Salerno, scorie radioattive. |
Che fare dei rifiuti radioattivi? Trovato: nasconderli
sott’acqua e sotto terra. Questa è stata la “soluzione” adottata dallo Stato
italiano a partire dagli anni ‘60. Ecco una prova inossidabile. Un documento
ufficiale della Commissione Europea, datato 16 luglio 2010, attesta che l’Italia ha affondato, già durante l’anno
1967, nell’Oceano Atlantico, ben 23 metri cubi di scorie atomiche ad alta
attività. Da allora i governi tricolore, grazie all’ausilio dei servizi
segreti e alla manodopera delle organizzazioni criminali, hanno fatto sparire
in fondo al mare e nel sottosuolo, per esempio della Basilicata ma non solo,
ingenti quantitativi di spazzatura atomica. Dopo 42 anni, dunque, ufficialmente
emerge che lo Stivale, in balia delle mafie di Stato e multinazionali del
crimine, ha inondato ed è stato appestato di scorie pericolose provenienti
dall’estero. Ai curiosi e agli scettici si consiglia il valico ferroviario di
Modane (alla voce transalpina Edf)
ed un molo inaccessibile ai comuni mortali del porto di Genova.
Italia, scorie radioattive abbandonate. |
ITALIA, RIFIUTI RADIOATTIVI
Rivelazioni di segreti - L’Ammiraglio Bruno Branciforte, in qualità di direttore dell’Aise (ex Sismi), in
un’audizione del 24 settembre 2009 al Comipar (attualmente Copasir), certifica
l’affondamento ufficiale di ben 55 navi dei veleni nel Mar Nostrum. Ma è
soltanto l’antipasto. In un’altra e più recente audizione secretata dinanzi ad
una Commissione parlamentare, un generale ha rivelato il pagamento di ingenti
somme di denaro pubblico alla criminalità organizzata per risolvere in tutta
fretta il problema. Deputati e senatori, tuttavia, non hanno rivelato alcunché
all’opinione pubblica. Per quale ragione i cosiddetti “rappresentanti del
popolo” tengono la bocca chiusa? Soprattutto dopo il teatrino in Calabria
dell’allora ministro Prestigiacomo e
del procuratore nazionale antimafia Grasso?
Poi, alla bisogna, sottobanco ha operato con precise direttive governative l’armatore
Attanasio (amico di Berlusconi) che ha messo prontamente a
disposizione una nave per il lavoro di occultamento al largo di Cetraro. Vige,
come solito, il segreto di Stato, buono in tutte le stagioni a coprire i
misfatti del sistema di potere. In realtà, sui fondali tricolore giacciono oltre
duecento carrette e migliaia di containers, ed altro sorprese ancora. Non si
tratta di relitti bellici, come ha accertato un’indagine storica della marina
militare italiana negli anni ’50. Il Mediterraneo brulica di radionuclidi
artificiali. Non è stato risparmiato nessun mare: il Tirreno e l’Adriatico, ed
in particolare lo Jonio risultano inzeppati di melma radioattiva. Eppure
latitano indagini epidemiologiche sulla popolazione rivierasca. Nel lago
costiero di Varano (parco nazionale del Gargano)
- comunicante, mediante due canali, con l’Adriatico - il Cnr ha scovato il cesio 137. Per la cronaca: Chernobyl
(1986) non c’entra perché alcune rilevazioni scientifiche (Tirreno e Jonio) risalgono
agli anni ’70.
