BIOGRAFIA

20.2.17

NAVI DI GRANO STRANIERO



di Gianni Lannes

«Stia molto attento, lei rischia. Sul grano straniero sbarcato dalle navi non ci sono controlli e nessuna autorità interviene» mi ripete con un tono cortese Cosimo Mario Gioia, noto produttore di grano duro nel cuore antico della Sicilia, in località Fontana Murata. 40 giorni fa l’associazione Granosalus, sorta nel Mezzogiorno d’Italia a difesa e tutela di produttori e consumatori italiani, mi ha commissionato un’inchiesta sul campo. Dal 2 gennaio 2017 ho iniziato a girare l’Italia, toccando una dozzina di porti interessati dall’import di grano dall’estero, spesso dove sorgono giganteschi silos in mano a noti industriali della pasta. Ne scrivo perché la condivisione di certe informazioni è una sorta di assicurazione sulla vita. Nei documenti del Parlamento ho scovato l'interrogazione 4/09429 presentata da Massimo Scalia e Gianni Mattioli (i padri italiani della battaglia antinucleare) che il 7 novembre 1988 interrogarono il governo tricolore, ma senza ottenere alcuna risposta, così come altri deputati e senatori di tutto l'arco costituzionale. Le autorità italiane nascondono e tutelano una gigantesca speculazione a danno della salute di milioni di cittadine e cittadini, nonché dei produttori italiani.  





Il dottor Gioia che si era messo in testa di controllare la salubrità delle navi, da tempo invita i suoi colleghi agricoltori a non fidarsi più di «sindacati, consulenti incompetenti e politici conniventi». Il dottor Gioia, laureato presso la facoltà di Agraria da Palermo nel 1975, ha un passato politico di rilievo nella Trinacria. Da marzo 1998 ad aprile 2002 è stato commissario straordinario dell’Esa, mentre in seguito dal 2009 al 2010 era stato posto a capo dal governatore Raffaele Lombardo del dipartimento Infrastrutture dell’assessorato regionale all’Agricoltura. Appena ha iniziato a mettere il naso nelle massicce importazioni di frumento e a denunciare il fenomeno speculativo, in particolare quando ha provato a tutelare i consumatori siciliani dalle granaglie che arrivano da chissà dove, prodotte chissà come è stato silurato in un amen. 

«Avevo iniziato a fare chiarezza sugli intrighi che stanno dietro il grano in Sicilia. Quando mi sono insediato all'assessorato regionale all'Agricoltura ho appurato che i pastifici siciliani che utilizzavano il grano duro siciliano si contavano sulla punta delle dita. E che la stragrande maggioranza del grano arrivava, e arriva ancora oggi, con le navi. Così ho disposto i controlli sanitari del grano che arriva in Sicilia con le navi. Ho accertato che erano e sono navi assolutamente inadeguate, magari ex petroliere, che trasportano granaglie provenienti da Paesi dove sono state trattate con fitofarmaci pesanti, cioè veleni, fino a prima della raccolta. Grano pieno di micotossine. Grano che arrivava e arriva anche da Cernobyl. Questi controlli nell'interesse degli ignari consumatori siciliani che mangiano pane e pasta fatti con grano arrivato da chissà dove non si dovevano attuare. Non bisognava disturbare i due-tre grandi importatori che comandano il prezzo del grano in Sicilia. Sarebbe stato semplice affrontare e risolvere il problema, ma non si è voluto. Avevo pronto il progetto per il marchio del grano duro siciliano. I pastifici siciliani erano d'accordo. Tutti d'accordo, tranne la politica siciliana».

Ufficialmente nel 2016 sono state acquistate all'estero 2,3 milioni di tonnellate di frumento, perché secondo i dati dellAgenzia delle dogane la stessa quantità è stata sbarcata soltanto in Puglia. Dunque, i conti ufficiali non tornano. In realtà il dato è ampiamente approssimato per difetto. E secondo i coltivatori nazionali questo va a scapito della sicurezza alimentare. Anche perché in Italia i limiti alle sostanze contaminanti sono più alti che nella maggior parte del mondo: 

«In Canada quella materia prima non si usa neanche per gli animali». Gli industriali rispondono che il grano straniero, che ha più glutine, migliora la qualità della pasta. Non è vero perché il grano italiano è privo di micotossine per via del clima. A Pozzallo, Catania, Palermo e Messina i silos sono di un unico proprietario, ossia Casillo».

Sul sito Casillo dove campeggia una nave trainata da un rimorchiatore che fa l'ingresso in porto, si legge attualmente: 



«Casillo Commodities Italia rappresenta un player primario sul piano internazionale nel commercio internazionale di cereali, svolgendo un’attività propulsiva nel comparto trading e sinergica rispetto alle attività di trasformazione. Tra i principali mercati di destinazione figurano, oltre all’Italia, Tunisia, Algeria, Cuba, Turchia e Venezuela. Nel 2014 l’attività di commercializzazione di cereali ha movimentato una quantità pari a 3,3 milioni di tonnellate, a testimonianza del processo di internazionalizzazione del Gruppo».

Ecco un esempio classico: una nave parte dalla Tunisia diretta in Sicilia e dopo un giorno di navigazione, come per miracolo, il grano straniero, ovviamente non controllato dalle autorità nostrane, diventa a tutti gli effetti, almeno sulla carta, italiano, pronto per essere trasformato in pasta made in Italy. A marzo un tour all’estero illuminerà le speculazioni che appena 4 broker internazionali ordiscono a danno dell’Italia.


riferimenti: 





 


 

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