11.2.12

AMIANTO: ASSASSINO SILENZIOSO

Isochimica Avellino.

di Gianni Lannes

Non solo fabbriche, cantieri navali, distillerie, raffinerie, zuccherifici, cartiere, stazioni ferroviarie, tribunali, acquedotti: anche asili, abitazioni, ospedali, scuole, palestre, caserme, cinematografi e teatri. Anche se la legge italiana 257 del 1992 ne vieta produzione e commercio, l’amianto è ancora molto diffuso e continua a fare vittime. Non solo fra gli operai, soprattutto fra l’ignara popolazione civile. Le bonifiche restano sulla carta, mentre i fondi latitano. In Italia ce ne sono in circolazione circa 40 milioni di tonnellate che espongono chiunque al pericolo di inalarne fibre mortali. L’ecatombe è all’angolo col picco epidemico.

«Non esiste un valore soglia al di sotto del quale non vi sia rischio per la salute umana» attesta l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). I danni sono «mesotelioma pleurico e dell’intestino, carcinoma del polmone, della laringe, dello stomaco e del colon, asbestosi, placche pleuriche» argomenta Vito Totire, medico a Bologna e presidente dell’Associazione Esposti Amianto (AEA). La caratteristica filamentosa è anche la causa della sua pericolosità, soprattutto quando si sfilaccia sotto forma di invisibili scaglie che penetrano nei tessuti corporei.  Gli epidemiologi prevedono nel prossimo lustro una massiccia ondata di patologie tumorali legate a questa bomba ecologica mai disinnescata. Per i padroni del vapore la via più comoda per nascondere l’amianto, è insabbiare le denunce.

L’amianto, potente cancerogeno riconosciuto a livello internazionale  - utilizzato nell’industria, nell’edilizia, in ambito domestico e nei mezzi di trasporto - è ubiquitario: sonnecchia sopra le nostre teste, intorno a noi, sotto i nostri piedi. Si annida nelle tubature dell’acqua potabile, nelle condotte di riscaldamento, nell’intercapedine degli edifici, nel rivestimento delle carrozze ferroviarie e tranviarie (in circolazione). In Italia, la cosiddetta “lana delle salamandre” è stata estratta - a partire dal 1870 - nelle cave piemontesi di Balangero e di Broni in provincia di Pavia. Il pericoloso minerale è presente in circa tremila prodotti di uso quotidiano: dai tostapane alle stufette elettriche, dai guanti da forno alle tavole da stiro, dalle plastiline dei bambini agli asciugacapelli. La legge 915/88 impone l’obbligo - largamente disatteso dai produttori - di segnalare con l’etichetta “a” la presenza di amianto nei manufatti, allo scopo di informare i consumatori sulla scelta dei prodotti e sui modi di manipolarli. Fino al 1994 l’amianto è stato impiegato in adesivi e collanti, tessuti ignifughi per l’arredamento, tendaggi, tappezzerie, imballaggi, sacchi postali, abbigliamento ignifugo e non, feltri per cappelli, cachemire sintetico, coperte, grembiuli, giacche, pantaloni, ghette, stivali, carta e cartone, filtri per purificare bevande, filtri di sigarette e da pipa, assorbenti igienici e interni, supporti per deodoranti da ambiente, suolette interne da scarpe, sabbia artificiale per giochi dei bimbi, trattamento del riso per il mercato giapponese. Molti di questi prodotti sono ancora adoperati dalla popolazione; ma solo 14 contenenti questa fibra mortale sono stati proibiti dall’Unione europea.

Isochimica, operai ammalati.


Mortalità gratuita - Di amianto, a distanza di anni, ci si ammala e si muore: silicosi, asbestosi, mesotelioma pleurico e dell’intestino, carcinoma del polmone, della laringe, dello stomaco, del colon. Si sa con certezza scientifica dal 1934. L’asbesto solca edifici pubblici e privati, fabbriche, ospedali, stazioni ferroviarie, cantieri navali, habitat domestici, caseifici, palestre, teatri. Bastano poche esposizioni alle micidiali particelle volatili per contrarre il tumore. L’Italia è giunta solo nel 1992 con la legge 17 marzo numero 257, a vietarne formalmente “l’estrazione, l’importazione, la lavorazione, l’utilizzazione, la commercializzazione e lo smaltimento nel territorio nazionale”. La normativa prevede l’istituzione del registro nazionale dei mesoteliomi, il censimento e la bonifica dell’amianto fioccato e in matrice friabile; il compito è affidato a Regioni e Aziende Sanitarie Locali. A tutt’oggi, però, gli enti sono in gran parte inadempienti, a partire dalla regione Puglia del sedicente ecologista Nichi Vendola.