Ieri - Sul fenomeno hanno indagato approfonditamente
due magistrati: Nicola Maria Pace e Francesco Neri. Già a metà degli anni
‘90 la situazione era ben delineata a livello istituzionale. In un’informativa
del reparto operativo dei carabinieri di Reggio Calabria datata 9 ottobre 1996,
si legge: «Le relative indagini, che si
sono presentate subito lunghe e molto complesse, spesso hanno subito
rallentamenti a causa della palese omertà riscontrata in personaggi coinvolti
direttamente o indirettamente nel fenomeno nucleare in esame». E ancora: «Il ‘muro
di gomma’ su cui inevitabilmente andava a ‘cozzare’ l’attività degli inquirenti
e della polizia giudiziaria, ha rappresentato il principale ostacolo da
abbattere per poter entrare nei meandri del fenomeno in esame. E’ sembrato che
forze occulte di non facile identificazione, abbiano controllato passo passo
gli investigatori nel corso delle varie attività svolte». Il rapporto
dell’Arma puntualizza: «Inizialmente,
era inimmaginabile imbattersi in scenari inquietanti che hanno scosso la
coscienza civile della popolazione italiana, tutt’ora avvolti nel mistero. Come
la fuga del massone Licio Gelli, dalle carceri svizzere; la strage del Dc9 di
Ustica; la morte del dirigente delle partecipazioni statali Sergio Castellari;
l’uccisione della giornalista Ilaria Alpi ed il caso Somalia; il coinvolgimento
dell’ente di Stato per il nucleare Enea nella cattiva gestione delle centrali
nucleari esistenti in Italia e nel possibile coinvolgimento dello stesso ente
nei traffici illeciti dei rifiuti radioattivi; e infine la vendita di armi
all’Iran e Iraq da parte dell’Italia».
La morte improvvisa e misteriosa del capitano di corvetta Natale De Grazia avvelenato durante una missione il 13
dicembre 1995, si è andata sommare ai numerosi casi di intimidazione denunciati
negli anni. De Grazia era uno degli investigatori di punta che collaborava con
i magistrati di Reggio Calabria, e indagava su 180 affondamenti sospetti. Uno dei più gravi problemi che la magistratura
ha dovuto affrontare è stata la scarsità dei mezzi necessari per poter
effettuare ricerche, rilievi e analisi per accertare la verità sugli
affondamenti. Più recentemente il sostituto procuratore Massimo Mannucci, in servizio presso la Procura della Repubblica di
Livorno, si è visto negare dal Ministero di Grazia e Giustizia un finanziamento
per recuperare un container di rifiuti che giace a 120 metri di profondità, nei
pressi dell’Isola d’Elba.
Regole di carta - Per capire, bisogna fare un passo
indietro. Fino a non molti anni fa era prassi usuale di tutti i Paesi nuclearizzati,
Italia compresa, smaltire direttamente in mare i rifiuti nucleari. Con la firma
del trattato internazionale London
Dumping Convention del 1972, e del successivo Barcellona Dumping Protocol (1976), che vietano lo smaltimento in
mare di rifiuti, in particolare di origine radioattiva, il problema delle
scorie atomiche viene aggirato dagli Stati - al servizio delle multinazionali
del crimine - con i traffici illegali. Non basta. A ciò si aggiunge la
connivenza del ‘Sistema’, italiano e internazionale. In teoria, l’Unione
Europea, proprio in seguito alla Convenzione di Londra, non può più eliminare
parte delle sue scorie in mare. Questo impedimento sembra del tutto
inaccettabile per i nuclearisti europei e per una fetta di mondo industriale,
che, pur di non sborsare i corretti oneri di smaltimento, sono disposti
sbarazzarsi dei propri residui dove capita. A questo punto scatta la
‘connivenza’: si aggira l’ostacolo con il finanziamento di uno studio di
smaltimento sotto fondali marini argillosi precedentemente individuati
attraverso contenitori speciali detti penetratori. Una sorta di siluri
sganciati da navi attrezzate in modo speciale dette ‘Ro Ro’, e successivamente
controllati via satellite. L’affare a danno perpetuo della vita non è mai
terminato. Anzi, è stato perfezionato tecnologicamente con i siluri da
conficcare nei fondali marini. Infatti, la Cee
