di Gianni
Lannes
Per dirla con Ignazio Silone: "Dopo la liberazione dal fascismo bisogna liberarsi dell'antifascismo". Invasione ed occupazione, altro che liberazione alleata. Ecco perché mandano in onda una finta lotta alla mafia. Al di là della farsa elettorale, ben oltre il recente
teatrino dei politicanti italidioti, altro che recenti accordi istituzionali di livello criminale. Nel
belpaese la trattativa Stato& Mafia è antica, propedeutica all’armistizio
corto di Cassibile, datato 3 settembre 1943. Nei documenti ufficiali, non solo
di Washington, ma perfino della colonia tricolore, si evince, che la Repubblica
è stata ipotecata fin dagli albori dal patto di Washington con la mafia
italo-americana (operazione Husky).
Un
consiglio di lettura, già pubblicato: il rapporto Scotten dell’ottobre 1943. Allora,
di che meravigliarsi se lo Stato tricolore ( e i vari governi) non hanno mai
condotto una vera lotta alle organizzazioni criminali, ben protette
dall’alleato-padrone, e lasciato ammazzare i suoi migliori rappresentanti.
Nel febbraio 1946 Lucky Luciano viene rilasciato
sulla parola ed estradato in Italia dallo stesso uomo che l’aveva messo in
prigione: Thomas E. Dewey, che da giudice nel frattempo è diventato governatore
dello stato di New York. A Lucky Luciano grazie alle clausole segrete del Trattato di Pace del 1947, siglato a Parigi, dagli anni ’50 viene addirittura consentito di impiantare in Italia il
traffico di eroina.
Lucky Luciano |
Ecco, di seguito, uno stralcio esemplificativo di
una relazione della Commissione parlamentare stragi durante la VI legislatura.
«L’esistenza di un rapporto diretto tra settori
politici e istituzionali e il potere mafioso è dato che, sin dalla fase
fondativa della Repubblica, può ritenersi evincibile da documentate certezze» è
quanto si legge nella relazione di minoranza del Movimento sociale italiano,
presentata al termine dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta
sulla mafia della VI legislatura, vi sono, sotto forma di allegati, due
documenti che appaiono di grande interesse per chiarire la possibile origine di
un dialogo con la mafia di settori politici e istituzionali, fondando, sia pure
sulla base di una valutazione probabilistica, l’ipotesi che tale dialogo (in
forme ora armistiziali, ora più intensamente collusive) sia proseguito nei
decenni successivi. Sono due rapporti, con classifica di segretezza, inviati
dal console generale degli Stati Uniti a Palermo, Alfred T. Nester, al
Segretario di Stato il 21 e il 27 novembre 1944.
Il titolo del primo è “Meeting of Maffia Leaders
with General Giuseppe Castellano and formation of group favoring autonomy”. Il
testo, anch’esso in inglese, recita:
«Signore, ho l’onore di informarla che il 18
novembre 1944 il generale Giuseppe Castellano, insieme ai capi della Mafia,
presente Calogero Vizzini, si è incontrato con Virgilio Nasi, capo della nota
famiglia Nasi di Trapani, e gli ha offerto di assumere la direzione del
Movimento per l’autonomia siciliana, appoggiato dalla Maffia (…). Il Movimento
è ancora in una fase iniziale di organizzazione, quindi questo mio rapporto non
potrà essere completo. Il generale Castello (…) ha stretto contatti con i
capimaffia e li ha incontrati in più occasioni. Come già riferito nel mio
dispaccio n. 65 del 18 novembre 1944, membri importanti della Maffia si sono
incontrati a Palermo, e uno dei risultati di questi incontri è stato di
chiedere a Virgilio Nasi di Trapani di mettersi alla testa del Movimento, con
l’obiettivo di diventare Alto Commissario per la Sicilia. (…) [3]. Il secondo