Ubiquitario - Un nemico invisibile ci assedia.  Nome tecnico asbesto, dal greco “incorruttibile”, inestinguibile, indistruttibile”. Isolante, ignifugo, fonoassorbente ed economico. Vive nascosto sottoterra, nelle cantine, nelle tubature, nei pavimenti di edifici pubblici. L’Italia lo ha bandito sulla carta, ma ne restano in giro una quarantina di milioni di tonnellate. E di contaminazione si continua a morire. «L’amianto è costituito da fibre piccolissime e leggere, che si depositano su bronchi e polmoni producendo effetti devastanti a distanza di decenni - avverte il dottor Fernando D’Angelo, presidente nazionale di Medicina democratica - Il mesotelioma, tumore che colpisce il rivestimento dei polmoni (pleura) e degli organi addominali (peritonei), può colpire dopo quarant’anni, e uccidere in nove mesi. E non l’unica conseguenza mortale. C’è anche l’asbestosi (formazione di cicatrici fibrose sul tessuto dei polmoni, che riducono fortemente le capacità respiratorie) e il carcinoma polmonare». 

Senza mappe - Secondo un’indagine di Legambiente, «in 94 capoluoghi di provincia, il 12 per cento degli edifici scolastici ne contiene ancora oggi». Si può trovare nell’impasto dell’intonaco, nei pavimenti di linoleum, nelle canne fumarie, nei pannelli acustici, nelle tubature idriche. A proposito di condutture dell’acqua: Franco Berrino, epidemiologo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, ipotizza che anche l’amianto ingerito sia nocivo, e aumenti il rischio di cancro all’apparato digerente. Non c’è una mappa nazionale delle tubature colpevoli, ma dati locali. A Bologna ci sono ancora 1.600 chilometri di condutture in cemento amianto, tra Cesena e Forlì 2.300, in provincia di Foggia addirittura 5 mila chilometri di proprietà del Consorzio agrario di bonifica; a Venezia 930 e a Padova 600.  L’Agenzia per la protezione dell’Ambiente identifica i principali siti: l’ex cava di Balangero (TO) la miniera più grande d’Europa; Casale Monferrato (AL), a Bari la Fibronit: 150mila quadrati inquinati nel centro della città e un numero imprecisato di morti e ammalati; Biancavilla (CT) comune tenuto sott’osservazione dall’Istituto Superiore di Sanità perché interamente costruito, strade comprese, con una fibra della famiglia dell’amianto. E poi ci sono le innumerevoli aree dimesse, più o meno riconvertite e siti industriali della morte come l’Isochimica di Avellino, non ancora sanata. L’elenco si moltiplica leggendo le rassegne sindacali, i resoconti delle manifestazioni delle vedove, i bollettini dell’Associazione Esposti Amianto, i documenti delle cause giudiziarie. C’è tanto asbesto in Val Susa: risultano contaminati sia i cantieri per l’Alta Velocità della Torino-Lione che quelli delle Olimpiadi di Torino 2006. L’amianto è ovunque, e fa male. Ai polmoni. All’ambiente. C’è il dramma umano: 5.000 morti all’anno in Europa, destinati quasi a raddoppiare ogni 12 mesi. Le persone in attesa di risarcimento (le richieste di riconoscimento, quasi tutte di prepensionamento, per esposizione all’amianto presentate all’Inail  sfondano quota  300 mila). E chi attende giustizia, come i 1.650 firmatari della maxivertenza amianto di Casale, che attendono l’esito del processo contro la famiglia Schmidheiny, proprietaria della multinazionale Eternit. O come le vedove degli operai morti per mesotelioma a Monfalcone, a Pistoia, Latina. Le richieste si moltiplicano. Finora gli esiti sono contrastanti. E c’è il problema ambientale, con il dilemma di come smaltire  quel pericolo che ancora avvelena l’Italia. «Miliardi di metri quadrati di eternit esposti alle intemperie si stanno sfarinando, con rilascio di fibre nell’ambiente» denuncia l’avvocato Ezio Bonanni,  presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. E sono le fibre respirate a causare il tumore, a distanza di decenni. All’ospedale Erasmus di Bruxelles sono stati trovati segni di esposizione nella popolazione generale: una persona su sette, in un campione scelto a caso, ha placche sulla pleura e alte concentrazioni di asbesto nei polmoni.  Poi c’è il problema globale. C’è ancora chi produce ed esporta, come Russia e Canada; quest’ultimo tenta di spacciare alcuni di tipi di amianto per sicuri. E c’è infine chi a sprezzo del ridicolo e dell’osceno, come tal Luigi Boschi (già consulente creativo della Barilla) si ostina a negare per conto terzi l’evidenza: anche la famosa multinazionale del mulino bianco ha smantellato l’amianto sugli stabilimenti di Parma e San Nicola di Melfi in Basilicata, solo recentemente, dopo essere stata smascherata da un’inchiesta giornalistica. L’holding alimentare - nei cui confronti è appena partito un processo civile - ha esercitato addirittura pressioni su alcuni parlamentari, rei di aver presentato interrogazioni in materia di amianto alla  Barilla. «Mi hanno chiamato da Parma più volte per tentare di ammorbidirmi» rivela Elisabetta Zamparutti, deputata che assieme ad altri 5 onorevoli ha presentato 4 interrogazioni ancora senza una risposta. 

