BIOGRAFIA

28.7.15

I MICENEI IN ITALIA

Roca antica - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)





di Gianni Lannes

Chi siamo? Da dove veniamo? Siamo più imparentati con gli “extracomunitari” orientali di quanto immaginiamo. 3.500 anni fa erano i padroni del Mediterraneo, non a caso inventarono la nave, ovvero la veloce galea, un’imbarcazione con 50 rematori. Navigarono fino alle foci del Po, conquistando l’intero Adriatico inclusa la "Padania"(di cui i razzisti ed ignoranti leghisti farneticano ai tempi correnti) con l’esplorazione e il commercio. Le più recenti scoperte archeologiche documentano che questi naviganti achei si insediarono stabilmente sulle coste dell’Apulia, ma non disdegnarono i litorali di Molise, Abruzzo e Marche. Il Gargano era uno dei loro avamposti più significativi, unitamente al Salento.

Il mito cela sempre un fondo di verità: è fantasia edificata sulla realtà. Nel 1971 lo storico Lorenzo Braccesi, pubblica il volume Grecità adriatica. Risultato? Fu preso per matto dagli accademici. Ma poi i rinvenimenti archeologici gli hanno dato ragione. Braccesi parlava di marinai micenei giunti in Adriatico, alla foce del Timavo, per acquistare l'ambra e i metalli del nord Europa. Oggi tutta la costa adriatica fino a Venezia è costellata di ritrovamenti micenei.  

Parola del professor Braccesi: «Attestano dell'enorme importanza di questi luoghi per i micenei. Perché fondamentale è proprio la Daunia. Lì e sul Gargano arrivava la cosiddetta "rotta micenea". Prima di imparare ad attraversare il canale d' Otranto e raggiungere la Sicilia e il Tirreno, i Greci navigavano sottocosta fino alle bocche di Cattaro e poi, portati dalle correnti dello zoccolo continentale, arrivavano nel Gargano e da lì risalivano. Il Gargano e la Daunia erano quindi per i micenei l'Occidente estremo. A partire da Minosse, il re di Creta. Erodoto racconta che giunse in Sicilia dove fu ucciso dalle figlie di un re locale. Allora i suoi compagni si rifugiarono in Daunia. E, guarda caso, proprio lì ora si è trovata la statuetta con testa di toro. Tutto quadra. Poi c' è Diomede, l'amico di Ulisse, eroe di molte avventure daunie che conservano forse il ricordo di migrazioni e battaglie di epoca micenea».  

Insomma, le leggende di Ulisse si appoggiano ad una geografia adriatica precedente a quella tirrenica. Ben prima di Scilla e Cariddi e del Circeo, ci furono le isole adriatiche e il Gargano. Solcando l’Adriatico l’ambra ha così raggiunto il Mediterraneo. Vie di mare miste a percorsi di terra che ancora oggi vivono.

‘U pagghieir’, una tipica costruzione pastorale garganica (sopravvissuta nell'agro di Monte Sant'Angelo e Mattinata) è quella che rende più visibile la sua mediterraneità. Costruiti con la tecnica della tholos (falsa cupola) tipica dell’Egeo, i pagliari sono simili ai nuraghi sardi, ai trulli della Puglia meridionale, ai sesi di Pantelleria.

Erodoto testimonia che i cretesi fondarono in Apulia una Hyria, ossia un luogo sacro legato ad antichissimi riti di fecondazione connessi con le api e con un otre di pelle di toro. La mitica Uria si affacciava sul Gargano dove oggi il lago di Varano ha sostituito il seno di mare. A Cagnano Varano c’è una caverna dove la leggenda narra dell’apparizione dell’arcangelo Michele. Vi sono componenti nel tema della grotta sopra al bosco, il culto del toro che sembrano proporre un’antica matrice minoica e orientale. Il monte Gargano occupa lo stesso posto che nella leggenda di Diomede: punta avanzata verso l’Oriente, è l’altare dove vengono a posarsi gli angeli-guerrieri. Nel 2001 a Trinitapoli, da un ipogeo sotterraneo è saltata fuori la statuetta di un minotauro in avorio.
In fondo, l’alimento della cultura garganica proveniva dal mare, via naturale di comunicazione e non dall’impervio e quasi inaccessibile entroterra. Il viaggio di Diomede altro non sarebbe che una trasposizione mitica di una rotta illirica che puntava al Gargano dal mare.

Cosa può raccontare un antica ceramica? Molto, se la sai interrogare. Può narrare gli affanni di una vita quotidiana in un villaggio le cui tracce si sono perse; la più o meno rudimentale abilità dei suoi artigiani; le prove di uno scambio con popolazioni vicine. O anche lontane: magari di gente venuta dal mare a portare le proprie mercanzie e le innovazioni tecniche, barattandole con materie prime, minerarie o alimentari. L’ambra era una delle materie più richieste in assoluto dai mercanti micenei: la via adriatica era quella percorsa da questo prezioso materiale importato dal Baltico. A Roca, uno dei più importanti insediamenti archeologici di Puglia sono anche emersi oltre cinquemila frammenti di ceramica «egea». Sono essi la conferma di una presenza non casuale di un popolo greco, i micenei, che non usarono l’antica Roca come un semplice scalo mercantile, ma come stanziamento di stranieri che seppero convivere con il popolo indigeno.  