documento, datato, come si è detto, 27 novembre 1944, ha per titolo: “Formation
of group favoring Autonomy under direction of Maffia”. In esso è ripreso il
testo di un rapporto dell’OSS nel quale è detto tra l’altro: “Dopo tre giorni
di incontri segreti con esponenti della Maffia a Palermo, il generale Giuseppe Castellano,
comandante della divisione Aosta di stanza in Sicilia, ha steso una bozza di
accordo sulla scelta e l’appoggio di un candidato come Alto Commissario per
sostituire il favorito Salvatore Aldisio, della Democrazia Cristiana. (…). Il
candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della
provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver
esposto il suo piano ai capi dell’alta Maffia durante la settimana. L’incontro
tra il generale Castellano e Nasi è avvenuto sabato su una spiaggia fuori mano
a Castellammare del Golfo. Erano presenti due luogotenenti di Nasi, l’ex
aiutante del generale Castellano in Nord Africa e a Roma, il capitano Vito
Guarrasi e l’avvocato Vito Fodera” [4]. Sono dati che non hanno soltanto un
valore storico chiuso alla fase fondativa della nostra Repubblica [5], ma che
assumono rilievo anche alla luce di nuove ipotesi accusatorie formulate dalla
magistratura inquirente, con riferimento ad una continuità di relazioni che
dirigenti politici e di governo di assoluto rilievo avrebbero stabilito, nel
corso dell’ultimo quarantennio, con uomini e ambienti vicini e addirittura
organici alla mafia. Dovuta è peraltro l’avvertenza che, nell’assunta
prospettiva d’indagine, tali clamorosi episodi, che pur meritano opportuna
verifica giudiziaria, assumerebbero, se positivamente verificati, il rilievo
non tanto come momenti in cui veniva stretto o confermato un patto collusivo,
quanto in realtà come momenti di crisi di un rapporto armistiziale ben più
antico; un armistizio che, peraltro, acquista un senso compiuto nel chiarimento
delle condizioni storiche che lo hanno determinato e reso possibile, in una
situazione internazionale che – già e videnziatasi sul finire del secondo
conflitto mondiale – ha poi caratterizzato e permeato di sé l’intera storia
successiva. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, è degna di qualche
rilievo la dichiarazione a suo tempo rilasciata al settimanale Panorama dall’ex
agente della Cia Victor Marchetti: “la Mafia, per sua natura anticomunista è
uno degli elementi su cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l’Italia”
[6]. Visto in questa luce, il rapporto con la mafia appare come un fenomeno
funzionale ad un più vasto disegno di diplomazia segreta. Naturalmente non si
può dimenticare che la mafia è primariamente un fenomeno criminale, ma è certo
che, per comprendere pienamente gli eventuali siciliani e talora nazionali
dell’ultimo quarto di secolo, occorre tener presente anche questo aspetto. E’
molto verosimile che l’iniziale inglobamento della mafia siculo-americana
all’interno del piano strategico di sbarco alleato nel luglio 1943 sia stato
poi prolungato nel tempo al fine di conservare un controllo della Sicilia come
“ridotto” difensivo finale del Mediterraneo meridionale in caso di offensiva
terrestre sovietica. Sul punto e conclusivamente basterà sottolineare la
specularità di logica che sembra collegare i ricordati anzidetti documenti del
1944 alla risposta che, secondo un collaborante di giustizia, un uomo di vertice
della mafia avrebbe dato ad un referente politico di massimo livello in momento
di acuta crisi del supposto rapporto: “In Sicilia comandiamo noi” Se non volete
cancellare completamente la Democrazia Cristiana dovete fare come diciamo noi.
