23.3.16

L'ITALIA NON SI TRIVELLA!






di Gianni Lannes

Attenzione allo specchietto per le allodole, ai contentini verdastri, nerastri e rossastri, mentre i mari d'Italia vengono degradati ed inquinati un giorno si e l'altro pure col beneplacito dei controllori di Stato; inoltre risultano svenduti agli interessi stranieri. Nell’italietta delle banane eterodiretta dall’estero ecco cosa passa il conventucolo tricolore. Altro che “si” oppure “no”. Si semplifica, anzi si banalizza una questione senza minimamente mettere in discussione il modello economico di rapina delle risorse naturali con conseguenti danni ambientali e sanitari, e si accentra l’attenzione generale su un problema per nasconderne altri ben più gravi. 

Di che parliamo? Ma del farsesco referendum telecomandato dalle solite orchestrine di riciclati in salse variopinte, che andrà in onda il 17 aprile e non raggiungerà il quorum a causa dell’oscuramento mediatico e dell’indifferenza generale. Per chi come il sottoscritto si batte da sempre contro lo sfruttamento di madre Natura, la coerenza conta sempre e non a stagioni alterne, eppure in questo caso le mie perplessità e le mie riserve sull’iniziativa intinta solo di facciata nel verde, aumentano sempre più. Pensate alle macroscopiche contraddizioni della regione Puglia, tra i promotori della farsa, che vanta al suo attivo più di una dozzina di autorizzazioni a trivellare e a pompare idrocarburi nel sottosuolo regionale.


Qual è il quesito preciso? «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio»?

Questo significa che nessun giacimento che si trovi in mare, entro le 12 miglia dalla costa, possa continuare le operazioni una volta superato il termine di durata della concessione. Tale disposizione in ogni caso non si applicherebbe alle trivellazioni sulla terraferma e a quelle che si trovano oltre le 12 miglia. L’eventuale vittoria del " sì" comporterebbe, in caso di raggiungimento del quorum, l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice ambientale, nel quale è consentita la durata delle trivellazioni fino a che il giacimento “lo consenta”.

Dunque, contrariamente a quanto molti credono erroneamente, gli elettori italiani non sono chiamati a pronunciarsi su nuove trivellazioni in  ossequio alle imposizioni delle multinazionali straniere, bensì soltanto sulla prosecuzione di quelle già in atto entro le 12 miglia dalla costa, fino all’esaurimento dei giacimenti, gran parte dei quali, peraltro, fornisce gas metano.

Insomma, un referendum di minuscolo cabotaggio per ingannare ancora una volta la già tanto disinformata popolazione italiana. E non tanto per l’ambito circoscritto del quesito referendario, l’unico dei sei originari sopravvissuto alla scure della Corte costituzionale, quanto per l’effetto politico che il responso è in grado di produrre o meno. C’è realmente qualche ambientalista nel fronte “no triv”o “si triv” convinto che una vittoria del “si” possa effettivamente condizionare la politica energetica del governicchio Renzi, imposto dal Napolitano ma non votato dal popolo italiano, nel passaggio dall’economia sporca del petrolio a quella fintamente pulita delle “rinnovabili” italiane, dove anche i rifiuti con un trucchetto normativo sono considerati energie verdi? D’altronde, l’orientamento agnostico del piddì che prima presenta e approva la norma sotto esame e poi si pronuncia contraddittoriamente per l’astensione favorirà di certo un naufragio nell’astensionismo di massa.

A dirla tutta, si tratta a mio avviso, di un referendum inconsistente rispetto alla sfida della sostenibilità che poco a che fare con la sostanza della questione. La casta dei politicanti italidioti ha da tempo svilito l’istituto costituzionale del referendum, eludendo o vanificando il responso popolare. Qualche esempio: da quello sul finanziamento pubblico ai partiti a quello sulla responsabilità civile dei magistrati, fino a quello sull’acqua pubblica che ora l’esecutivo renziano intende privatizzare (come tutti i suoi predecessori). Il vero nodo da sciogliere è un mutamento radicale di paradigma: il transito dall’economia all’ecologia, dal capitalismo all’etica, a partire almeno per l’Italia dalla conquista della sovranità nazionale.

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