8.10.18

GIORNALISTI: LA CASTA TRICOLORE DEL DIS-ORDINE



di Gianni Lannes

«Noi giornalisti dovremmo cercare di essere i primi testimoni imparziali della storia. Se mai abbiamo una ragione di esistere, dev'essere almeno quella di raccontare la storia mentre accade, affinché nessuno possa dire: “Non sapevamo, nessuno ce lo aveva detto”» ha scritto Robert Fisk (Cronache mediorientali, Il Saggiatore, Milano 2006). 

Invece in Italia tanti cronisti inchiavardati ad atavici privilegi, risultano al soldo o fungono da megafono del potere. Ed imperversa da sempre il lavoro nero soprattutto a danno dei giovani, mal pagato e supersfruttato. Il merito professionale e la capacità intellettuale non sono premiate nello Stivale.

Lo affermo con dovizia di prove e riscontri, senza timore di essere smentito, avendo praticato la professione per oltre 30 anni, in maniera libera e indipendente, in qualità di freelance per la stragrande maggioranza dei giornali esistenti nell’ex belpaese (Il Corriere della Sera, La Repubblica, L’espresso, La Stampa, Il Manifesto, Libero, Il Giornale, L’Unità, La Gazzetta del Mezzogiorno, Famiglia Cristiana, eccetera eccetera).

Il giornalismo italidiota è spesso connivente con gli interessi economici e politici (a volte mafiosi), sovente autoreferenziale. Basta notare come i padroni del vapore hanno degradato quotidiani e settimanali, riducendoli ad un palcoscenico di burattini ammaestrati. L’ambiente giornalistico nostrano (composto da innumerevoli imboscati, raccomandati e accucciati) è impastato di crasso nepotismo: è sufficiente un’occhiata alla Rai, ma non solo. L’accesso alla professione è manipolato dall’alto, ad uso e consumo di chi comanda per conto terzi in questa colonia a stelle e strisce. Esattamente il contrario dello spirito di questo nobile mestiere: controllare il potere e non essere addomesticato. 

L’abolizione di un ordine autoreferenziale - voluto all’epoca da Mussolini - che oggi non ha più alcuna ragione di esistere, è quindi un atto più che dovuto. La libertà di espressione è ben altra cosa. Sia chiaro però: l'Italia, anche se in evidente declino morale, non è il terzo mondo dell'Europa.

Per dirla con Joseph Pulitzer: «Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. perché a essa ci si può sempre appellare contro, le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello».

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