Altrimenti vi leviamo non solo i voti della Sicilia, ma anche quelli di Reggio
Calabria e di tutta l’Italia meridionale. Potete contare solo sui voti del
Nord, dove votano tutti comunista” [7]. E’ un episodio quest’ultimo che, giova
rammentarlo, necessita ancora di una compiuta verifica in sede giudiziaria, ma
che, ove verificato, salderebbe in termini di continuità la prova di un lungo
armistizio tra il potere costituito e l’organizzazione mafiosa, chiarendone da
un lato le ragioni di reciproca convenienza, inserendolo dall’altro in un
quadro ben più ampio di quello siciliano e che travalica, nella sua logica
complessiva, gli stessi confini italiani. 2. Le direttive internazionali nei
documenti del National Security Council Il quadro internazionale più volte
richiamato, che si determinò già nella fase finale del secondo conflitto
mondiale e venne a consolidarsi nei decenni successivi, è così noto da non
meritare forse troppa ampia esplicitazione. Sicché è solo compiutezza
espositiva che induce a rammentare, sia pure in termini di dovuta sommarietà,
come il 12 marzo 1947 il Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, di fronte
al forte espansionismo sovietico nell’Europa orientale, pronunciò dinanzi al
Congresso il celebre discorso che sarebbe stato ricordato come l’enunciazione
della dottrina che porterà il suo nome. In base ad essa gli Stati Uniti si
facevano carico di proteggere militarmente qualsiasi zona del mondo fosse stata
minacciata da eserciti di paesi comunisti e da forme di guerriglia comunque
appoggiate da paesi di area comunista. Una enunciazione programmatica, che
informò di sé tutta la politica statunitense del successivo quarantennio. Sui
riflessi che tale politica ebbe nella situazione interna italiana la
Commissione ha già ampiamente riferito al Parlamento nella prerelazione
relativa all’organizzazione Gladio. Sono dati su cui appare ora opportuno
ritornare nella prospettiva di un’indagine volta a ricostruire una realtà
storica complessiva, di cui l’attivazione della struttura Gladio costituisce
soltanto un momento. In tale direzione indagativa la Commissione ha già
sottolineato l’importanza che rivestono i documenti del National Security
Council, a partire dal documento n. 1/2 del 10 febbraio 1948. In previsione di
una possibile invasione dell’Italia da parte di forze militari provenienti
dall’Europa Orientale, o nell’ipotesi che una parte dell’Italia cadesse sotto
dominazione comunista a causa di una insurrezione armata o di altre iniziative
illegali, il governo degli Stati Uniti predispose un piano articolato in sette
punti, il cui ultimo paragrafo prevedeva di: “Dispiegare forze in Sicilia o in
Sardegna, o in entrambe, con il consenso del governo italiano legale e dopo
consultazione con gli Inglesi, in forze sufficienti ad occupare queste isole
contro l’opposizione comunista indigena non appena la posizione dei comunisti
in Italia indichi che un governo illegale dominato dai comunisti controlla
tutta la penisola italiana” [8]. Ancor più interessante è il documento
successivo: NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, dal titolo: “Posizione degli Stati Uniti
nei confronti dell’Italia alla luce della possibilità di una partecipazione
comunista al governo attraverso sistemi legali” [9]. Fin dalle prime righe del
documento, il problema politico viene posto con grande chiarezza. Si legge
infatti: “Gli interessi degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo, relativi
ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che
il Fronte Popolare, dominato dai comunisti, ottenga una partecipazione al
Governo attraverso le elezioni nazionali che si terranno in aprile e che, come
conseguenza di ciò, i comunisti, seguendo uno schema ormai consueto nell’Europa
dell’Est, potrebbero riuscire ad ottenere il completo controllo del Governo e a
trasformare l’Italia in uno stato totalitario subordinato a Mosca.
Un’eventualità del genere produrrebbe un effetto demoralizzante in tutta
l’Europa occidentale, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente” [11]. Nella parte
conclusiva del documento sono elencati i provvedimenti che gli Stati Uniti
dovrebbero prendere “nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad
ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali” [11]. Tra essi
figurano, al punto a): “Prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo
di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata”, e al punto
d): “Fornire assistenza militare e finanziaria alla base anti-comunista
italiana” [12]. I documenti della serie NSC1 vennero sostituiti, a partire
dall’aprile 1950, con quelli della serie NSC67; l’ultima versione, l’NSC67/3,
redatta dal National Security Council il 5 gennaio 1951, venne infine approvata
dal Presidente degli Stati Uniti l’11 dello stesso mese. Si trattava di una
sintesi delle ipotesi previste dall’NSC1/2 e NSC1/3 con una leggera limitazione
in quanto l’attacco esterno all’Italia ricadeva ora nella responsabilità della
Nato. Il documento trattava quindi delle misure preventive e, eventualmente,
punitive da adottarsi in caso di insurrezione interna appoggiata dall’esterno o
di partecipazione del partito comunista al governo con mezzi legali. Fra le
misure preventive è da notare il suggerimento, messo in pratica alcuni mesi più
tardi (Dichiarazioni anglo-franco-americana del 26 settembre 1951), di avviare
le procedure per una revisione informale del Trattato di pace, specialmente di
quelle parti che imponevano dei limiti sulla qualità e la quantità delle Forze
armate nazionali. Le misure punitive in caso di insurrezione interna erano
volutamente lasciate nel vago; gli stessi JCS (Joint Chiefs of Staff) avevano
insistito su questo punto; si auspicava infatti di “utilizzare le forze
militari statunitensi in modo da essere in grado di impedire, quando
necessario, che l’Italia cada sotto il dominio comunista” [13]. Una ulteriore
clausola specifica che ciò sarebbe stato attuato in ogni caso con il consenso
del governo italiano e secondo le direttive elaborate nell’occasione dai JCS.