Da Roca arrivano anche stampi e matrici in pietra refrattaria per fondere il bronzo e ricavarne punte di freccia e di lancia, martelletti, coltelli e punteruoli. Non manca la pagina per l’ornamentazione personale e quella che testimonia i riti funebri. La guerra dovette essere un dato ineludibile negli incontri-scontri tra indigeni e micenei: qui è presente con oggetti bellici di ambedue gli schieramenti: spade, daghe, pugnali. Indizio della presenza micenea in Puglia è la ceramica: una scelta di vasi e di frammenti è sufficiente a testimoniarlo. Oggetto di scambio furono grandi e piccole anfore decorate con caratteristiche spirali dipinte sui dorsi. Finché anche gli apuli assimilarono dagli stranieri tecnica e gusti. 

Ori, avori, ambre e paste vitree di Roca; intriganti gli avori di Trinitapoli. Oggetti così rilevanti non possono non rimandare al ceto nobiliare che li indossò e li richiese. Evocando gli splendori dei prìncipi micenei, la cui memoria fu eternata dai poemi omerici, ben oltre i confini cronologici della storia ufficiale. Nei grandi e piccoli vasi figurati provenienti da Taranto e Gravina (crateri apuli, idrìe lucane, cantari attici) scorre un assaggio della narrazione mitica degli eroi «micenei»: Agamennone e i suoi figli Oreste e Ifigenia, suo fratello Menelao e la bella Elena, Ulisse e Diomede, Aiace e Patroclo. Racconti leggendari, che hanno resistito ai secoli, come una luccicante traccia di un popolo, il miceneo, che intrecciò la propria storia con la nostra.

Il grottone di Manaccora a sei chilometri da Peschici. Dagli anni Trenta del secolo scorso, gli archeologi Ugo Rellini, Elise Baumgartel, e Romano Battaglia hanno legato il loro nome a questo luogo ormai aggredito dal degrado, nonostante la realizzazione del solito parco di carta che non ha evitato una pioggia di asfalto e cemento a tutto spiano. Negli anni ’90 del secolo corrente gli scavi effettuati da Anna Maria Tunzi Sisto hanno rilevato la presenza di manufatti di area egeo-anatolica.  

Qui dove oggi è difficile approdare per via della speculazione edilizia che tutto ha cancellato ed offuscato, ceramica ed armi sono state rinvenute nelle sepolture di un ricco ceto sociale, appartenente ai grandi produttori di metalli di cultura micenea, approdati sulle coste garganiche durante l’età del Bronzo recente (XII sec. a.C.). Sono stati rinvenuti anche svariati dolii, vale a dire dei vasi funerari che hanno assolto la funzione di tomba singola o doppia per bambini appena nati, e altri ancora sono serviti nei riti e nelle cerimonie funebri. L’esistenza di una pratica metallurgica locale è comprovata dalla scoperta di una forma di fusione in arenaria. Qui, infatti, i commercianti di ambra ed i gli artigiani micenei trovarono porti naturali e comodi ripari, fondando veri e propri villaggi pre-protostorici, come quello presente sui costoni rocciosi di Manaccora, poco a ridosso della Grotta.

Più a sud nel Canale d'Otranto, c’è Roca,  la porta d’Oriente della nostra penisola. Nel II millennio a.C., in piena età del Bronzo, giungevano da Oriente i micenei. Dalla Grecia si erano spinti nel Mediterraneo, già nel XVII secolo a.C., approdando nell’Adriatico. Infatti, la prima scoperta al mondo di reperti micenei fu realizzati in Italia: il vasellame trovato in una tomba di Matrensa (nei pressi di Siracusa) nel 1871, ossia un lustro prima che Heinrich Schliemann avviasse gli scavi a Micene. Ai primi del Novecento si è scoperto l’eccezionale villaggio di Scoglio del Tonno a Taranto, e, in Sicilia, le necropoli di Thapsos e Pantalica.

A Roca è sopravvissuta alle insidie del tempo una grande capanna-tempio del XII-XI secolo a.C., simile agli altari sacrificali diffusi sia in Grecia che in Oriente, dove è emersa l’incisione di un’ascia bipenne in bronzo accanto a una testa di toro. E ancora: idoli in terracotta, tavole votive, dischi solari in oro, oggetti in bronzo, avorio, ambra, vetro. Infine, i pithoi, tipiche giare a staffa minoiche. 

Nel 1983 l’archeologo Cosimo Pagliara scoprì la Grotta Poesia. Il nome deriva dal greco medievale posìa, bevuta, perché c’era una sorgente d’acqua. Nel 1987 Pagliara inizia a scavare a fondo e trova edifici sacri, altari, capanne, magazzini. la datazione più antica del luogo risale al XVII secolo a.C.

Questi naviganti achei - la cui espansione non era più dettata da un’esigenza di dominio sui mari (come lo era stato per i precedenti minoici) e le cui rotte si allargavano ad Occidente in cerca di scali mercantili - trovarono insediati sulle coste pugliesi un popolo diversificato. A nord, sul Gargano, si incrociarono con una popolazione alquanto arcaica, come testimonia il sito di Coppa Nevigata (presso Mattinata). Il contatto con i micenei è suggerito da una tipica pratica «egea», quella di ricavare la porpora dalle murici: e un cumulo di conchiglie rotte sono state trovate in sito. Ma furono soprattutto approdi come Scoglio del Tonno presso Taranto e il già citato Roca in Salento a offrire i maggiori indizi della presenza dei Micenei.

1 commento:

  1. Davvero un peccato: ero a Roca Vecchia nella prima settimana dello scorso ottobre: sapevo delle tracce micenee ma ho girato in lungo e in largo e non ho trovato indicazioni. Il mio non era solo un interessamento turistico/culturale: sto cercando di inquadrare questa presenza nell'alto Adriatico.
    Giorgio Chelidonio

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