Prove scottanti - Che l’amianto fosse un nemico della vita si sapeva - con cognizione scientifica - almeno dal 1965, anno di pubblicazione degli atti della conferenza della New York Academy of Sciences sui suoi effetti biologici. Ed è dal 1976 che l’Agenzia internazionale per le ricerche sul cancro di Lione attesta: «tutti i tipi di amianto sono cancerogeni, e qualunque livello di esposizione nocivo». Affermazione che neanche oggi viene presa per buona: ai fini pensionistici, l’amianto è pericoloso solo se un centimetro cubico d’aria contiene 0,1 fibre (100 fibre/litro). E se è stato respirato otto ore al giorno per dieci anni.

In un fascicolo conservato nell’Archivio di Stato a Torino c’è la prova che la lobby dell’amianto ha agito per nascondere le prove scientifiche che il materiale fosse letale. Tutto in due documenti scritti a mano: nell’allegato 116 si parla di un corso, a Neuss (Germania) nel 1976, tenuto da ingegneri delle sedi di Eternit per istruire tecnici turchi ai quali è stato suggerito di rinnegare lo studio epidemiologico sul rischio di neoplasie dell’apparato digerente in esposti ad amianto effettuato nel 1964 da Selicoff. Nell’allegato 117, invece, in una riunione alla sede dell’Assocementi di Roma, nel 1978, i produttori di amianto erano riusciti a fare pressione sul ministero della sanità per evitare di far entrare in vigore, negli anni ’70, i limiti di soglia sulla concentrazione di fibre di amianto negli ambienti di lavoro contenuti nella proposta di legge. I limiti, entrati in vigore poi nel ’92, avrebbero diminuito l’esposizione e salvato vite umane.

