24.5.13

LA STRAORDINARIA LIMPIDEZZA DELL'ANTICO



Ordona: rovine archeologiche - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)




di Ruben Garbellini

Leggendo alcune frasi di Luciano Canfora in occasione della pubblicazione di un suo libro, non si può non iniziare sùbito, su quelle stesse dell’illustre grecista, una riflessione che risulterà forse assai amara, forse scomoda, inattuale ancor più in quanto affidata ad un mezzo così detto “moderno”. 

Canfora, parlando della ripresa d’interesse per i classici (greci e romani) seguìta alla fine del decennio “amaro” che furono gli anni Settanta del Novecento e alla caduta delle ideologie, così acutamente si esprime: «sulla fumisteria della saggistica di quella stagione prevalse la straordinaria limpidezza di maestri antichi». Canfora ci costringe, dicendo quella frase, a voltarci indietro, a considerare l’immensa levatura degli antichi e a collocarli nella loro esatta dimensione (quella di un mondo diverso, profondamente diverso dal nostro), a cambiare ottiche alle nostre consuete, ad allontanare il presente per fare del passato il nostro presente. «La straordinaria limpidezza degli antichi» rappresenta un solido materiale su cui lavorare; le fumisterie moderne, invece, si debbono vagliare con spirito freddo e disincantato. 

Il “moderno” non solo non è necessariamente buono, nella ancor corrente contrapposizione manichea al passato “reazionario”, ma spesso non esiste nemmeno in quanto tale. Qui è il punto, poiché noi si soggiace ancora, talvolta o spesso, all’imperativo delle magnifiche sorti e progressive, già magnificamente deriso dallo stesso Leopardi. “Studiamoli meglio, questi classici” ammonisce ancora Canfora. Il tempo non è una freccia, piuttosto è un ouroboros (il simbolo arcano del serpe che si morde la coda), un anello d’eterno presente: tale è la difficoltà di vedere oltre l’illusione del presente, e di ciò che noi chiamiamo “tempo moderno”.  

Nulla è se non ciò che è, a questa nostra attuale altezza cronologica, e spesso ciò che è lo si contempla viziato da una visione critica che non rammenta più il grande potere d’insegnamento  - e d’esempio - del passato. Su ciò si stende il velario d’un incanto negativo, che non permette, se non a pochi, di vedere che pure il presente – e in ispecie parte della sua letteratura – non è che inganno.

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