15.5.15

SCHIAVI IERI E OGGI!

Tavoliere di Puglia: braccianti rumeni - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


di Gianni Lannes



Lo sfruttamento a sangue degli umani permane, senza pietà. Adesso, ora, mentre scrivo, basta aggirarsi nel Tavoliere di Puglia per rendersene conto di persona. I moderni schiavi arrivano soprattutto dall’Africa e dall’Europa dell’Est. E in questo terzo mondo dell'Europa, approdano anche tanti bambini, di cui si perdono sempre le tracce. Gli uomini a crepare di fatica disumana nei campi, le donne sovente minorenni a sbattersi sotto magnaccia sulle strade pubbliche, sotto lo sguardo distratto delle forze dell’ordine. 



 
Tavoliere di Puglia: bracciante rumeno - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


Dopo un secolo non è cambiato nulla, se non la nazionalità dei soggetti incatenati, con le banche e i mafiosi in colletto bianco che hanno sostituito i latifondisti di una volta.

Sembra un racconto dello schiavismo odierno in Italia, o meglio in Puglia, invece risale al 1908 e l’ha scritto Giuseppe Tropeano in un raro volume introvabile (La malaria nel Mezzogiorno d’Italia), un medico socialista. Ne ho trovato una copia cartacea alla biblioteca provinciale di Foggia, una delle tante che il governo Renzi vuol serrare, poiché la cultura accompagnata alla memoria storica da chi sgoverna è considerata inutile. Dunque una narrazione di uno spaccato non del XIX secolo, bensì del XXI. E’ uno dei rari affreschi sociali dell’epoca che racconta com'era la Daunia.


«Qui in Puglia è la grande fiumana del popolo lavoratore che si muove… Partono i lavoratori di Puglia dal mercato, ch’è la piazza principale del paese, dove il padrone, o chi per lui, compra nella serata precedente alla giornata di lavoro, a cento a cento, le braccia che restano incrociate per più ore in un raccoglimento fremente, sul luogo della vendita, in attesa che rattrista! La vendita della merce lavoro è avvenuta e la piazza si spopola e si popolano spaventevolmente le grotte, le taverne, i tuguri, le casupole… Al mattino, all’alzar del sole, i campi sono già popolati di laboriosi abitatori. Le ore di lavoro, in media annuale, nelle Puglie oggi non sono molte, in virtù delle agitazioni proletarie di questi ultimi anni. Ma queste ore di lavoro, nei periodi di intenso lavoro, diventano numerose e faticosissime. Né il tavoliere dà ristoro all’ombra, né dà il conforto dell’acqua. E le notti sono umide e pesanti o arse e asfissianti, quanto le giornate. Il tavoliere è cosparso di pochissime masserie. I lavoratori giungono sul posto di lavoro dopo moltissimi chilometri di traversata pedestre. nelle ore canicolari riposano sotto il sole, sulle zolle nude, scottanti. nei pochi antri di fabbrica che qua e là, a una distanza incommensurabile, si erigono attraverso le oceaniche pianure, vengono ricoverate le bestie di lavoro… Già una parte di essi (contadini stabili), è obbligata a restare nelle campagne; guardiani, mandrini, bifolchi, garzoni e anche contadini a contratti speciali. Li abbiamo visti dormire all’aperto davanti alle porte sgangherate di quei letamai che accolgono le bestie da lavoro, o in quegli stessi letamai che sono veri antri vergognosi e inumani, rimescolarsi nella paglia impastata di letame, fra le zampe delle vacche; li abbiamo visti dormire sul qualche sacco di erbe, accumulati come pecore, confusi coi cavalli, coi conigli, cogli asini, coi buoi… Quella turba sterminata di umane figure che, come stormi di bestie invade gli abitati e s’installa sui marciapiedi e lì dorme coprendoli tutti, impedendo il passo ai cittadini; quella turba di figure cenciose, allampanate, sporche, gonfie, terree, cogli occhi incavati, col viso orrendo, armati di falci lunghissime, di randelli robusti e nodosi, sotto il peso di quei sacchi gonfi di pane e cenci; quella turba di umane figure che di notte affolla i limitari e i perimetri delle case, che dorme boccheggiando sulle pietre ignude o sull’arena sporca; quella turba che all’offerta del padrone assale i campi e miete, e lavora e canta, mangiando pane asciutto, senza acqua e qualche pezzo di formaggio duro come le pietre, in un atto di fame disperata, che lavora e canta ancora, e non ha tetto, non ha giaciglio, e non ha riposo e non ha ristoro…».

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