Un altro documento inquietante trovato negli uffici della miniera di Balangero prova un accordo per rallentare ulteriormente i tempi legislativi. Si tratta del resoconto di una riunione informale tenuta il 17 novembre 1977-78 all’Assocemento di Roma. Secondo gli appunti, Angellotti, allora direttore dell’amiantifera di Balangero, «esprime la preoccupazione dei soci Ania (Associazione nazionale imprese assicuratrici) per l’iter della proposta di legge sull’amianto. Il ministro del lavoro ha chiesto all’Enpi (Ente nazionale prevenzione infortuni) di parlare dei limiti delle polveri. Il dottor Annibaldi della Confindustria è intervenuto sull’Enpi per rallentare l’emissione di normative sui limiti». L’Enpi avrebbe accettato e «il Ministro della Sanità Anselmi ha confermato tale fatto». Confindustria, Ministero della Sanità e del Lavoro ed ente per la prevenzione degli infortuni coalizzati sulla pelle dei lavoratori. I fatti: le prime limitazioni per l’uso della crocidolite (il tipo di amianto più pericoloso) sono dell’86 (8 anni dopo l’incontro in questione); l’Europa aveva chiesto agli Stati membri di proibire l’amianto nell’83, mentre la legge italiana è del ’92. Tanto che la Corte di giustizia europea ci ha condannati per non aver recepito la normativa entro i tempi canonici. Poi finalmente la legge è arrivata, e con lei i buoni propositi cartacei. Come quello di mappare tutto il territorio è di istituire un registro italiano per il mesotelioma, il cancro dell’amianto. Dopo un quarto di secolo la mappatura è un sogno senza soldi. Solo quattro milioni e mezzo di euro sono stati stanziati dal ministero dell’Ambiente. Altrettanti verranno dati a chi ha già presentato le priorità di bonifica: attività frammentaria e delegata alle Regioni, che in qualche caso si sono mobilitate e in tanti altri no.  E’ andata meglio all’idea del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, nato presso l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro; oggi è presente in 16 regioni, e raccoglie i dati sulla diffusione del tumore in Italia. «I casi sono un miglio l’anno» sintetizza Fulvio Aurora, segretario nazionale dell’Aea. «Secondo le stime, però, ci sono altri tremila morti l’anno per malattie legate all’amianto; 209 mila i potenziali esposti alla fibra». Il dramma non si ferma ai lavoratori. Parecchie mogli sono morte di mesotelioma per aver lavorato le tute impolverate dei mariti. «In Veneto - segnala l’epidemiologo Enzo Merler - il 23 per cento dei casi di mesotelioma femminili è causato da esposizioni domestiche o ambientali». E a Casale su 600 morti, 200 non hanno mai lavorato l’eternit. 

Le vittime - Chi sono? Principalmente chi subisce le esposizioni professionali, ma anche le donne che si sono ammalate per aver lavato gli abiti da lavoro dei mariti. E ancora: i barbieri che tagliavano i capelli agli operai dell’elvetica Eternit. Attualmente: i bambini che giocano con l’amianto abbandonato intorno alle fabbriche chiuse. E poi semplicemente chi abita nei dintorni dei siti a rischio. A Bari c’è la tedesca Bilfinger & Berger che scoibenta carrozze ferroviarie a cielo aperto, accanto ad un noto caseificio. Già, ma chi se n’è accorto, se la magistratura locale non riconosce i morti sospetti alla Bridgestone? E i morti conclamati d’asbesto alla Cartiera dello Stato italiano a Foggia e non solo? «Sono migliaia ogni anno in Italia, i tumori che dovrebbero essere riconosciuti di origine lavorativa e che numerosi medici invece non denunciano - accusa prove alla mano Raffaele Guariniello, procuratore aggiunto di Torino - E così continuano a rimanere quasi del tutto impuniti e raramente indennizzati dall’Inail». Che cosa si fa per tutelare la salute della popolazione? «Nulla. Eppure la tutela sarebbe stata possibile sin dal 1927» sottolinea il magistrato.

Unico mostro - Eternit e Fibronit: due teste di un unico pericolo. Eternit Austria e Fibronit stessi proprietari, stessi amministratori e responsabili. Scovate le prove compromettenti. Denuncia-querela depositata alla Procura di Torino: al procuratore aggiunto Guariniello si chiede di indagare. È stata consegnata recentemente, nelle mani del Procuratore della Repubblica di Torino, una denuncia-querela, di cui agli articoli artt. 434 e 437 c.p., per disastro doloso e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, nei confronti degli amministratori e responsabili di Eternit Austria, del sig. Schmidheiny Stephan Ernest e di altre dieci persone. Oggetto della denuncia sono le morti e l’esposizione all’amianto di ex dipendenti delle fabbriche Fibronit, di familiari e di soggetti deceduti a causa del mesotelioma pleurico. La denuncia-querela è stata firmata dal signor Silvio Mingrino, tutelato dall’avvocato Ezio Bonanni, nella qualità di Presidente dell’Associazione Nazionale Vittime Amianto e di coordinatore regionale dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ONA ONLUS Lombardia. Lui stesso è figlio delle vittime, il papà Armando lavorava alla Cementifera Fibronit di Broni, in provincia di Pavia e della mamma signora Carmela Mazzucca.