(Italia, Germania Ovest, Francia, Svezia, Inghilterra, Olanda) con il
contributo di altri Paesi (Usa, Canada, Australia, Giappone, Svizzera) ha finanziato
nel 1977 con 120 milioni di dollari,
uno studio per risolvere a buon mercato il problema. Il nome del progetto
elaborato ad Ispra - in un centro di ricerca nucleare europeo - è Dodos (Deep Ocean Data Operating). In
che consiste il piano? Semplice. Si incapsulano le scorie atomiche in 44 casse
d’acciaio e carbonio che a loro volta vengono infilate in un unico cilindro
d’acciaio lungo 25 metri e pesante 270 tonnellate. I siluri risultano lanciati
direttamente a bordo di navi da carico; al termine della discesa si conficcano
sui fondali. Il faccendiere Giorgio
Comerio (arcinoto ai nostri servizi di intelligence: basta leggersi le
numerose informative) - al quale è stato sequestrato il certificato di morte
della giornalista Ilaria Alpi,
assassinata insieme al cameramen Miran
Hrovatin, il 20 marzo 1994 - ben noto ai Governi italiani e non solo, con
la società Odm ha reclamizzato
indisturbato per anni la soluzione a buon mercato, dall’Europa all’Africa, Mar
Mediterraneo italiano incluso. Comerio è inserito a pieno titolo nelle indagini
sugli affondamenti delle navi nel Mediterraneo. Su una sua agenda, alla data 21
settembre 1987 è scritto “la nave è persa”. Una coincidenza? A bordo della
Rosso (spiaggiata ad Amantea nel 1990) vengono trovati dei documenti e delle
mappe. Copia delle stesse vengono sequestrate al Comerio. Vi sono segnalati
alcuni punti e due di questi corrisponderebbero agli affondamenti nel mare
Adriatico di altre due navi, la Anni e la Euroriver. Un’altra coincidenza? La
Odm, in un modo o nell’altro, figura in numerose inchieste sui traffici, in
particolare internazionali, di rifiuti radioattivi. Nel bel mezzo dello Jonio
italiano il sonar ha registrato la presenza di relitti e siluri giganteschi. Il
21 settembre 1987 viene inabissata ‘dolosamente’ (così ha stabilito la Cassazione dopo la condanna in primo
grado del tribunale di la Spezia e la conferma della Corte d’Appello di Genova
nel 1999) la Rigel al largo di Capo
Spartivento. Si tratta di un affondamento entrato nelle cronache
giudiziarie grazie a un procedimento per truffa ai danni della compagnia
assicuratrice. Sui documenti di carico, secondo gli inquirenti, era dichiarata
merce mai salita a bordo della Rigel ma registrata per ottenere il risarcimento
del danno. La Rigel affonda nello Jonio senza lanciare alcun ‘May Day’.
Nel febbraio 1995 agenti del Corpo forestale di Brescia - un
nucleo di investigatori altamente qualificato, inspiegabilmente sciolto per
disposizioni superiori - ferma tal Elio
Ripamonti che si stava recando in Svizzera per incontrare a Lugano
l’avvocato Cesare Forni. Ripamonti è un emissario di Giorgio Comerio. L’avvocato Forni avrebbe dovuto fare da intermediario con il governo elvetico,
mentre un altro personaggio di nome Convalexius,
avrebbe dovuto svolgere lo stesso ruolo con il Governo austriaco. L’Odm
promuoveva anche su Internet il suo progetto di smaltimento di rifiuti in mare,
siano questi radioattivi o tossici. La società prospera: negli anni apre nuove
sedi oltre a quella principale di Lugano risulta avere una rappresentanza a
Mosca, il controllo di società in Lussemburgo e Lettonia, rapporti commerciali
con Russia, Ucraina, Bulgaria, Romania, Adzerbaijan, Turkmenistan, Crimea,
Kirgyzistan, Sudafrica, Gambia, Sierra Leone. Si apprende dai documenti di una
Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti che Comerio avrebbe avviato
contatti con i leader somali per l’utilizzazione dei penetratori nella parte di
fondale davanti alla costa nord-occidentale della Somalia nei pressi di Bosaso. La stessa Odm asserisce di
intrattenere relazioni con oltre 50 paesi e non specificate ‘Nuclear national
authority’. La società ha individuato almeno 100 siti di inabissamento fra i
quali sono state selezionate 30 zone ottimali. Tra queste è indicata proprio
l’area somala di cui sopra.