Ancora più vaghe apparivano le misure legali: “Gli Stati Uniti dovrebbero dare
corso alle iniziative (censura) mirate ad impedire la presa del potere da parte
dei comunisti e a rafforzare la determinazione italiana di opporsi al
comunismo” [14]. Queste direttive rimasero immutate durante il primo anno della
nuova amministrazione Eisenhower. Nell’aprile 1954, l’NSC67/3 venne sostituita
dall’NSC5411/2: il documento si differenziava da quelli dell’amministrazione
precedente per l’insistenza sull’importanza strategica della penisola
nell’ambito della Nato, definita a “una posizione geografica cardine” [15]. Il
documento analizzava i successi del sostegno americano alla rinascita economica
italiana e il parallelo fallimento della politica anticomunista. Il
miglioramento della situazione economica non aveva funzionato come antidoto
all’affermazione dei socialcomunisti (come dimostravano i risultati elettorali
del 1953); l’anticomunismo dei governi succedutisi dopo le elezioni politiche
del 1953 avevano dato prova di grande instabilità. L’NSC auspicava per l’Italia
un governo costituzionale democratico, sorretto da una florida situazione
economica. L’ipotesi di un governo autoritario di destra, anche se definita
preferibile a quella di un governo comunista, non veniva prospettata come uno
scenario desiderabile (ed è questo un profilo importante perché individua nella
stabilizzazione del quadro politico italiano, il principale obiettivo
strategico comunque perseguito). Venendo alle tradizionali ipotesi previste in
merito ad una presa di potere comunista (attacco esterno, insurrezione interna
sorretta da un appoggio sovietico, mezzi legali), la versione disponibile del
documento è pesantemente censurata; in essa non appare dunque alcun riferimento
alle ultime due ipotesi e, nel caso della prima, il riferimento va, come già
nell’NSC67/3, alla garanzia fornita dal Trattato Nord Atlantico. Non è dato
sapere quindi cosa sarebbe successo nelle altre due ipotesi. Si arriva così
all’NSC6014 del 16 agosto 1960 in cui la parte analitica era approfondita
ulteriormente secondo le linee già tracciate dall’NSC5411/2. Il documento
rilevava ancora una volta come, a partire dalle elezioni del 1953,
l’instabilità politica di governo fosse ststa accentuata dalle spaccature
interne al partito di maggioranza, dall’incapacità di formare coalizioni di
governo durature e dalla differenza di opinioni esistenti nelle varie forze
democratiche sulla credibilità di una partecipazione socialista al governo. Per
questo si auspicava l’appoggio all’evoluzione del PSI vreso posizioni autonome
rispetto al PCI e filo-occidentali. Finché tale cambiamento non fosse stato
palese, l’influenza del PSI sulla politica estera e sulla politica di difesa
nazionale doveva essere contrastata. Il maggiore pericolo, stando così la
situazione, era “che le forze politiche ed economiche conservatrici e quelle
clericali costituissero con le forze neofasciste un Fronte nazionale
contrapposto a un Fronte popolare, guidato dai comunisti, comprendente le
classi lavoratrici e gli elementi democratici della sinistra moderata” [16]. In
sostanza, pur riconoscendo, come era stato dichiarato nel NSC 5411/2, che un
regime autoritario sarebbe stato meno pericoloso nel breve periodo per gli
interessi della politica estera americana, si affermava che nel lungo periodo
avrebbe avuto un effetto deleterio, aggravando le frizioni interne e
rafforzando in ultima analisi lo stesso partito comunista. Per quanto riguarda
la parte punitiva, la censura impedisce anche in questo caso di valutare
appieno il significato del documento. Non è chiaro infatti se le misure prese
in considerazione per contrastare l’avvento con mezzi legali o illegali del PCI
al governo fossero solo di tipo non militare (come appare dal testo) o non
comprendessero invece altri tipi di interventi (eventualmente censurati). Va
comunque sottolineato che una versione aggiornata dello stesso documento
(NSC6014/1 del 19 gennaio 1961) escludeva l’ipotesi di azioni militari in
questa circostanza almeno che non fossero attuate di concerto con altri alleati
europei. La lettura dei documenti attinenti l’Italia negli anni ’50 sembra
dunque screditare l’ipotesi di un intervento militare diretto americano
automatico in caso di avvento del PCI al governo con mezzi legali o illegali.