Ad un soffio - Sull’altra sponda dell’Adriatico c’è un’altra fabbrica della morte.  A Vranjic, un piccolo centro costiero a 5 chilometri da Spalato, la Salonit di Jozo Curkovic produce tubi e rivestimenti di cemento-amianto. L’associazione italiana “Esposti Amianto”  ha censito 300 vittime tra gli operai e numerosi casi di mesoteliomi, asbestosi e carcinomi negli abitanti della zona.  La Croazia è obbligata a mettere al bando la cosiddetta “lana delle salamandre”. Il vincolo ancora disatteso è ribadito da una direttiva del 2003. In base all’accordo di “stabilizzazione e associazione” sottoscritto con Bruxelles, la Croazia deve armonizzare le sue leggi con quelle dell’Unione. Eppure la produzione continua alacremente, su tre turni e senza alcuna protezione per gli operai. «Nell’Ue vi sono ancora paesi che importano ed utilizzano l’amianto nei processi produttivi (Portogallo, Grecia, Spagna, Irlanda, Gran Bretagna e Lussemburgo). Croazia e Slovenia tuttora utilizzano l’amianto in quantità considerevoli. In particolare la Slovenia,  continua ad usare migliaia di tonnellate di amianto nel cementificio di Anhovo, situato a pochi Km dal confine italiano - denuncia l’AEA di Monfalcone - Chiediamo che l’adesione di nuovi paesi alla U.E. sia condizionata alla cessione totale dell’uso dell’amianto, a fronte di una previsione di 250.000 morti per mesotelioma pleurico nei prossimi 30 anni nella sola Europa occidentale». Le stime ufficiali a livello planetario attestano la produzione di «2 milioni di tonnellate di amianto» e il conseguente decesso di «100 mila persone ogni anno».  I Paesi che hanno messo fuori legge il minerale killer sono solo 28, quasi tutti in Europa, salvo qualche eccezione come l’Arabia Saudita, il Kuwait e il Gabon. Tra i maggiori produttori figurano Russia, Cina e Canada, ma i più grandi importatori, loro malgrado sono i Paesi del Terzo mondo. 

Isochimica Avellino.

Isochimica Avellino.
 


5 commenti:

  1. Tutto questo è veramente terribile, indegno e tanto altro ancora.

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  2. Io abito in collina nelle vicinanze di Livorno. Fare una passeggiata nei boschi vuol dire trovare qua e là mucchi di coperture di eternit abbandonate nel bosco. Segnalare non serve a niente.
    Enrica Martolini

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  3. Ottimo articolo, pieno di dettagli che tuttavia non fanno altro che sollevare il solito dubbio: se chi è preposto al controllo non esercita il proprio dovere, a cosa serve denunciare? È proprio contro questo meccanismo perverso, del dare a vedere platealmente come le istituzioni non vigilino per infondere disillusione nel popolo che bisogna avere fiducia in quella Giustizia che trova il coraggio di affossare nel baratro delle ptoprie colpe colossi come la Thyssen o ricchi industriali come Schmidheiny.

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  4. La mancanza di controlli da parte delle istituzioni finisce col generare nel popolo frustrazione, disillusione e remissività. Meno male che ogni tanto la Giustizia, quella che non si fa tirare la giacchetta dalle multinazionali e dalla politica, fa il suo dovere non guardando in faccia a colossi come la Thyssen o a ricchi industriali come Schmidheiny...

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  5. personalmente ho letto la norma uni/iso 5256 fetro amianto tubi di acciaio ,la legge non e' interessata i tubbi di acciaio sono nel sottosuolo italiano.

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