Tomba africana - Come si fa a smaltire un carico di
rifiuti radioattivi? Elementare: basta stivarlo su una nave in pessime
condizioni e poi venderlo a qualche signore della guerra che in cambio chiede
solo una buona partita di armi. Oppure comprare una carretta e affondarla
dichiarando un carico di materiale innocuo. Un ras bellico di un Paese africano
- ad esempio la Somalia - ha bisogno
di molto denaro per comprare armi e munizioni al fine di equipaggiare le
proprie milizie; per questa ragione viene contattato dai trafficanti, sovente
in alta uniforme (SISMI). In cambio della possibilità di scaricare in mare
davanti alla costa o sulla terra ferma nel territorio controllato da questi,
verranno forniti denaro, in parte, e direttamente armamenti. Ecco come si fa.
Un ‘prenditore’ del ramo raccoglie rifiuti e scorie in qualche Paese
industrializzato dell’Occidente, offrendo tariffe per lo smaltimento a buon
mercato, molto più basse dell’usuale. Questi materiali, spesso dichiarati come
inerti o come rifiuti non pericolosi, vengono stoccati in qualche deposito
temporaneo ben collegato con qualche porto - prevalentemente Genova, La Spezia, Livorno, Marina di
Carrara, Civitavecchia, Trieste, Ortona, Manfredonia, Bari, Brindisi, Taranto, Crotone,
Gioia Tauro. Si acquista una nave, meglio se in pessime condizioni, e si
assoldano un comandante spregiudicato e un equipaggio alla fame. Nel frattempo
un altro manager tratta con qualche signore della guerra, il prezzo del terreno
o del tratto di mare dove scaricare i rifiuti. Ad accordo concluso, la nave
raggiunge il porto di partenza, viene caricata e si allontana rapidamente.
Prima di raggiungere la destinazione finale fa una breve sosta: carica le armi
che, al confronto dei rifiuti, sono molto meno voluminose. Raggiunta la costa
del Paese di destinazione finale, iniziano gli scarichi a mare, mentre emissari
del leader locale salgono a bordo per ritirare armi e denaro. In passato, la
Commissione parlamentare presieduta da Massimo
Scalia riporta come segnalazione accreditata dalle denunce di Unicef, Oms,
Organizzazione marittima internazionale e Greenpeace, un’attività di
trivellazione e di successivo inabissamento di containers in mare proprio nei
pressi di Bosaso. Nella relazione conclusiva della Commissione si legge: «Peraltro la Commissione ritiene doveroso
segnalare un’altra coincidenza: proprio nell’area in questione, e in
particolare a Bosaso, ha svolto i suoi ultimi servizi televisivi prima di
essere uccisa la giornalista della Rai Ilaria Alpi, impegnata, secondo quanto
emerso finora, in un’inchiesta giornalistica relativa a presunti traffici di
armi».
Anno cruciale - Il calendario segna il primo marzo
1994, quando dal porto di Durazzo salpa la motonave Korabi Durres, battente bandiera albanese. I documenti di carico
indicano un trasporto di rottami di rame. La nave si dirige verso le coste
italiane, sfiorando il litorale pugliese. Il 2 marzo raggiunge l’area
dell’antiporto di Crotone; il giorno seguente la locale capitaneria portuale,
sospettando la presenza di immigrati clandestini, sale a bordo per
un’ispezione; nella stiva, però, si trovano soltanto rottami metallici gettati
alla rinfusa: 1.200 tonnellate di carico. Il 4 marzo la Korabi giunge a
Palermo, nuova ispezione al largo con rilievi più approfonditi fra i quali
alcuni specifici per verificare la presenza di eventuali tracce di
radioattività. Che vengono puntualmente riscontrate. Alla nave sono negati
l’accesso al porto e il permesso per scaricare il carico a terra. Il 9 marzo
alle ore 11,30 la Korabi lascia la rada portuale di Palermo diretta a Durazzo.
