti a una struttura, quella dei laboratori del Gran Sasso, “fragile”, in uno
stato di “generale abbandono” e quindi “non in grado di garantire la
collettività” poiché, sostengono i magistrati, non c’è stata “la necessaria
separazione” tra le condotte destinate alle acque per consumo umano e quelle di
‘scarto’.
Rischi, pericoli e contaminazioni? A preoccupare il giudice
per le indagini preliminari, che ha preso in considerazione le indagini
giudiziarie del NOE Carabinieri, è soprattutto “lo stato di generale abbandono,
se non di degrado, di alcuni tratti delle gallerie dei laboratori del Gran
Sasso, come il nodo B”, dove “viene raccolta la maggior parte delle portate poi
destinate all’uso idropotabile”. La grande struttura scientifica all’interno
del massiccio del Gran Sasso, fiore all’occhiello della ricerca italiana,
sarebbe, “sotto numerosi aspetti, fragile, non sufficientemente
impermeabilizzata e non in grado di garantire la collettività dai gravi rischi
di contaminazione delle falde acquifere”. Lo attesta il gip Roberto Veneziano,
appunto nel suo decreto di sequestro: “Non riteniamo che ci sia stata la
necessaria separazione tra le reti di condotte destinate alla raccolta e al
convogliamento delle acque per un uso non idropotabile e quelle, molto più
delicate e complesse, finalizzate al consumo umano”. E queste ultime avrebbero,
in più, una “una scarsa resistenza alle azioni sismiche che purtroppo
caratterizzano l’intera area del Gran Sasso, e sono quindi facilmente
lesionabili” e “un funzionamento a ‘pelo libero’ per cui, nel caso di lesioni o
di scarsa tenuta dei giunti (circostanza assai frequente in questo tipo di
tubazioni) l’acqua può uscire o entrare dalle stesse”.
Riferimenti: