7.8.12

ITALIA SVENTRATA: LE ECOMAFIE
RINGRAZIANO LO STATO

Capitanata, cave.

di Gianni Lannes

I giacimenti minerari e le rocce sono un patrimonio inestimabile della nazione. Ma il loro destino è nelle mani ben salde degli speculatori senza scrupoli e della criminalità organizzata sovente al servizio fuorilegge dello Stato. E’ il primo passo per la devastazione ambientale, addirittura in un paese ad elevato rischio idrogeologico e sismico. Lo spettacolo è a dir poco agghiacciante: la popolazione italiana sembra perennemente distratta. Montagne e colline sventrate, anche in “aree protette”, davanti agli occhi delle forze dell’ordine e della magistratura. Un esempio? Il parco della Maiella in Abruzzo o il parco nazionale del Gargano. Perfino il Veneto non è da meno nella corsa speculativa a tutto spiano. E’ l’immagine del Belpaese in via di disintegrazione che deturpa il suo paesaggio, disseminandolo di migliaia di cave a cielo aperto, meta allo stadio finale, di rifiuti pericolosi, chimici e radioattivi. Un patrimonio naturale svenduto a canoni irrisori se non gratis come in «Valle d’Aosta, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna» attesta Legambiente.

Apricena, cave.

Appetito criminale - Le ecomafie ringraziano lo Stato italiota. La media è di due cave per ogni comune e continuano ad aumentare, ma non esiste un censimento generale. E’ un affare che muove 5 miliardi di euro all’anno per il solo indotto degli inerti edili. A conti fatti le cave attive nella penisola sono circa 6 mila e 10 mila quelle dismesse, utilizzate per seppellire lontano da occhi indiscreti scorie d’ogni genere. Una nuova cava significa strade, camion, inquinamento atmosferico, rumore, danni alle falde idriche. Si cava soprattutto per il cemento ma anche per la polvere di marmo. E’ il caso delle Alpi Apuane, uno dei luoghi più straordinari d’Italia, sforacchiato da 300 cave che non producono più marmi, ma solo polvere usata come sbiancante o additivo, o tutt’al più per mascherare la radioattività dei carichi nascosti sulle navi dei veleni da affondare a piacimento nel Mediterraneo.

Legislazione carente -  Questo sfruttamento intensivo non comporta obblighi ambientali. Non solo è facile aprirne di nuove, ma nessuno si preoccupa di ripristinare le cave una volta terminato lo svuotamento. Eppure gran parte dell’Europa segue un’altra strada: incentivare il riciclo dei materiali demoliti per ridurre l’impatto ambientale, Per farlo basta imporre limiti e canoni elevati ai cavatori e rendere più costoso lo smaltimento dei rifiuti inerti in discarica. A quel punto le imprese scoprono che conviene riciclare. In base ai dati ufficiali l’Italia a differenza di Danimarca, Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Svezia e Repubblica Ceca, incentiva con canoni irrisori sia le cave che le discariche, riciclando meno del 10 per cento. La normativa nazionale risale ad un regio decreto del 1927. Poi nel 1977 le competenze sono state trasferite alle Regioni. Il bilancio è nero: in dieci regioni non esistono i piani per stabilire dove cavare e dove no; mancano i controlli sulle estrazioni effettive. Solo nelle province di Napoli e Caserta, si stimano duemila cave abusive. I boss prima le aprono e poi, quando non servono più, le imbottiscono di rifiuti. E lo Stato lascia fare, mentre le autorità locali spesso e volentieri chiudono gli occhi. Sopra, una volta ricoperto con la terra si coltivano gli ortaggi.

In Puglia - Una lettera indirizzata a tutte le autorità della Provincia di Foggia - e  al governatore Vendola, alla magistratura locale, al prefetto, alla società Autostrade e alle Ferrovie dello Stato - denuncia un’appropriazione di stampo mafioso. Nella missiva inviata anche allo scrivente c’è scritto: «Si comunica per vostra opportuna conoscenza che nel Comune di Apricena (FG) i fratelli Petronzi: Gianfranco, Luigi e Massimo, stanno utilizzando il vecchio tracciato della ferrovia Bari-Bologna nel tratto dismesso tra le stazioni di Apricena e Poggio Imperiale per la coltivazione di una cava a cielo aperto e l’estrazione di blocchi di marmo senza: 1. Essere proprietari del terreno che anzi è demaniale; 2. Alcuna autorizzazione regionale, provinciale e/o comunale; 3. Nessuna protezione per gli addetti ai lavori, stranieri irregolari che lavorano a nero; 4. E con notevole rischio per la stabilità dell’autostrada e per chi vi transita perché l’estrazione è a ridosso dell’A 14. 5. E non è escluso che al termine dello sfruttamento la cava stessa diventi una di quelle c.d. “apri e chiudi” per l’occultamento di rifiuti tossici e nocivi. E’ del tutto evidente che la coltivazione di questa cava a cielo aperto è abusiva sotto qualunque aspetto la si guardi e sembra che fino ad oggi nessuna autorità si sia mossa, probabilmente perché non ancora a conoscenza del fatto, a salvaguardia del territorio e della legalità che questa famiglia prepotente e violenta ha infranto, vedi occupazione ex stazione di Poggio Imperiale, occupazione fabbricati ex scuola dell’Ente di Riforma loc. Fucicchia (attualmente adibita a segheria di marmo), cava in località Bosco Rosso nel Comune di Sannicandro Garganico (in piano Parco nazionale del Gargano), masseria tre Valle in agro di Poggio Imperiale (dove meno di un mese fa è stato costruito abusivamente a e a ridosso dell’antico stallone) un locale ben visibile dalla Strada Provinciale Poggio Imperiale-Apricena e tante altre cose che sarebbe lungo elencare. Questa segnalazione, in spirito di collaborazione che i cittadini onesti hanno con le istituzioni in quanto fiduciosi nella GIUSTIZIA e nella LEGALITA’ e per la salvaguardia del territorio e dei tanti imprenditori onesti che ogni giorno rischiano del proprio. P.S. Il coraggio di scrivere questo esposto c’è venuto ascoltando l’intervento e la denuncia pubblica fatta dal dr. Lannes nella piazza della villa comunale». 


Terra di nessuno - Cosa succede se si sventra suolo e sottosuolo per cavare sempre più marmi? Del prodotto lapideo e delle relative fortune finanziarie  sappiamo qualcosa. L’eldorado pugliese - il più grande bacino marmifero del Mezzogiorno (il secondo in Italia dopo Carrara) - si estende su 8 milioni di metri quadrati. Dati ufficiali stimano nella regione levantina, 500 cave in attività: una realtà estrattiva e di trasformazione in cui operano un’ottantina di aziende con circa 4 mila addetti. Sono 5 i principali distretti - Apricena, Poggio Imperiale, San Giovanni Rotondo, Trani e Fasano - a cavallo fra la provincia di Foggia e di Bari, che assicurano una produzione marmifera oscillante tra le quattro-cinquecentomila tonnellate all’anno. Nell’ex California d’Europa i “signori delle cave” si sono assicurati lo sfruttamento gratuito di risorse naturali, come attesta la mancata previsione del regime di concessione onerosa su aree di proprietà pubblica e la in operatività del piano regionale delle attività estrattive. Le cave di Apricena sono miniere a cielo aperto, dove il sudore e la fatica di molti hanno fatto la ricchezza di pochissimi. Ogni anno affiorano dalle viscere del sottosuolo apricenese 15 milioni di quintali di pietra pregiata. Solo il 10 per cento, però, viene lavorato in loco e ceduto sotto forma di prodotto finito; il resto della produzione si vende allo stato grezzo in Veneto dove viene commercializzato sotto la denominazione “marmo di Verona”. Il miracolo marmifero di Apricena-Poggio Imperiale sviluppa un volume d’affari che supera i 200 milioni di euro. Questo panorama inesplorato di crateri e colline di inerti che svettano all’orizzonte del lago di Lesina è terra di nessuno dove incombono a corona dei centri urbani, decine di cave dimesse, cosiddette “apri e chiudi”, meta privilegiata da un buon ventennio del traffico internazionale di rifiuti pericolosi (comprese le scorie radioattive), come attestano i rapporti sulle “ecomafie” di Legambiente e le indagini di svariate Commissioni parlamentari Antimafia. «Ci sono montagne di detriti ed immense voragini: è una situazione di forte rischio - accusa Michele Pizzicoli, ex consigliere regionale comunista e cavamonti in pensione - La legge regionale 37 del 1985 prevede che una volta esaurita la cava, bisogna ripristinare la superficie agricola, ma a memoria umana non è mai accaduto». 




L’elenco delle violazioni di legge, dei pareri addomesticati o delle irregolarità d’ogni genere è chilometrico. Qualche anno fa il comune di Apricena ha incaricato la società Tecnovia di Bolzano di progettare il “recupero ambientale e naturalistico” della cava comunale di Ingarano nel parco nazionale del Gargano. La chiamano “ricomposizione”: in realtà si tratta di sbancare una dorsale collinare tra i 225 e i 280 metri d’altitudine sul versante occidentale garganico. Vorrebbero addolcire la ferita di 26 mila metri quadrati «gravemente compromessa da una dissennata e abusiva escavazione» attesta l’Ufficio minerario della Regione. Dicono che l’intervento serve a «consentire la coltivazione a fini industriali di produzione determinando le nuove aree di scavo data la sicura affluenza di terreni di varia provenienza e natura. Verranno ricavati 66.330 metri cubi da scavi e riportati 69 mila e 100 mc. Di inerti di scarto fatti affluire dall’esterno». Così è scritto nella relazione tecnica presentata dai tecnici Giuliano Sauli, Luigi Buccino e Fabio Palmeri. L’indicazione passerebbe inosservata se non fosse che in zona si sono verificati ritrovamenti di scorie radioattive e in Parlamento giacciono diverse interrogazioni senza risposta. La cava comunale in concessione alla Tortorelli srl, risulta trasferita alla ditta Piserchia ma è gestita dalla famiglia Petronzi. All’Ingarano come su tutto questo grosso della Puglia settentrionale si manovra col favore delle tenebre. Il clan Petronzi ha trasformato un’altra collina a San Sabino «previo scarico e spianamento di materiale di riporto rinveniente da cave di pietra, per una superficie approssimativa di 10 mila metri quadri» si legge in un rapporto di polizia giudiziaria. Un magistrato della Procura della repubblica di Lucera ha emesso provvedimento di sequestro. I Petronzi, inoltre, in passato hanno provocato danni rilevanti alla diramazione dell’Acquedotto Pugliese che alimenta 10 comuni del Gargano, privando i cittadini garganici della già scarsa risorsa idrica per una settimana, e per questa ragione sono stati condannati penalmente. L’allora sindaco di Apricena, Franco Parisi aveva concesso gratuitamente alla Mgs marmi (di Colangione Giuseppina, coniugata Dell’Erba) - alla quale il Noe Carabinieri ha sequestrato una cava colma di rifiuti letali - lo sfruttamento di un giacimento demaniale di marmo rosato e paglierino. Una situazione grave anche per la mancanza di controlli e di vigilanza, in assenza di attività di polizia mineraria.



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