Il 10 naviga nelle acque di Pentimele vicino a Reggio Calabria e le autorità
marittime effettuano una nuova ispezione, ma questa volta, al contrario di
quanto riscontrato in Sicilia, non viene rilevata alcuna traccia di
radioattività. Scattano indagini giudiziarie per scoprire se la Korabi ha
scaricato in mare parte del carico, ma nel frattempo la nave si è allontanata e
se ne perdono le tracce, nonostante la presenza di una flotta Nato per
l’embargo alla Jugoslavia. Ricompare più di un anno dopo a Pescara, il 20
aprile ’95, dove viene sequestrata e nuovamente controllata a fondo. Il
capitano, Curri Hysen Hajri, viene trattenuto in arresto. Effettuati tutti i
controlli, non vengono trovati picchi di radioattività a bordo e la nave,
dissequestrata riprende il largo. Che fine ha fatto il carico che il 4 marzo
1994 risultava contaminato? Aprile 1994. Al largo delle coste della Campania,
davanti a Salerno, si segnala la presenza di radioattività da torio 234, primo
prodotto del decadimento dell’uranio 238, su campioni di alghe e materiale
ferroso prelevati a seguito del rinvenimento in mare di alcuni container persi
nel naufragio della nave Marco Polo. La nave si era inabissata nel maggio del
1993, all’altezza del canale di Sicilia nel circondario marittimo di Trapani.
Le analisi relative a uno di questi containers superano di 5 volte i valori
‘normali’. L’affondamento della Marco
Polo, sul quale è stato aperto un procedimento della Procura di Reggio
Calabria, ha diverse analogie con un altro affondamento avvenuto nelle acque di
Ustica, quello della Koraline. Anche
in questo caso, a seguito del rinvenimento di alcuni container, è stata
segnalata la presenza, in concentrazioni anomale, di torio 234.
Accanto a noi - Mezzo secolo fa una biologa del calibro di Rachel Carson non aveva dubbi: «Proprio per la sua immensa estensione e la sua apparente
lontananza, il mare ha richiamato l’attenzione di coloro che hanno il problema
dell’eliminazione; senza quasi discutere la cosa e quasi senza avviso pubblico,
almeno sino alla fine degli anni cinquanta, il mare è stato scelto come luogo
‘naturale’ di seppellimento dei rifiuti contaminati e di altri ‘scarti di basso
livello’ dell’era atomica». La famosa scienziata nordamericana
in questo prezioso ma dimenticato saggio -‘Il
mare intorno a noi’, pubblicato nel 1961, riedito in Italia dalla casa
editrice Einaudi nel 1973 - aveva focalizzato il dramma. «Queste scorie vengono poste in cilindri rivestiti di
calcestruzzo e portati in mare, dove vengono scaricati fuori bordo in luoghi
preventivamente scelti. Alcuni sono stati portati a una distanza di
centocinquanta chilometri o più; recentemente sono state indicate zone situate
a soli trenta chilometri al largo. Sbarazzarsene prima e investigare poi è un
invito al disastro, perché gli elementi radioattivi depositati nel mare non
sono più recuperabili. Gli errori che vengono compiuti ora sono compiuti per
sempre».
Italia, scorie radioattive abbandonate. |
E non basta ancora.
RispondiEliminaPotrebbe anche bastare ora , no?
Ogni giorno si aggiunge altro... allegramente.. ed ad ogni livello..
con o senza timbro di ufficio.
Ne avrà le tasche piene il pianeta prima o poi?
l'unica minaccia per Gaia è l'uomo!
RispondiElimina