BIOGRAFIA

25.5.13

COMPLEANNO: LETTERA AD UN UOMO CHE MI GUARDA SENZA VEDERMI



Maria Teresa di Lascia (nata a Rocchetta Sant'Antonio il 3 gennaio 1954 e deceduta a Roma il 10 settembre 1994)



di Maria Teresa Di Lascia


Caro Alberto, ieri ho compiuto cinquantatrè anni. Non ho detto nulla, non ho fatto neppure un piccolo dolce; ho invece atteso inutilmente che tu mi facessi gli auguri. A tratti, durante il giorno, mi hai guardata con una domanda negli occhi, come il riflesso incerto di un pensiero. Così sono i pensieri che fai su di me: non ti soffermi mai.
Mia madre dice che ormai sono un’anziana anch’io, e quando mi guardo allo specchio, mi spia per vedere se ho l’aria delusa. Io capisco di avere la mia età solo certe volte: allora mi spavento perché mi sembra di non avere fatto nessuna delle cose per le quali è giusto invecchiare, o essere adulti. Ho perduto le mie regole da due anni (…)

Mangiare mi è sempre piaciuto; non in grandissime quantità, ma vario e saporito. Da alcuni, invece, ho una fame incontrollabile e non so darmi pace; il corpo si è allargato intorno al bacino e ai fianchi, e la mia pancia è cresciuta sotto gli alberi. Nel breve volgere di alcuni mesi, ho pesato venti chili di più e, qualunque gesto faccia mi scontro con il mio corpo. Sono uno strano pesce sbadato e inciampo ovunque, come se la distanze fra me e le cose si fosse d’un tratto accorciata. C’è stato un tempo della nostra vita matrimoniale nel quale ero costretta a nascondere il cibo prima di metterlo in tavola, perché tu mangiavi tutto quello che vedevi e finivi per trovare il resto. Fui costretta a cucinare due volte. Sei sempre stato la mia croce e la mia delizia. 

Io ti lasciavo fare perché il cibo era, fra noi, un legame molto forte, forse l’unico.
Per il resto, tu non hai mai voluto neanche sentire parlare de miei crucci, e ogni volta che ho provato a discutere sulle nostre cose, ti sei tirato la porta dietro e sei uscito. Per amore della verità, devo dire che la porta non la sbatti, non l’hai mai sbattuta. E’ sempre stato così; le seccature non ti riguardavano, e, da quando ci siamo sposati - sono trascorsi vent’anni - non sei mai andato a pagare neppure una bolletta. Di questo, Alberto credimi, non mi lamento: ti ho conosciuto che facevi solo quello che ti piaceva e ti ho sposato subito. Per questo senza pensarci sopra. Le chiacchiere di mia madre non sono valse a nulla, e, per una volta nella vita, ho fatto quello che volevo e mi sono sentita una leonessa. La mia, però, è stata una misera vittoria: la vita non ha fatto nulla per piacermi, e le mie responsabilità verso gli altri sono sempre state pesanti, e insieme meschine. Nulla di cui vantarsi: piccole cose inesorabili, come uno stillicidio, che mi aspettava ogni giorno sulla soglia di casa (…)

Io, adesso voglio dirtelo, ho sempre provato un poco di invidia per la facilità con cui sapevi lasciarti ogni cosa alle spalle, ricominciando da un’altra parte (…)

Sono sempre stata vile con te: ci conosciamo da tanto tempo, eppure mi è sempre mancato il coraggio di perderti. Ogni volta ho fatto queste scene miserabili e invece di gridarti contro: dimmi che cosa è successo e non farmi spazientire, ti supplicavo: - vuoi la pasta? (…)

Non so perché Irene abbia sentito il bisogno di raccontare proprio a me, alla moglie che aveva tradito con te, di avere avuto paura di morire per una nocciolina dentro al seno. Una nocciolina apparsa una mattina, senza ragione. Forse l’ha portata da me un certo senso di colpa; o forse il bisogno di condividere cose profonde con qualcuno con cui si è già diviso l’indivisibile. Voglio dire che c’era in lei una sorta di confidenza tenace e insieme timorosa: quasi il bisogno segreto di farsi perdonare.
Sorseggiava il caffè, e io la guardavo senza riuscire a smettere di domandarmi se davvero fosse venuta a letto con te e se il pensiero della mia esistenza le avesse mai attraversato la mente.

Certamente Irene ha sentito i miei pensieri e una corrente di disagio l’ha scossa, sicché il suo discorso si è infittito di particolari tecnici. Per non sembrare scortese, mi sono toccata come lei diceva di fare. E’ stato così, stupidamente e un poco riottosamente, che ho scoperto di avere anch’io un chicco di riso al seno sinistro. Un piccolo chicco, niente al confronto con la nocciola della tua amica Irene; un chicco fisso e indolore, che mi ha subito atterrita. Il medico dice che devo operarmi prestissimo, o fra un anno sarò morta.

Caro Alberto, da quando mi è stato dato l’annuncio della mia morte (e so con certezza che non potrò impedirlo e che non varranno a salvarmi né amputazioni né dolorosissime cure), ho smesso di piangere e di fare scenate di malavita. Adesso mi sembra, invece, che nella mia vita ci sia stato perfino un filo di saggezza; qualcosa che somiglia a un progetto che mi portavo dentro sempre e che mi svela a me stessa meno inconcludente di quanto temessi. So che non è necessario che ti dica di avere cura di te. Lo farai certamente.







Omaggio ad una scrittrice del Sud

G.L.


Maria Teresa di Lascia ha legato indissolubilmente il suo nome al romanzo Passaggio in ombra, che le valse il premio Strega del 1995, un riconoscimento postumo, visto che la scrittrice di Rocchetta Sant’Antonio (Appennino Dauno) si era spenta l’anno prima, a causa di un cancro ad appena 40 primavere. 



Nella sua produzione emergono anche quattro racconti che però non sono mai stati editi in modo unitario, malgrado le speranze riposte nella casa editrice Feltrinelli. Il più suggestivo di questi - Compleanno - vinse nel 1994 il premio Mille Lire e venne pubblicato nello stesso anno da Stampa Alternativa. Di questo racconto breve ma intenso, ecco un frammento significativo che comprende sia l’incipit che l’epilogo. Si tratta di una pagina di letteratura poco nota dal sapore autobiografico, se non proprio ignota, di grande valore, in cui si racconta il dolore nascosto della protagonista, Ninna, una donna di 53 anni che si scopre malata di cancro. Compleanno è la lettera che Ninna scrive al suo uomo, Alberto, un uomo freddo e superficiale, che non è mai stato in grado di comprenderla, lasciandola in fondo sempre da sola, malgrado i tanti anni di matrimonio. Anche ora il marito, con i suoi pensieri vaganti e lontani, ha dimenticato di farle gli auguri. Ninna fa un bilancio crudo della sua vita, riflette sul senso per la vita e per la morte, e pensando alla malattia ed al suo fatale epilogo, la sua esistenza rivela un senso ed un significato meno informe e negativo.

Per la cronaca. Nel 1987 fu scoperto casualmente che da Bolzano proveniente dall’Austria era stato inviato illegalmente dalla Delta Sogepi, proprio in una stazione ferroviaria remota del Mezzogiorno d’Italia (in Puglia), nella terra di Maria Teresa un convoglio ferroviario imbottito di scorie inquinanti, poi occultate nel fiume Ofanto. Veleni che hanno disseminato malattie e morte nel Sud.
                                                                      



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