«Noi
giornalisti dovremmo cercare di essere i primi testimoni imparziali della
storia. Se mai abbiamo una ragione di esistere, dev'essere almeno quella di
raccontare la storia mentre accade, affinché nessuno possa dire: “Non sapevamo,
nessuno ce lo aveva detto”» ha scritto Robert Fisk (Cronache
mediorientali, Il Saggiatore, Milano 2006).
Invece in Italia tanti cronisti inchiavardati ad atavici privilegi, risultano al
soldo o fungono da megafono del potere. Ed imperversa da sempre il lavoro nero soprattutto
a danno dei giovani, mal pagato e supersfruttato. Il merito professionale e la capacità intellettuale non sono premiate nello Stivale.
Il giornalismo italidiota è spesso connivente con gli
interessi economici e politici (a volte mafiosi), sovente autoreferenziale. Basta notare come i padroni del vapore hanno degradato quotidiani e settimanali, riducendoli ad un palcoscenico di burattini ammaestrati. L’ambiente giornalistico nostrano (composto da innumerevoli imboscati, raccomandati e accucciati) è impastato di crasso nepotismo: è sufficiente un’occhiata alla Rai, ma non solo. L’accesso
alla professione è manipolato dall’alto, ad uso e consumo di chi comanda per conto terzi in questa colonia a stelle e strisce. Esattamente il contrario dello spirito
di questo nobile mestiere: controllare il potere e non essere addomesticato.
L’abolizione di un ordine autoreferenziale - voluto all’epoca
da Mussolini - che oggi non ha più alcuna ragione di esistere, è quindi un atto
più che dovuto. La libertà di espressione è ben altra cosa. Sia chiaro però: l'Italia, anche se in evidente declino morale, non è il terzo mondo dell'Europa.
Per dirla con Joseph Pulitzer: «Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema.
perché a essa ci si può sempre appellare contro, le pubbliche ingiustizie, la
corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta
è lo strumento efficace di un simile appello».
riferimenti: