di Gianni Lannes
C’era una volta: sacro
e profano. Fuochi da Oriente a Occidente, da un tempo remoto al presente senza
memoria del passato. E mi torna in mente la figura di Giovanni Battista:
l’unico santo di cui si celebra la nascita e non la morte o il martirio (24 giugno).
Come per il Natale di Cristo (rinascita del
sole), la festa cade attorno al giorno del solstizio estivo, la notte
delle streghe. A San Giovanni danza la natura. È la festa di una civiltà
agricola, una notte che si trascorreva nei campi di grano appena trebbiato,
accendendo fuochi che aiutavano il sole a risollevarsi la mattina successiva,
dopo il massimo sforzo. Fuoco ma anche acqua: la rugiada di San Giovanni è
magica e regala alle donne il potere di generare figli. Il più lungo giorno del
sole abbraccia la notte imperscrutabile. Un dualismo senza contrasti apparenti:
nelle culture arcaiche - dove la concezione del tempo è circolare - l’opposto è
continuità.
La magia si mescola
alla religione, la luce al buio (e viceversa), i santi cristiani convivono con
le divinità pagane. L’antropologo James Frazer nel Ramo d’oro scrive che
«Chiamando col nome di San Giovanni Battista i fuochi di mezz’estate gli si è
data una leggera tinta cristiana, ma non possiamo dubitare che la loro
celebrazione dati da molto tempo prima del principio dell’era nostra».
Proprio in quel
repertorio di usi e costumi il celebre studioso racconta di falò rituali accesi
in tutta Europa: dalla Grecia alla Provenza, dalla Sicilia alla Scozia. Il
grande rogo di quella notte, fino a qualche tempo fa, illuminava l’Africa
settentrionale, unificando in un unico credo diverse religioni.
Sul Natale dell'estate
la patina di cristianesimo è assai leggera. Molto incandescente il simbolismo
del sole, troppo radicati i riti di fertilità della civiltà agricola.
San Giovanni corrisponde anche alla notte
delle “streghe”, le donne di un’antica primitiva religione che venerava il
caprone prima ancora di Pan e Dioniso. Un credo conservato lontano da templi e
basiliche, prima di venir estirpato con ferocia dalla “Santa Inquisizione”.
Al calar delle tenebre della vigilia si
radunavano le “streghe” per partecipare al Sabba. Volavano a Benevento, a
ballare sotto il maestoso noce. E, in effetti, il nocino si può fare solo con i
gherigli freschi raccolti il 24 giugno, e tutte le erbe più potenti della
farmacopea naturale si colgono nello stesso giorno. La notte di San Giovanni è
animata: dai fuochi danzanti alle streghe in festa; dagli amanti alle donne
sterili a caccia di rugiada; dalle fate e i folletti a Diana-Ecate, dea delle
erbe magiche.
Le feste scandivano il
calendario “popolare”: per il 24 giugno il grano doveva essere falciato e le
erbe spontanee raccolte. La salvia, ad esempio, che insaporisce i cibi e
guarisce buona parte dei mali sconosciuti. Oppure il sambuco, che cura la
tosse. E la felce maschio che cicatrizza le ferite. E ancora, in una
commistione di magia, medicina popolare (ampiamente saccheggiata dalla scienza
ufficiale) e cucina, il viburno, la margherita, l’artemisia: le erbe più
potenti per le guarigioni, proprio perché raccolte nel giorno il cui il sole ha
conferito loro la massima potenza. L’iperico o erba di san Giovanni, serve a
curare le bruciature e le cotture del fuoco. Ma l’ipericina, il principio
attivo della pianta, è soprattutto un potente sensibilizzatore dell’organismo
alle radiazioni solari.
Il giorno che festeggia la pienezza di madre Natura,
è anche quello dedicato al Battista, ovvero ai battesimi. Un rituale non troppo
ortodosso per la chiesa cattolica. Il rito originario, l’immersione, appunto,
profumava troppo di pagano per i sacerdoti della regola, troppo vicina alla
rugiada magica del seme agreste che fertilizza e feconda donne e natura. Ai
giorni nostri del magnifico intreccio fra acqua e fuoco - che percorre la notte
e il giorno - non sopravvive che qualche trama perduta.