Rimanevano in piedi le tattiche elaborate fin dal 1948 dello stesso NSC per
fronteggiare il pericolo comunista a livello mondiale. Si trattava di quelle
che vennero definite covert operations nella direttiva NSC 10/2 del 18 giugno
1948: erano misure che avrebbero affiancato le attività all’estero di carattere
ufficiale e per le quali, a differenza di queste, non doveva essere possibile
risalire alla responsabilità del governo americano. Si trattava, cioè, di
operazioni legali e illegali di cui il Governo avrebbe avuto la paternità, ma
non avrebbe assunto la responsabilità. La tipologia di queste operazioni era
assai vasta. Si trattava di “propaganda, guerra economica; azione preventiva
diretta, comprendente il sabotaggio, l’antisabotaggio, misure di demolizione ed
evacuazione; sovversione contro Stati ostili, comprendente assistenza a
movimenti clandestini di resistenza, a gruppi di guerriglia e di liberazione di
rifugiati, nonché appoggio ad elementi indigeni anticomunisti nei paesi del
mondo libero minacciati” “Tali opinioni” … “non dovranno includere conflitti
armati condotti da forze militari riconosciute, spionaggio, controspionaggio,
copertura e occultamento di azioni militari” [17]. Responsabile di questo tipo
di operazioni era la nuova branca della CIA, l’Office of Special Projects; solo
in caso di guerra, o quando il Presidente degli Stati Uniti lo avesse
richiesto, i piani per le covert operations (operazioni coperte) sarebbero
stati coordinati con i Joint Chiefs of Staff. Ciò significa che la CIA godeva,
in questo campo e in tempo di pace, della massima discrezionalità. Questa
direttiva, modificata secondo termini che rimangono sconosciuti (NSC10/5, non
rinvenuta), rimase in vigore fino al marzo 1954, quando venne approvato un
nuovo documento riguardante le covert operations che, nel frattempo, erano
diventate un cavallo di battaglia della nuova amministrazione Eisenhower. Le
attività delle aree dominate o minacciate dal comunismo internazionale venivano
in questo documento specificate con chiarezza (e senza censure). Si trattava di
“sviluppare una resistenza clandestina, favorire operazioni coperte e di
guerriglia ed assicurare la disponibilità di tali forze nel caso di conflitto
bellico, compreso sia l’approntamento, ovunque praticabile, di una base a
partire dalla quale l’esercito posa espandere, in tempo di guerra, il suddetto
tipo di forze nell’ambito di teatri attivi delle operazioni, sia
l’approntamento di strutture stay behind e strumenti per l’evasione e la fuga”.
[18] La novità del documento non consisteva solo nel prevedere la creazione di
“Stay-behind assets” (“strutture stay behind“) poggiati su basi costituite nei
vari paesi fin dal tempo di pace per attivarle in tempo di guerra, ma anche nel
preconizzare la collaborazione fra CIA e militari non solo in caso di conflitto
(come risultava dal documento precedente). Questo aspetto venne ulteriormente
chiarito in una revisione del NSC 5412, ovvero l’NSC 5412/2 del 28 dicembre
1955, in cui si prospetta la necessità per la CIA di avvisare il Dipartimento
di Stato, il Dipartimento della Difesa, nonché un rappresentante dello stesso
Presidente riguardo alle attività intraprese sotto il titolo di covert
operations. La discrezionalità della CIA era cioè fortemente ridotta e la
corresponsabilità degli organi consultanti parallelamente accresciuta. Il punto
chiave della collaborazione tra CIA e militari era la disponibilità delle basi
di appoggio per le attività clandestine da attuarsi in territori comunisti o
minacciati dal comunismo…».
Victor Marchetti, ex agente segreto americano,
autore peraltro di Propaganda and Disinformation: How the CIA Manufactures
History e del travagliato CIA. Culto e mistica del servizio segreto, dichiarò
al settimanale Panorama nel febbraio 1976:
«La mafia, per sua natura anticomunista, è uno degli
elementi su cui poggia la CIA per tenere sotto controllo l’Italia».
riferimenti: